In un post di qualche tempo fa , metti un orto nel carcere, avevo raccontato dell’idea di creare un orto sinergico nel carcere di Pontedecimo-Genova, curato dagli stessi detenuti. Tutto era nato da un incontro con la direttrice del carcere cui, oltre me e Alessandra Ballerini, avevano partecipato le persone che per Terra! che si occupano di agricoltura sinergica.

Era chiaro sin dall’inizio che non c’erano i soldi per sostenere il progetto ma c’eravamo comunque impegnati a farlo. Nel frattempo, grazie alla generosità di singole persone, siamo riusciti a raccogliere circa duemila euro che ci hanno permesso di comprare le attrezzature di base per rendere concreta l’idea.

E così è nato orti al fresco, un progetto che porta l’agricoltura naturale all’interno della casa circondariale di Pontedecimo.

Dai primi tre incontri di preparazione fatti tra gennaio e febbraio, nasce il diario di Silvia e Francesca, le operatrici di Terra!, attraverso il quale raccontano le storie di Mario, Leonardo e Giovanni  con “pupille sbalordite dalla luce e dai colori ancora autunnali che li circondano”,  di Francesco che “avverte un po’ di giramento di testa perché, stando sempre dentro, trovarsi fuori per lungo tempo è un impatto notevole”, di un detenuto che “dalla finestra sbarrata, proprio sopra l’orto, lancia una bottiglia di plastica con dentro un buon caffè caldo da bere in tazzine, di plastica anche loro”. Un diario che, per la naturalezza con cui è scritto, ci porta dentro il carcere, facendoci sentire persino gli odori, e ci fa vedere  come un piccolo pezzo di terra riesca ad annullare le distanze e a far dimenticare loro che, aldilà dell’orto, c’è un muro invalicabile.

Non è importante parlare in questa sede del perché queste persone siano detenute, ci interessa invece capire quanto (e se) questi piccoli gesti, come mettere le mani nella terra, possano essere una via di fuga per i detenuti: nell’immediato perché  hanno la possibilità di impiegare il loro tempo in maniera utile e hanno un progetto su cui concentrarsi,  far crescere gli ortaggi coltivati; in futuro perché, è questo quello che speriamo, usciranno da lì sapendo come si coltiva il cibo, come ci si sporca le mani con la terra e come questa vada rispettata.

Mentre continua il dibattito politico sul decreto svuota carceri, mentre rabbrividiamo nel leggere i numeri che descrivono la situazione del sovraffollamento delle carceri, l’importanza di questo diario sta nella  forza di farci vedere oltre quei numeri, scoprendo che dietro quelle statistiche ci sono persone in carne ed ossa, ognuno con la sua storia e, speriamo, con un futuro tutto da costruire. Persone che dovrebbero avere la stessa dignità di chi sta fuori ma che invece spesso sono trattate come dei miserabili, rinchiusi lì senza alcuna prospettiva.

Gli incontri riprenderanno in primavera, sperando che per allora la generosità di altre persone ci permetterà di racimolare altre risorse per andare avanti a lungo.

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