La Lega torna all’attacco dei negozianti stranieri. Venditori di kebab turchi o arabi, parrucchieri e massaggiatrici orientali, gestori di take away indiani. Tutti rischiano di avere vita più difficile in Lombardia. Perché questa settimana è stato approvato dalla Commissione Attività produttive e occupazione del Pirellone il ‘progetto Harlem’. Che impone la conoscenza dell’italiano a chi sta dietro al bancone. E dà facoltà ai Comuni di vietare l’apertura di attività che comportino un “addensamento di negozi extracomunitari nella medesima zona”. Per il Carroccio è un modo per “evitare la nascita di ghetti”. Secondo l’opposizione, invece, una norma anticostituzionale.
Manca ancora il sì definitivo del Consiglio regionale. Che con ogni probabilità arriverà nella seduta del 14 febbraio, quasi un anno dopo la presentazione del progetto da parte del leghista Andrea Gibelli, vice presidente della Regione e assessore a Industria e artigianato. Fredde sin da subito le reazioni degli alleati del Pdl, tanto che l’assessore al Commercio Stefano Maullu non ha mai nascosto tutte le sue perplessità. Il provvedimento, da tempo finito in un cassetto, è stato tirato fuori con piccole modifiche solo dopo le minacce di Umberto Bossi, che il 22 gennaio ha messo in dubbio da piazza del Duomo il suo sostegno alla giunta Formigoni.
Così le trattativa tra lumbard e Pdl passano anche dalla stretta sui negozi etnici. Chi vuole aprire una nuova attività di vendita di cibi e bevande dovrà dimostrare di conoscere la nostra grammatica. Altrimenti sarà costretto a pagarsi un corso di lingua e superare una prova. Le merci esposte dovranno poi essere accompagnate da informazioni in italiano, a meno che i termini stranieri non siano d’uso corrente. Una norma a difesa dei consumatori, secondo la Lega. Una legge discriminatoria che colpisce gli stranieri e che per questo è viziata da una “netta incostituzionalità”, sostiene invece Arianna Cavicchioli, consigliere regionale del Pd.
Oltre ai negozi del settore alimentare, sono colpiti anche i centri massaggi: la loro attività viene equiparata a quella dei centri estetici e diventerà indispensabile il possesso da parte del gestore di adeguati requisiti professionali. Se su questo l’opposizione parla di semplice riaffermazione di norme già esistenti, c’è un altro punto al centro delle polemiche: la possibilità data ai Comuni di impedire l’apertura di nuove attività commerciali per ragioni di sicurezza, ordine pubblico e viabilità. Per il relatore della legge, il leghista Massimo Orsatti, i Comuni potranno così “far fronte alle situazioni che sempre più creano problemi e imbarazzo a sindaci e forze di polizia”. Niente più ghetti, dicono i leghisti, che per la legge hanno scelto il nome del quartiere di New York riqualificato dalla ‘tolleranza zero’ di Rudolph Giuliani.
Secondo il Pd però impedire l’apertura di un negozio in un determinato quartiere va contro i recenti decreti del governo sulle liberalizzazioni. E contro le normative europee. La legge Harlem ha infatti l’obiettivo dichiarato di adeguare le regole regionali alla direttiva Bolkestein, che in realtà è stata varata per liberalizzare i servizi e le attività artigianali, non per limitarli. Salvo poi consentire ai Paesi membri di porre alcuni paletti per particolari questioni di interesse pubblico. Il Carroccio si appella proprio a questa possibilità. Ma per Cavicchioli si tratta solo di “una legge bandiera, un tentativo di accordo politico tra Lega e Pdl che non risponde certo alle esigenze dei nostri cittadini e che è impugnabile”. Insomma, conclude l’esponente del Pd, “una volta approvata, la legge non andrà da nessuna parte”.
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