Un maestro delle scienze politiche. Così Ivano Dionigi, il magnifico rettore dell’università di Bologna, ha concluso la cerimonia di consegna della laurea honoris causa in relazioni internazionali al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, ringraziandolo ripetutamente per la sua presenza. Una visita, quella di Napolitano, che poteva non essere scontata: da mesi gli indignati e i centri sociali avevano più volte fatto sapere che Napolitano sarebbe stato contestato. Proclami lanciati su Internet confermati questa mattina quando, gruppi di persone, hanno cercato in tutti i modi di arrivare all’Aula Magna di via Castiglione per entrare e interrompere la cerimonia.
Non ci sono riusciti, e sono volate manganellate. Tutte cose che Napolitano sapeva, ma nel suo discorso non ne ha fatto riferimento. Il cerimoniale ha comunque dovuto fare i salti mortali per accompagnare il presidente e lasciarlo entrare da una porta laterale dell’aula ed evitare così l’ingresso principale. Nel frattempo gli uomini delle forze dell’ordine, in tenuta anti sommossa, hanno chiuso praticamente tutta l’area dove Napolitano avrebbe ricevuto la laurea honoris causa in relazioni internazionali.
Evento atteso da almeno due mesi nel capoluogo emiliano dopo l’annuncio ufficiale dell’Alma Mater. In prima fila tre ministri della Repubblica del governo Monti: quello degli Interni Anna Maria Cancellieri (che di Bologna è stata commissario prefettizio); quello del Turismo, il bolognese Piero Gnudi; quello dell’Università Francesco Profumo, ferocemente contestato fuori dall’Aula Magna dagli Indignados di Occupy Unibo.
Napolitano ha iniziato a parlare alle dodici e quindici dopo che rettore, rappresentanti di studenti e personale dell’Università di Bologna, hanno più volte sottolineato nei loro discorsi la difficoltà di disegnare un futuro per il sistema universitario di fronte a tagli e precarietà.
“Considero la laurea come passaggio da praticante a professionista della politica“, ha esordito Napolitano nel suo discorso di ringraziamento e dopo essere stato incoronato da Dionigi. Ma subito l’attenzione del presidente è andata verso la Costituzione e il consolidamento del consenso attorno all’esperienza “tecnica” del governo Monti: “L’auspicio è che lo sforzo appena intrapreso continui e si sviluppi in un clima costruttivo”.
Mani avanti, poi, rispetto a qualsivoglia contestazione all’operato dell’esecutivo Monti che non rientri nelle “regolari” forme di protesta: “Fuori discussione sono le prerogative del Parlamento e le esigenze di un corretto confronto tra governo e forze sociali. Non intervengo nel merito di alcuna questione politicamente o socialmente controversa, ma metto in guardia contro la pericolosità di reazioni a qualsiasi provvedimento legislativo, che vadano ben al di là di richieste di ascolto e confronto, per sfociare nel ribellismo e in forzatura e violenze inammissibili“.
Il presidente della Repubblica si è concentrato anche su un prossimo intervento di riforma sulla seconda parte della Costituzione: “Si dovrà verificare in Parlamento la possibilità di definire, o di prospettare credibilmente, revisioni di norme della seconda parte della Costituzione, come si riuscì a fare anni fa solo con la riforma del Titolo V in senso più conseguentemente autonomistico”.
Ma è il distacco tra i cittadini e la politica, e ancor di più i partiti, su cui Napolitano è tornato più volte nel suo discorso: “Assistiamo da qualche tempo all’appannarsi di determinati moventi dell’impegno politico inteso come effettiva e durevole partecipazione. Anche per effetto di una perdita di efficacia, persuasività e inclusività del sistema politico. Una crisi che richiede riforme. Ma una cosa è certa: non c’è partecipazione senza il tramite dei partiti. Questi ultimi possono conoscere periodi di involuzione e decadenza perdendo tra l’altro il senso del limite, ma la sola strada che resta aperta è quella del loro autorinnovarsi“.
“Dei partiti, come della politica, bisogna avere una visione non demoniaca, ma razionale e realistica”, ha proseguito l’ex migliorista del Pci. “Tra rifiutare i partiti e rifiutare la politica ed estraniarsi con disgusto, il passo è non lungo ma fatale, perché conduce alla fine della democrazia e della libertà”.
Superamento dell’antipolitica in primis, urgenza di una nuova legge elettorale (“restituzione ai cittadini elettori della voce che ad essi spetta, innanzitutto nella scelta dei loro rappresentanti e, infine, nella selezione di candidati a ruoli di rappresentanza istituzionale che presentino i necessari titoli di trasparenza morale e competenza”) e infine una nuova dialettica di alternanza tra forze politiche “non più inficiata da una conflittualità paralizzante e non chiusa alle convergenze politiche che le esigenze e l’interesse del Paese potranno richiedere”.
Tutto questo viene riportato in un’ottica europea. “Vedremo in molto Paesi fenomeni di disincanto, di distacco della politica, di più dubbiosa partecipazione ai confronti elettorali”, ha detto Napolitano, “e anche di indebolimento e di crisi di equilibri politici, di schemi di alleanza tra partiti affini, di modelli di alternanza e di stabilità che per lunghi periodi erano rimasti costanti apparendo ormai consolidati”. A fronte di questo, ha aggiunto il capo di Stato, “le risposte delle leadership politiche e di governo nazionali si sono fatte più incerte e problematiche; si è esteso in varie parti d’Europa il fenomeno di reazioni populiste, di aperto rigetto dei vincoli di corresponsabilità e solidarietà europea, di anacronistica difesa delle posizioni acquisite e di privilegi corporativi”.
La soluzione? Per Giorgio Napolitano occorre concertare “seri sforzi di riqualificazione culturale” contro “forze populiste, neonazionaliste e oscurantiste”. Occorre insomma combattere un “quadro di una più generale tendenza al distacco della politica dalla cultura, all’indifferenza verso la cultura”.