La Corte costituzionale ha detto no ad entrambi i quesiti per l’abrogazione (parziale e completa) della legge elettorale, il famigerato Porcellum firmato dal leghista Roberto Calderoli nel 2006. I giudici della Consulta chiamati a decidere sull’ammissibilità dei quesiti referendari erano riuniti in camera di consiglio da questa mattina. Dopo l’udienza partecipata a porte chiuse di ieri mattina nella quale sono stati ascoltati i legali rappresentanti del comitato promotore del referendum e i rappresentanti dell’Associazione giuristi democratici, i giudici della Consulta hanno ritenuto di proseguire oggi l’esame delle due questioni loro sottoposte. Con la prima veniva chiesto loro di dichiarare ammissibile il quesito con cui si chiede l’abrogazione totale della legge elettorale studiata dall’ex ministro, che prevede liste bloccate e dunque toglie la facoltà agli elettori di esprimere una preferenza. Il secondo quesito chiedeva di eliminare, ad una ad una, le novità introdotte dalla stessa legge Calderoli alla precedente legge elettorale abrogata nel 2005, il cosiddetto ‘Mattarellum’, secondo un’espressione coniata dal politologo Giovanni Sartori.
Ecco la nota diffusa dalla Consulta al termine dell’udienza: “La Corte costituzionale, in data 12 gennaio 2012, ha dichiarato inammissibili le due richieste di referendum abrogativo riguardanti la legge 21 dicembre 2005, n. 270 (Modifiche alle norme per l’elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica). La sentenza sarà depositata entro i termini previsti dalla legge”. In concreto, il testo della sentenza dovrebbe essere reso disponibile entro il 10 febbraio. Estensore dovrebbe essere il giudice Sabino Cassese, che già ieri aveva svolto una relazione introduttiva in camera di consiglio.
I ‘boatos’ parlamentari avevano preannunciato la bocciatura di entrambi i quesiti, accompagnata forse da una sollecitazione rivolta dalla Corte alle Camere a riformare il Porcellum di cui si avrà traccia quando verrà reso pubblico il dispositivo della sentenza. Dalle prime indiscrezioni, tuttavia, sembra che i magistrati non abbiano rilevato profili di incostituzionalità nella legge vigente ma che siano intenzionati a sottolineare le necessarie modifiche.
LE REAZIONI
Già ieri, quando nel pomeriggio tra i deputati del Pd si era diffusa la voce di una sentenza di bocciatura il referendario Arturo Parisi aveva invitato alla prudenza: “Aspettiamo. Il rinvio è un buon segno, vuol dire che nella Corte c’è discussione”. Ma così non è andata. E Parisi, dopo l’esito negativo ha dichiarato: “Anche se il prolungamento della camera di consiglio aveva aperto la nostra attesa alla speranza, tutto posso dichiararmi fuorché sorpreso. Noi abbiamo fatto la nostra parte” afferma l’esponente Pd, “continueremo la nostra battaglia per interpretare il milione e duecentomila firme raccolte, in modo diverso in Parlamento e ancor più di prima all’esterno di esso”. Antonio Di Pietro, altro convinto referendario, si era invece dichiarato “preoccupato dal clima”. Oggi il leader dell’Italia dei Valori è stato, se possibile, ancora più esplicito: “E’ uno scempio della democrazia – ha detto – così si rischia il regime. Manca solo l’olio di ricino”. “Una sentenza – ha aggiunto – che serve solo a fare un favore al capo dello Stato”. Altrettanto dura la replica del Quirinale: “Parlare della sentenza odierna della Corte Costituzionale, come qualche esponente politico ha fatto, di ‘una scelta adottata per fare un piacere al Capo dello Stato’ è una insinuazione volgare e del tutto gratuita, che denota solo scorrettezza istituzionale”. Dal Colle in giù, le parole di Di Pietro ricevono le critiche di quasi tutto l’arco parlamentare. Critiche che il Pd Boccia sintetizza parlando di “analfabetismo istituzionale”.
