Secondo l’analisi di Gavin Poynter, professore di scienze sociali alla East London University e direttore del centro di ricerca universitario LERI, le Olimpiadi moderne, cominciate ad Atene nel 1896, possono essere divise in quattro fasi: sulla prima (1896-1968) si hanno pochi dati a disposizione, della seconda (1969-83) si può dire che comincino a diventare una possibile fonte di guadagno grazie alla nascita delle sponsorizzazioni e dei diritti televisivi, della terza (dal 1984 al 1991) si può cominciare a parlare di un affare dal punto di vista commerciale, mentre la quarta (da Barcellona 1992) diventa “un vero e proprio business che, coinvolgendo in egual misura fondi pubblici e privati, comincia a generare corruzione”. Dai vari studi effettuati, emerge come i Giochi della quarta fase sono spesso presentati come opportunità di rigenerazione per la città che li ospita, ma finiscono invece col diventare uno spreco di risorse pubbliche e un ottimo affare solo per le speculazioni private. Quello che è analizzato nelle ricerche condotte dal LERI è l’eredità lasciata dalla Olimpiadi nelle ultime cinque città che hanno ospitato i giochi.
Barcellona 1992 è unanimemente considerata un successo sia da un punto di vista economico che d’immagine per la città catalana. In realtà non è proprio così. Se paragonata al resto della Spagna, si nota come Barcellona abbia beneficiato né più né meno delle altre città della crescita generale dovuta all’ingresso della Spagna nell’EU in quegli stessi anni. Anzi, in alcuni casi il processo di rigenerazione è stato “meno intensivo rispetto al resto del Paese, nello stesso periodo gli investimenti nell’area Madrid, grande la metà, sono stati due volte superiori” secondo la ricercatrice Mary Smith. E i 3 milioni di dollari di attivo del bilancio del comitato organizzatore non tengono conto delle spese pubbliche sostenute, i cui ricavi non hanno minimamente bilanciato i costi. E se è vero che il turismo è cresciuto, è altresì vero che i dati dimostrano come abbia cominciato ad aumentare due anni prima delle Olimpiadi. I prezzi delle case dal 1986 al 1992 sono aumentati fino al 240 per cento, costringendo molti abitanti ad allontanarsi dalla città. E per un porto turistico rilanciato alla grande, ci sono le due orribili torri Mapfre e Arts i cui costi di gestione sono in rosso.
Nel 1996 le Olimpiadi di Atlanta sono finanziate con un budget minimalista di 1,7 miliardi di dollari, per lo più proveniente da privati. I Giochi hanno sicuramente contribuito a rinforzare l’economia del settore terziario della città, ma dei 33 mila posti di lavoro creati per le Olimpiadi ne sono rimasti un decimo dopo due anni. Calcolando che anche dopo Barcellona 1992, Sidney 2000 ed Atene 2004 tutti i posti di lavoro temporanei non si sono tramutati in posti fissi, e la disoccupazione dopo un periodo di stallo è tornata a crescere ai livelli precedenti, Mary Smith ha concluso che “le Olimpiadi paiono essere un modo costosissimo di creare nuovi lavori temporanei”. Sidney 2000, a fronte di un bilancio in attivo con una spesa complessiva di 4 miliardi di dollari e di entrate per 2,5 miliardi, ha però sofferto di una costosissima sindrome dell’abbandono. Lo stadio giace per lo più abbandonato come una cattedrale nel deserto, e l’asta per l’assegnazione degli appartamenti ricavati dalla riconversione del villaggio olimpico è andata anch’essa pressoché deserta.
Anche Atene 2004 ha lasciato dietro di sé solo detriti. Secondo un’inchiesta del Daily Mail, ventuno dei ventidue siti olimpici di nuova costruzione sono rimasti inutilizzati dopo appena tre settimane dalla fine dei Giochi. E il costo di mantenimento di queste strutture costa al governo greco oltre 600 milioni di euro l’anno. Da aggiungere agli oltre 10 miliardi di fondi pubblici, sui 13 spesi in totale, utilizzati per le varie infrastrutture in vista dell’Olimpiade. Da notare anche che, nei tre mesi seguenti alla fine dei giochi, nella sola regione attica sono stati persi oltre 70 mila posti di lavoro, la maggior parte dei quali nell’edilizia. Difficile quantificare l’eredità dell’Olimpiade di Pechino 2008, con le stime dei costi che variano tra i 15 e i 40 miliardi di dollari. Di sicuro la crescita economica della città è diminuita negli anni post-olimpici. Come scrivono nella conclusione del loro report sull’eredità olimpica i ricercatori del LERI, le città che hanno ospitato le ultime cinque Olimpiadi “non hanno evidenziato benefici economici a lungo termine”.
Più facile evidenziare le perdite. Partendo dai costi della pista da bob di Cesana (61 milioni di euro), dei trampolini del salto di Pragelato (34 milioni) e dello stadio di freestyle di Sauze d’Oulx (8 milioni). Colate di cemento rimaste inutilizzate che sono i simboli del fallimento dell’eredità delle Olimpiadi Invernali di Torino 2006 e della via italiana alla realizzazione dei grandi eventi. Così come gli orribili stadi di calcio certificano l’inutilità delle spese faraoniche (un esborso di oltre 6 mila miliardi delle vecchie lire per le casse statali) effettuate per i Mondiali di Italia 90. Dagli appalti gonfiati – costi lievitati in media dell’84 per cento rispetto alle previsioni iniziali – per la costruzione di stadi poco funzionali e già da rifare, terminali di aeroporti abbandonati, alberghi finanziati e mai completati, stazioni ferroviarie utilizzate per soli otto giorni e sale stampa demolite dopo una sola partita, gli unici a guadagnarci furono i palazzinari coinvolti nello scandalo degli appalti d’oro.
Come a guadagnare dai Mondiali di Nuoto del 2009 di Roma furono solo i componenti della ‘cricca’ dei vari Anemone, Bertolaso e Balducci. L’eredità dell’ultima via italiana ai grandi eventi è una sequela di processi in corso, cantieri sotto sequestro, ipotesi di infiltrazioni camorriste, colate di cemento, abusi edilizi e devastazione del territorio. Per i Mondiali di Nuoto del 2009 furono spesi 400 milioni di euro di soldi pubblici: molti dei quali per la costruzione il Palazzo dello Sport progettato da Calatrava a Tor Vergata, i cui costi inizialmente erano stimati in 65 milioni e ora sono lievitati ad oltre 600. Ovviamente il centro di Tor Vergata non è stato completato in tempo e non è stato utilizzato per i mondiali di nuoto, disputatisi al Foro Italico. E adesso Alemanno usa il suo scheletro come fiore all’occhiello per la candidatura olimpica di Roma 2020.