È bello, non ha ancora trent’anni e riesce sempre a far parlare di sé. Han Han (rallista, blogger, latin lover, scrittore ed editore) è sulla cresta dell’onda da quando, a diciassette anni, ha lasciato la scuola e ha pubblicato il suo primo romanzo: Le tre porte (Metropoli d’Asia, 2011).
Da allora è il volto e la voce degli 80 hou, la generazione di figli unici nati negli anni Ottanta. Quelli che non hanno mai conosciuto il maoismo, quelli che non sanno cos’è la povertà, quelli che finalmente studiano l’inglese. Insomma, i primi teenager della storia della Cina.
Viziati, saccenti e sarcastici, oggi si ritrovano a combattere in un mondo dove tutto è più difficile di quanto avevano creduto: pochi i posti di lavoro, difficile comprare casa, impossibile coniugare amore e matrimonio.
Nel 2006 ha aperto un blog (ad oggi oltre 530 milioni di visite) dove ha criticato chiunque: i letterati (fece scalpore il suo Il circolo letterario è uno schifo, non si finga figo), i funzionari corrotti, i sindaci e chi più ne ha più ne metta. Ma non il Governo, anche se questo punto, fino ad adesso, era passato quasi inosservato.
Il mese scorso ha lanciato la sua ultima provocazione. In una serie di post, significativamente intitolati Sulla rivoluzione, Sulla democrazia e Sulla libertà, afferma che al giorno d’oggi «il vincitore ultimo di una rivoluzione sarebbe una persona malvagia e crudele» e che quando «un partito raggiunge una certa dimensione, diventa esso stesso popolo».
Questo sarebbe il caso del Partito comunista cinese che conta ottanta milioni di iscritti, il che significa che «300 milioni di persone hanno in famiglia una tessera».
Su queste esternazioni è esploso un dibattito in rete (le reazioni più significative sono state tradotte in inglese da Global Voices) in cui sono intervenuti tutti gli opinionisti più influenti.
Si scomoda addirittura l’artista più in voga del momento, Ai Weiwei, che ironizza sul fatto che sarebbe «un buon pezzo per il Global Times», il giornale in lingua inglese più fedele al Partito.
E infatti è proprio il caporedattore del Global Times, Hu Xijin, che riprende entusiasta il discorso sulle pagine del suo blog: «Le parole di Han Han costituiscono una verità che raramente si sente oggi in Cina».
Non è vero. L’opinione di Han Han è tra le più diffuse, si inserisce in quel filone di pensiero, di cui abbiamo già parlato, che sostiene che la Cina non è pronta per la democrazia.
Fa impressione però che venga esternata da quel ragazzo ribelle che è sempre stato pronto a sfidare tutto e tutti. E fa impressione per la lucidità e la freddezza dell’analisi:
«Molte persone credono che oggi l’obiettivo più urgente da raggiungere in Cina sia l’elezione del presidente con il principio una testa, un voto. Ma questo non è il bisogno più urgente. Al contrario, si produrrebbe solo la vittoria del Partito comunista.
Chi ha più soldi del Partito? 50 miliardi di yuan possono comprare 500 milioni di voti. E se non bastassero, potrebbe arrivare a [spendere] 500 miliardi di yuan. Ogni anno, attraverso le tasse, ne raccolglie un trilione! Come potete sfidarlo?
Pensate che i vostri amici siano giusti e indipendenti. Bé, arriveranno a racimolare poche centinaia di migliaia di voti. Il vostro candidato, sicuramente molto saggio e ben documentato, sarà fortunato ad arrivare a 100mila voti».
L’unica persona che potrebbe competere con il Partito comunista – sempre secondo Han Han – è il fondatore dell’azienda di servizi internet Tencent, Ma Huateng, perché potrebbe promettere 500 yuan di credito a chiunque acceda al suo account QQ [un servizio Tencent di messaggistica online molto diffuso in Cina]. Arriverebbe così a conquistarsi almeno 200 milioni di voti.
«Peccato che, ancor prima di farlo, Ma Huateng si iscriverebbe al Partito comunista».