L’Europa, ovvero il fallimento di un’idea politica transnazionale, nata con intenzioni magari utopiche per nascondere interessi non sempre nobili, ma comunque idee ambiziose. È inequivocabile, invece, il messaggio comunicato oggi dalle politiche di austerità che strozzano la Grecia, e che sottopongono non solo Atene, ma tutti gli stati membri, al “ricatto del debito”. Bruxelles fa ormai rima con austerità, rigore, monetarismo. E un po’ più in là, se restiamo al lessico economico, con stagnazione, se non depressione e decrescita. Di Altiero Spinelli manco a parlarne, cose lontane.
“Il ricatto del debito”, scandisce Ida Dominjanni – importante firma di un Manifesto più che mai in lotta per la sopravvivenza – dal palco del Teatro Valle occupato a Roma, insieme a uno stuolo di ospiti venuti un po’ da tutto il continente per una tre giorni di forum su reddito, beni comuni e democrazia organizzata da Alternative Europee. Sul palco, tra gli altri, anche il giurista Ugo Mattei, e Maurizio Landini, segretario della Fiom.
Chi ha voglia ancora di parlare d’Europa, oggi, se non per ripensarne radicalmente i termini? Proprio Mattei, uno dei promotori dei referendum sull’acqua dello scorso giugno, ragiona su come “è venuta meno la rappresentanza”. Quello che è successo lui l’ha raccontato più o meno così. Prima c’erano gli stati nazione, e ciascuno popolo se la sbrigava con i propri governanti. Poi il rapporto tra politica ed economia si è invertito, lelogiche di mercato a farla da padrone senza se e senza ma. Infine, la politica è proprio scomparsa, con Grecia e Italia a fare da apripista. E chissà chi altro seguirà, dato che Bruxelles ha abdicato al suo pur residuo e incompiuto ruolo per vestire i panni della Troika.
Ovviamente non c’è da essere ottimisti su quello che accadrà con i tecnici al potere. Ma è anche vero che la evocata scomparsa della politica, tanto nazionale che europea, si declina in almeno due sensi diversi. Da un lato, il venire meno del ruolo dei politici a discapito di quello dei tecnici non è un elemento forzatamente negativo. Il caso italiano, con il paradosso di un Monti, tecno-eroe che ci ha liberati da Berlusconi, ne è un esempio. Al contrario, è il collasso della azione politica, intesa come partecipazione democratica, ad essere deleterio, lasciando la cosa pubblica in mano a pochi. Eppure, come sostengono tanto Mattei che Landini, la definizione dell’ambito dei beni comuni (essenziali per la nostra vita, come lo è l’acqua) e di quello dei diritti fondamentali (un lavoro dignitoso e meno precario possibile, ad esempio, o il reddito di cittadinanza) ci possono far riappropriare di quanto abbiamo perso per starda ultimamente. “Con i referendum come con le azioni No Tav, i cittadini hanno capito che non si può più delegare ad altri. Lo spazio di azione c’è, ed è grande”, ha concluso Mattei.
Qual è questo spazio? Chiamiamola (buona) politica, democrazia, o iniziativa della società civile, poco importa. E se oggi governa la troika sovrannazionale, i ragazzi del Teatro Valle hanno ragione. A problemi europei, risposte europee. Anche in questo caso, però, basta con la delega. E anche in questo caso c’è veramente tanta strada da fare.