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Contratto unico, tre anni senza tutela. E dopo?

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Il governo intende affrontare con “filosofia” la trattativa con le parti sociali sul mercato del lavoro, dice Mario Monti. E un assaggio della “filosofia” governativa è stato però dato ieri al quotidiano Repubblica che ha pubblicato le linee guida del progetto di Elsa Fornero. Non molto di nuovo, si continua a parlare del Contratto unico di inserimento (Cui) sul progetto Boeri-Garibaldi, compromesso raggiunto anche in casa Pd.

In cambio dell’abolizione delle 46 diverse tipologie di contratti atipici e a termine (mantenuti per lavoro stagionali, ma anche per compensi superiori ai 25 mila euro annui) verrebbe istituito un contratto di tre anni, privo dell’articolo 18 e nel cui quadro sarebbe consentito il licenziamento previo indennizzo (e non reintegro). Al termine del triennio scatterebbe la stabilizzazione con le garanzie del contratto a tempo indeterminato. Una stabilizzazione con passaggio dal “purgatorio” del contratto provvisorio al “paradiso” del contratto a tempo pieno e indeterminato.

La Cgil definisce “un inganno” il contratto unico riproponendo l’apprendistato come canale di ingresso principale per i giovani. Lo stesso sostiene la Cisl. Anche il Pdl, con Giuliano Cazzola, ha preso le distanze dalla proposta Fornero-Repubblica. Di fronte all’offerta governativa del contratto unico, privo di alcune garanzie nei primi tre anni, i sindacati puntano a mantenere inalterate le caratteristiche fisiologiche del contratto di base accettando le eccezioni solo per il contratto di apprendistato. Nel caso del governo non si capisce dove risieda la garanzia di stabilizzazione dopo i tre anni di “purgatorio”. Le imprese, infatti, potrebbero licenziare liberamente per ricominciare il ciclo con nuovi assunti. Per quanto riguarda i sindacati, invece, l’insistenza sul contratto di apprendistato – che nella sua attuale tipologia è fortemente penalizzante in salario e inquadramento – non può non prevedere un “contratto di inserimento per il reimpiego dei lavoratori in disoccupazione, per l’occupazione femminile nelle aree ad alta disoccupazione e per gli over 50”, come recita la loro proposta congiunta. Il problema di come passare dalla precarietà alla stabilità, si pone anche per loro.

Il Fatto Quotidiano, 20 Gennaio 2012

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