Il sistema ruota intorno a un uomo ritenuto dagli inquirenti il fiduciario di Michele Zagaria, il boss dei casalesi arrestato pochi giorni fa. È Pasquale Pirolo, personaggio che ha secondo l’accusa avrebbe attraversato la storia della camorra da Raffaele Cutolo a oggi riuscendo a cavarsela nelle guerre tra clan combattute in un arco più che trentennale (è passato anche dalla corte del presidente del Banco Ambrosiano Roberto Calvi e avrebbe usato l’auto blindata del consulente del Sismi Francesco Pazienza ai tempi della P2).
E lo stesso sistema si articola su una rete di prestanome che arriva nel cuore dell’Emilia Romagna per riciclare i proventi delle attività criminose. Una rete così ben integrata che sono molti gli emiliani – compresi amministratori pubblici – che, definendosi oggi “ignari e sorpresi”, hanno comprato casa dai referenti della camorra residenti in zona. È quanto emerge dalle carte dell’ultimo maxisequestro, anticamera della confisca, effettuato dalla Dda di Napoli e dalla questura partenopea.
La società intestata a una donna nata a Reggio Emilia. Il valore complessivo dei beni sequestrati è di 50 milioni di euro e tra questi ci sono agenzie immobiliari, negozi, abitazioni private e garage distribuiti in tutta Italia, partendo da Peschiera del Garda (Verona) per arrivare fino a Rodi Garganico (Foggia). E per quanto riguarda nello specifico il fronte emiliano, dal decreto emerge la figura che l’accusa ritiene centrale: quella di una trentunenne nata a Reggio, Elisa Capaldo.
Si tratta della figlia di Nicola, 54 anni, di San Cipriano d’Aversa, altro destinatario dei provvedimenti. Quest’ultimo, secondo gli investigatori napoletani, fin dal 2002 sarebbe stato inserito da Pasquale Pirolo nella “catena di occultamento” i cui anelli sono per lo più società immobiliari (tra queste l’Espansione Commerciale, la Aenneci e l’Azzurra la cui eredità arriva fino in Emilia).
Inoltre fin dalla metà degli anni Novanta Nicola Capaldo avrebbe usato la figlia (anche nel periodo in cui la giovane era ancora minorenne) per intestarle beni che in realtà sono riconducibili al clan dei casalesi. Per questo, alla donna con natali emiliani sono state sequestrate quote di tre aziende. Si tratta del 50% della Euro Costruzioni di Capaldo Paolo & C Sas (che si trova a Villa di Briano), del 100% e della totalità dei beni strumentali della Niva Costruzioni (Napoli) e della metà della Igeco (Santa Maria Capua a Vetere).
Congelati i beni del campano che ha costruito scuole e quartieri a Fabbrico. Ma se la posizione di Elisa Capaldo indica che il trait d’union tra Casal di Principe e Reggio Emilia risale a oltre un quindicennio fa, ci sono poi i beni che fisicamente si trovano in provincia di Reggio. In questo caso la proprietà ufficiale è di un altro prestazione, Giuseppe Nocera, nato nel 1960 a San Cipriano d’Aversa, residente da 30 anni a Fabbrico, nella campagna emiliana, e cognato del già incontrato Nicola Capaldo. Anche lui da almeno 9 anni fa parte della stessa “catena”, sempre per decisione di Pirolo, e già in passato si era intestato proprietà immobiliari e quote societarie.
Da sottolineare che Nocera è legato da rapporti di parentela e affari a Zagaria. Ed è un uomo che nel paese della Bassa conoscono in molti tanto che sia l’ex sindaco di Fabbrico e segretario provinciale del Pd a Reggio Emilia, Roberto Ferrari, che l’attuale sindaco, Luca Parmiggiani, ammettono di sapere di chi si tratta e di “aver acquistato casa da lui”. Tra i beni che gli sono stati sequestrati, molto ha infatti a che fare con l’immobiliare.
