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Monti, i suoi collaboratori e… i compromessi

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Caro Peter, tu hai ragione. Qui tre sono impresentabili. E dovrebbero dimettersi. Ecco l’identikit che tu stesso hai fatto:

“Parliamo del sottosegretario alla Difesa, Filippo Milone, un ex manager del gruppo Ligresti che ha alle spalle un arresto e una condanna per reati contro la pubblica amministrazione; di quello all’editoria, Carlo Malinconico, al quale gli uomini della cricca pagarono una vacanza da 9800 euro e che oggi si giustifica goffamente attraverso il suo staff facendo filtrare su Il Giornale frasi del tipo ‘Chiesi con insistenza all’albergo, a fronte del diniego di farmi pagare, chi avesse pagato, ma mi fu risposto che non era possibile dirlo per ragioni di privacy’; e del ministro della funzione pubblica, Filippo Patroni Griffi che, come racconta Marco Lillo in queste pagine, appartiene a quella schiera di italici furbetti abili nell’acquistare casa dall’Inps a prezzi stracciati (177 mila euro per un appartamento vista Colosseo, considerato alloggio popolare dopo un’assurda e inquietante vicenda giudiziaria)”.

Hai ragione, ripeto: dovrebbero dimettersi. Però hai la stessa ragione di chi si accorge del pelo nell’uovo e decide di non mangiare l’uovo, morendo così di fame. Hai la stessa ragione di chi decide di morire di sete nel deserto piuttosto di bere dalla pozza di un oasi. E gli italiani sono affamati di una politica seria, discreta, concreta con la quale, magari, non essere d’accordo; sono assetati di una classe dirigente capace di affrontare il dissenso senza rincorrerlo. La rivoluzione culturale di Mario Monti rispetto al suo predecessore è tutta qui.

Tu hai ragione, ma ha ragione anche chi ha deciso di ingoiare qualche rospo, di accettare qualche compromesso. Di essere rivoluzionario senza impiccare nessuno. Perché mai come questa volta è vero che il meglio è nemico del bene. Io, sinceramente, mi accontento del bene. Per ora.

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