Sul fronte dei referendari, al contrario, tutti i commenti sono in chiave decisamente negativa. Anche Mario Segni parla di “una sentenza politica e non giuridica. La Corte si è fatta spingere da forti pressioni politiche. Vedrò quali motivazioni giuridiche ci possano essere, staremo a vedere. E’ un giorno triste, io sono addolorato perchè questa era una soluzione al problema di quella legge schifosa che è il porcellum. L’Italia ha perso l’occasione per sbarazzarsi di una delle sue peggiori leggi. Tra qualche giorno tutti parleranno di altro”.
In realtà, continuano intanto a ripetere Pdl, Pd e Terzo polo, sfidando chi ritiene che senza la ‘miccia’ referendaria non si farà niente, la legge elettorale verrà in ogni caso riformata. Ma il dialogo si presenta in partenza complicato, se solo si considera lo scontro già emerso tra Pd e Idv. Fa infuriare infatti il partito di Di Pietro la proposta di Enrico Letta di “costituire molto rapidamente un forum” sulla riforma elettorale tra “i partiti della maggioranza”. Leoluca Orlando si appella a Napolitano e tuona: “Vogliono escluderci”. Riecheggiando così una preoccupazione già espressa dalla Lega.
Più ottimista il commento del leader del Pd, Pier Luigi Bersani. “Chi come noi ha dato un aiuto decisivo per la raccolta delle firme non può certo gioire per la sentenza della Corte, tuttavia la rispettiamo. Leggeremo – ha proseguito Bersani – il dispositivo per farci illuminare. Adesso tocca al Parlamento agire. Noi abbiamo già depositato una nostra proposta. Siamo aperti ad una discussione con tutte le forze in un dialogo con la società. Certo è che non possiamo tenerci la legge che abbiamo, perché in una situazione molto grave finiremmo per vedere accresciuto il distacco cittadini-istituzioni”. Bersani ha concluso: “Da domani siamo impegnatissimi a portare a buon fine il processo di riforma della legge elettorale”.
La stessa cosa se la augura anche l’associazione Libertà e Giustizia, anche se i toni sono quelli dell’allarme più che dell’impegno: “La decisione della Corte costituzionale crea per la prima volta in Italia una situazione di estremo allarme istituzionale. I cittadini delusi e decisi a far valere la loro volontà potrebbero essere indotti a un drammatico sciopero del voto, cioè a non accettare di andare nuovamente alle urne con il Porcellum. Esiste probabilmente una sola possibilità che questo non avvenga, le forze politiche attualmente in Parlamento immediatamente si mettano al lavoro e producano una legge che non stravolga il risultato con abnormi premi di maggioranza. Al lavoro per una legge elettorale, senza cercare di farla dipendere da trattative inevitabilmente lunghe e laboriose sulla riforma della Costituzione. Per i partiti è proprio l’ultima occasione di rifarsi la faccia, di recuperare un po’ di quel rispetto e fiducia che hanno dilapidato in questi anni; si diano subito da fare per varare in parlamento una legge che dia ai cittadini la possibilità di una scelta vera e di un rapporto diretto col candidato da loro eletto”.
Proprio su questo, in serata, è arrivata la nota del Quirinale. Il Presidente della Repubblica Napolitano ha ricevuto il presidente del Senato, Renato Schifani, e il presidente della Camera, Gianfranco Fini, per esaminare – si legge in una nota diffusa dal Quirinale – “le prospettive dell’attività parlamentare, con prioritaria attenzione alle riforme istituzionali, anche nelle loro possibili implicazioni costituzionali. Si è espressa la comune convinzione – si legge ancora – che tocchi alle forze politiche e alle Camere assumere rapidamente iniziative di confronto concreto sui temi da affrontare e sulle soluzioni da concertare. In particolare, alla luce della sentenza emessa dalla Corte Costituzionale nel rigoroso esercizio della propria funzione, è ai partiti e al Parlamento – conclude la nota – che spetta assumere il compito di proporre e adottare modifiche della vigente legge elettorale secondo esigenze largamente avvertite dall’opinione pubblica”.