C’è la Delta Costruzioni, che si trova a Fabbrico e di cui Nocera è presidente del consiglio d’amministrazione. Sempre qui ha sede legale la Lor.Al Srl, sequestrata in toto, compresa la metà delle quote che detiene della Media 4 Srl di Reggio Emilia. E poi due aziende di Correggio, Il Cubo Immobiliare (gli investigatori hanno congelato il 27,5% delle quote e in questo caso Nocera è vicepresidente del Cda) e Media 3 Immobiliare con il casertano di nuovo al vertice della società.
Infine ci sono gli immobili dell’uomo vicino a Zagaria, localizzati sempre nel comune reggiano di Fabbrico. Nell’elenco stilato dalla Dda di Napoli compaiono un negozio di 43 metri quadrati, due garage rispettivamente di 27 e 45 metri quadrati, un villino, un’abitazione di 5 vani intestata alla moglie di Nocera, Maria Domenica Ardente, e una porzione della relativa rimessa auto. Infine ci sono quattro vetture, una Mercedes 190, una Bmw 635, un’Alfa Romeo Giulietta Spider e una Mini Rover.
“I cittadini hanno diritto di avere informazioni sui presunti affiliati”. In merito alla nomea di Nocera in zona, ha dichiarato l’ex sindaco Ferrari al Giornale di Reggio: “Lo conosco da sempre, abita a Fabbrico da più tempo di me e sono sconvolto. Lo conoscevo in qualità di imprenditore che, insieme ad altri sul territorio, vende case. In paese nessuno aveva idea che dietro i suoi affari potessero esserci infiltrazioni camorristiche altrimenti non avrebbero acquistato”.
E mettendo le mani avanti ha aggiunto: “Tutta la comunità di Fabbrico ha il diritto di sapere se i fatti sono veri perché in tanti hanno avuto rapporti del tipo acquirente-venditore con Nocera”. Incluso lui, Ferrari, che acquistò casa come tantissimi dall’imprenditore. “Ho pagato tutto e ho acceso un mutuo in banca per i prossimi 20 anni. Non notai nessuna anomalia”. Nocera a Fabbrico però non vende solo appartamenti e villette, ha costruito metà paese. Tra le opere che gli sono state affidate nel tempo, la scuola materna statale di via Trento, lavori di urbanizzazione e interi quartieri.
In proposito ha detto l’attuale sindaco di Fabbrico, Luca Parmiggiani: “Siamo vicini di casa. La sua attività imprenditoriale ha contribuito all’espansione del paese e mezza Fabbrico ha comprato da lui. La mia però è una conoscenza superficiale, io non acquistai direttamente da lui, ma da un privato che si era servito da Nocera. Era il 2006”.
I precedenti sequestri nel comune del reggiano e i collaboratori di giustizia. Già un anno fa a Fabbrico inchieste sulle infiltrazioni mafiose avevano portato al sequestro di un negozio di via Matteotti. L’inchiesta era sul clan camorristico Amato di Santa Maria Capua Vetere e lo stabile era di proprietà di Maria Giuseppa Casertano, 47 anni, moglie di uno degli affiliati, Antonio Amato. L’immobile fu però dissequestrato perché la donna dichiarò che si trattava di una sua proprietà che nulla aveva a che vedere con l’inchiesta.
Per arrivare a individuare invece i beni sequestrati nei giorni scorsi, gli inquirenti si sono avvalsi di collaboratori di giustizia oltre che di riscontri documentali. Collaboratori hanno parlato di una “ragnatela creata ad hoc” dal clan dei casalesi e dai suoi fiancheggiatori per allontanare da Michele Zagaria la reale proprietà del suo patrimonio. E Pirolo, il vero nodo attorno al quale ruota tutta la rete di beni, ha una lunga storia in questo “settore”. Già destinatario di provvedimenti di sequestro negli anni Ottanta, in seguito riuscì a schivare conseguenze peggiori presentandosi lui stesso ai magistrati come pentito. La verità è che però avrebbe continuato ad agire per conto dei clan della camorra.
di Antonella Beccaria, Matteo Incerti e Vincenzo Iurillo