Il premier Monti e il ministro Di Paola

Quaranta F 35 in meno e  personale ridotto del 20% in dieci anni. E’ questo il piano del ministro della Difesa Giampaolo di Paola per “recuperare risorse per l’operatività e gli investimenti” in via XX settembre. Il programma è stato illustrato questa mattina alle commissioni congiunte Difesa di Senato e Camera, dopo la presentazione di ieri in Consiglio dei ministri e l’ok da parte del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, durante il Consiglio supremo di Difesa di giovedì scorso. Monti ha parlato di “’importantissima riforma strutturale dal punto di vista economico”.

Il piano della nuova Difesa ‘light’ prevede la compravendita da parte dell’Italia di 90 caccia F-35,  41 unità in meno rispetto a quanto previsto dal programma dei Joint Strike Fighter. “Dobbiamo impostare una incisiva revisione del nostro strumento militare, sostenibile nel tempo e compatibile con le risorse che il Paese e il Parlamento metterà a disposizione”, ha detto il ministro.  Una riforma di queste dimensioni, ha rimarcato Di Paola, “non si può fare senza dibattito e ampia condivisione”, con provvedimenti “graduati nel tempo per far fronte alla ineludibile realtà di difficoltà finanziaria nella quale ci troviamo, nonchè alle esigenze di sviluppo del settore”.

La componente aerotattica, ha sottolineato il ministro, “è irrinunciabile: ora è assicurata da Tornado, Amx e Av-8B, che nell’arco di 15 anni usciranno per vetustà dalla linea operativa. Saranno sostituiti da Jsf, che è il miglior velivolo in linea di produzione, nei programmi di ben 10 Paesi”. L’Italia, ha aggiunto, “ha già investito 2,5 miliardi di euro. Ci eravamo impegnati ad acquistarne 131, ora il riesame del programma ci porta a ritenere perseguibile l’obiettivo di 90 velivoli, un terzo in meno”.

Il programma prevede inoltre la graduale riduzione del personale. Attualmente lo strumento militare è di 183mila militari e trentamila civili, ma il piano punta a scendere progressivamente  a 150mila militari e 20mila civili. Cioè 43mila unità in meno, il 20%, rispetto alle dimensione attuale. La ristrutturazione avverrà in maniera graduale e riguarderà tutte le categorie e la più colpita sarà quella dei quadri-dirigenti, ovvero gli ammiragli e i generali con taglio del 30%.

“Con il solo pensionamento naturale – ha aggiunto Di Paola – ci vorranno 20 anni per ridurre e arriveremmo al 2032, quindi questa mi sembra una prospettiva poco coerente con un discorso di evoluzione rapida”. Per il ministro della Difesa “occorre riequilibrare gli ingressi” e mettere a punto strumenti per favorire le “uscite” , come la mobilità presso la pubblica amministrazione, trasferimenti al civile, aspettativa per i quadri e forme di part time per certe categorie. “Modulando queste misure ed altre che dovrebbero emergere – ha concluso Di Paola – si potrebbe accelerare il percorso di evoluzione ad un regime sostenibile in 10 anni. La riduzione degli effettivi della difesa è un percorso doloroso ma inevitabile”.

Misure che però, secondo il coordinatore della Rete Disarmo Francesco Vignarca, rappresentano “un nuovo gioco di prestigio per fingere un cambiamento di rotta che nei fatti non esiste”. Il riequilibrio tra i costi del personale e le altre voci di spesa militare, spiega, “non si configurerà come un dimagrimento dei fondi che lo Stato spende in questo comparto, sempre e stabilmente oltre i 21 miliardi di euro comprendendo anche soldi non inseriti nel bilancio del Ministero della Difesa. Con un vantaggio automatico e forte per l’industria a produzione militare e un assegno in bianco pronto ogni anno per pagare scelte di acquisizione di sistemi d’arma che una volta fatte vincoleranno il nostro Paese per decenni”.

“Con l’ostentata volontà di andare avanti con l’acquisto del cacciabombardiere F-35 ci possiamo addirittura esporre ad un aumento delle spese militari – sottolinea Massimo Paolicelli esperto di questioni militari per Rete Disarmo – in quanto una riduzione così piccola degli aerei che si dovrebbero acquistare non abbassa la fattura complessiva ed anzi rischia di vedere una crescita del costo unitario”. Con il risultato, conclude, “di acquisire aerei non ancora pronti e non avere alcun risparmio ma al contrario dover gestire per anni il mantenimento ed il supporto ad un nuovo aereo militare senza alcun ritorno reale in termini occupazionali e industriali”.

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