Domenica, quando ho aperto la porta di casa per uscire, mi sono quasi stupita nel vedere che la prima pagina del New York Times era dedicata al naufragio della Concordia. Ho pensato “accidenti la nave italiana in prima pagina”. Sono caduta, dunque, in una trappola in cui, a mio discapito, era forse facile cadere. Pensare alla Concordia come “nave italiana” tout court era possibile, soprattutto appena svegli.
La nave non era e non e’ “cosa italiana” perche’ a bordo c’erano uomini e donne di posti diversi. Alcuni, fra i dispersi, del paese dove vivo. E’ naturale, dunque, che se ne parli e molto. Si parla anche della “confusione” post collisione e dello scarsissimo coordinamento nei soccorsi. Ci sono superstiti americani che raccontano, in varie interviste, la loro esperienza e mi sembra simile a quella raccontata da altri superstiti in altre lingue.
Eppure ho notato, soprattutto online, la diffusione di un sentimento “patriottico” volto a sottolineare il fatto che dobbiamo stringerci intorno al nostro paese contro le “malelingue straniere” che non aspettavano altro che una nuova occasione per crocifiggerci. Sinceramente, per quanto possa servire la mia testimonianza, nessuno sta crocifiggendo l’Italia. Anzi, qui in America, per esempio, anche la pubblica gogna alla quale, da giorni, in Italia, è sottoposto Schettino è meno sentita, meno veemente.
Sebbene sia spesso critica dell’Italia e di noi italiani, credo che nessuno stia puntando il dito alla nazionalita’ di questa nave. E nessuno intende privare Schettino di quel sentimento di umana pieta’ che gli viene rivolto per aver fallito, come uomo e come capitano, spinto da quel sentimento che spesso ci governa e che si chiama paura. Schettino poteva essere di qualsiasi nazionalita. La paura non ha bandiere. Quella notte, sulla Concordia, ci sono stati uomini che hanno compiuto atti eroici e che meritano il nostro plauso e la nostra riconoscenza. Schettino merita pieta’ umana. E condanna legale perche’ non ha compiuto il suo dovere dopo aver sbagliato. La paura non puo’ essere una variabile in grado di cancellare il suo errore e le sue responsabilità. Non mi interessa, personalmente, ascoltare o riascoltare le conversazioni telefoniche. Mi basta sapere che, dopo aver fatto una castroneria che ha fatto naufragare la nave, Schettino ne ha infilata una dopo l’altra fino a quella fuga meschina. Pietà umana, dunque, per un uomo vil, ma condanna legale per chi ha infranto la legge. Quella del mare e quella degli uomini. Quella di un ruolo ancora avvolto da un fascino intramontabile e quella di codici scritti da uomini per garantire la legge che regola o dovrebbe regolare le nostre vite.
Certo, in un paese dolente come l’Italia in questo periodo (piu’ che in altri), viene facile vergognarsi di uno Schettino, come ci si è vergognati o ci si vergogna di altri. Ma in questo caso, secondo me, nulla di ciò che è avvenuto ha a che fare solo ed esclusivamente con il nostro tricolore. E, quindi, per rispetto alle vittime, agli eroi, ai dispersi, alle loro famiglie, sarebbe forse il caso di non farne un caso “nazionale” ma un caso di un incidente grave di cui vanno appurate responsabilita’ e pagate le conseguenze.
Voglio credere però che Schettino sia arrivato ad avere l’onore e l’onere di essere alla guida di una nave così prestigiosa per “riconosciuti meriti”. Questa e’, purtroppo, una certezza che in Italia non e’ mai facile avere.