Dopo il mio ultimo intervento, si sono susseguite una serie di email e notizie attinenti al dramma dell’eccessivo consumo di carne e derivati. A cominciare dall’allarme antibiotici negli allevamenti intensivi in Germania e non solo, proprio dopo che negli Stati Uniti sarà vietato l’uso di antibiotici appartenenti alla classe delle cefalosporine (fra i più comunemente usati per un ampio spettro di infezioni) per gli allevamenti di animali, a partire dal 5 aprile 2012: in quanto tale uso porta e ha portato allo sviluppo di batteri resistenti agli antibiotici stessi. Fenomeno che è in rapidissimo aumento anche in Europa, come notato anche nel caso del batterio killer Escherichia Coli. D’altronde quello che viene usato oggi è inquietante, come dimostra questo studio fatto dall’Università di Bologna per la Coop. È quindi imminente una proposta della Commissione europea per restringere l’uso degli antibiotici negli allevamenti (come anticipato nel piano di azione a novembre) che causano circa 25.000 morti all’anno.
Più che pertinente è l’incursione degli attivisti di Nemesi Animale in un allevamento di 200.000 galline presso Varese, posseduto dalla ditta Bruzzese, fra i principali produttori di uova della Lombardia:
“Varcandole ci si imbatte in un girone infernale: sei enormi strutture, ognuna delle quali formata da due file di gabbie disposte su 7 piani, occupano per il lungo le due sezioni in cui è diviso il capanno, lunghe ciascuna 75 metri e larghe circa 20, formando in questo modo 7 corridoi. Ogni corridoio è percorso da una fila di luci equidistanti disposte sue due livelli, in modo da fornire luce sufficiente al forzato ritmo sonno-veglia a tutti i piani di gabbie. Quando si apre la porta (video) un rumore angosciante si solleva piano piano in tutto il capanno... Le galline iniziano ad urlare angosciate e a beccarsi a vicenda e il suono delle loro grida cresce a livelli inimmaginabili. La sporcizia è ovunque: cumuli di un composto misto di piume, penne, polvere, ragnatele ed escrementi si depositano dappertutto, e vengono periodicamente ammassati alla fine di ogni corridoio… in molte gabbie le feci ricoprono completamente parti del soffitto formando uno strato spesso alcuni centimetri sul quale le galline battevano continuamente la testa… Ossa sottili ormai prive di piume e penne sono quello che rimane delle ali delle galline. Vivono la loro intera vita prigioniere di queste gabbie anguste, in gruppi che arrivano a contare anche 11 individui (nonostante la legge preveda un numero massimo di 5 animali)… in ogni momento c’è un animale che si muove, che calpesta gli altri, li urta, li fa alzare, crea confusione… Mai lo spazio per aprire le proprie ali. Quasi un quarto degli uccelli allevati a scopo commerciale sono storpi e provano dolori cronici e lancinanti. Quando sono costretti a camminare e riposare su lettiere marce, sporche, sature di ammoniaca, soffrono di ulcere alle dita, vesciche al petto, ustioni alle zampe. Le grate di cui è costituita la pavimentazione delle gabbie provocano dolorose malformazioni alle zampe… le galline presentano forti carenze di determinati fattori (diverse vitamine ad esempio), che risultano di essenziale importanza nel regolare il normale funzionamento organico.
Le conseguenze, ben visibili ed evidenti, sono anemia delle parti carnose della testa (la cresta diventa moscia e biancastra, mentre dovrebbe essere rigida e rossa), apatia e debolezza generale, irritazione delle palpebre e comparsa di pustole. Essendo sottoposte a ritmi di deposizione delle uova intensi e innaturali, le galline patiscono gravi infezioni dell’ovidotto, il canale genitale attraverso cui le uova vengono deposte. Le penne si staccano in parte per lo strofinio contro la rete metallica, in parte per le continue beccate causate dagli elevatissimi livelli di stress (per i quali arrivano persino ad uccidersi e divorarsi a vicenda)… Le galline sono solite farsi dei “bagni di terra” per pulirsi le penne, eliminando i parassiti e provando un evidente piacere. A causa del loro forte istinto di pulizia, continuano a mimare istintivamente questo gesto anche sul pavimento di ferro, strappandosi le piume sfregate. Le loro unghie, inoltre, non sono ovviamente adatte a poggiare sulla griglia di ferro e, senza un terreno solido che le consumi, crescono in modo esagerato e possono rimanere permanentemente impigliate nella gabbia. Non è raro che rimangano letteralmente attaccate alla griglia: le zampe si incastrano nella rete e, se non riescono a liberarsi, la carne delle dita cresce col tempo intorno al fil di ferro…
In certi casi, alcune galline armate di determinazione riescono a passare dalle fessure delle gabbie, ritrovandosi a vagare per i corridoi in un’illusione di libertà: non hanno mai camminato prima, né avuto lo spazio per spiegare le ali e per muoversi per più di qualche centimetro, le loro zampe non sono mai entrate in contatto con una superficie diversa dalla griglia metallica della gabbia, sono visibilmente impaurite e disorientate. Essendo uscite dalla macchina che le tiene “in vita” moriranno lentamente di fame e freddo…. Abbiamo trovato molti cadaveri all’interno dei corridoi dei capannoni, molti dei quali probabilmente mangiati dai numerosi topi presenti all’interno. Il sovraffollamento forzato e la non considerazione delle loro necessità etologiche le conduce irrimediabilmente a comportamenti fortemente aggressivi e autolesionisti. Per ovviare a questo problema viene praticato il taglio del becco in giovanissima età, rendendo loro molto difficile beccarsi a morte, ma non impedendo, comunque, di procurarsi dolorose ferite. Sono ancora ben visibili becchi malformati da questa crudele pratica che rende fastidioso anche cibarsi o bere. I piani delle gabbie sono altissimi e risulta ovvio che soprattutto quelle in alto vengono pulite e controllate molto di rado… All’interno delle gabbie abbiamo trovato molti cadaveri, alcuni in decomposizione, altri oggetto di cannibalismo da parte delle altre galline.. Le galline trovate morte o agonizzanti vengono semplicemente gettate in mezzo ai corridoi, in attesa di essere stoccate nel congelatore”.
Questo è ciò che mangiamo.
Continua…