Non bastava che le provincie di Bologna, Reggio Emilia e Rimini bloccassero la caccia agli ungulati, cinghiali e caprioli in primis, causa neve che, almeno sulle colline e sui monti appenninici è ancora presente in grossi cumuli. Motivazione ufficiale: tutela degli animali, perché come erbivori faticano a trovare cibo e perché sarebbe troppo facile ucciderli seguendone le evidenti tracce.
Insomma, mantenere un numero minimo di ungulati per poi giustificare l’attività futura delle doppiette. Anche se pare che i giochi siano tutti da rifare perché nei giorni scorsi la Corte Costituzionale con la sentenza 20/2012 ha dichiarato illegittimi i calendari venatori emanati per legge ribadendo la potestà esclusiva dello Stato in materia di tutela delle specie cacciabili.
Una sentenza storica che rende fuorilegge i calendari venatori di Lombardia, Liguria, Emilia Romagna, Toscana e Marche, oltre alle provincie autonome di Trento e Bolzano e all’Abruzzo, per il quale la Consulta si è dichiarata. “Cade anche la strategia di alcune regioni di raggirare le indicazioni nazionali e comunitarie attraverso lo strumento della legge”, hanno affermato Animalisti italiani, Enpa, Lac, Lav, Legambiente, Lipu-Birdlife Italia, Vas e Wwf Italia a proposito della sentenza n. 20/2012, “Le regioni si conformino rapidamente alle regole di tutela ambientale, non solo per le deroghe ma anche per i calendari venatori”.
Il calendario venatorio, secondo la corte, non potrà più essere promulgato con un progetto di legge, ma con un atto amministrativo. E’ stata quindi smentita la teoria dell’assessore all’attività faunistica venatoria della Regione Emilia Romagna, Tiberio Rabboni, che sosteneva il progetto di legge idoneo e costituzionale.
Un mese fa ad una domanda del fatto quotidiano.it dove si chiedeva all’assessore perché il calendario venatorio fosse stato approvato con un progetto di legge dalla giunta e non come delibera, mettendolo al sicuro da possibili ricorsi al Tar delle associazioni ambientaliste, Rabboni aveva risposto via mail: “Non e’ certo questa la nostra motivazione. Anche una legge regionale può essere impugnata davanti alla Corte costituzionale qualora il governo ravvisi profili di incoerenza con l’impianto normativo nazionale”.
In buona sostanza, come hanno affermato oggi i consiglieri regionali emiliano romagnoli del Movimento 5 Stelle, la precedente procedura non avrebbe consentito alle associazioni ambientaliste di impugnare il calendario deciso e sottoporlo a giudizio: “E’ un trucco da bisca, un sotterfugio. Lo abbiamo smascherato, e siamo contenti che ora si possa procedere a stilare un calendario venatorio con un atto deliberatorio che, eventualmente, potrà essere impugnato dalle associazioni ambientaliste”.
“In una regione dove è ancora permessa la barbarie della caccia con richiami vivi”, segnalano Massimo Bolognesi consigliere nazionale del Wwf e Carla Carrara della Lac Bologna,”e i cacciatori non hanno l’obbligo di segnare immediatamente la fauna abbattuta, la sentenza ha ancora più dell’incredibile”.
“La scelta che si provveda con atto amministrativo”, ha affermato nella sentenza la Corte, “è l’unica coerente (…) e si inserisce armonicamente nel tessuto della legge n. 157 del 1992” non solo perché consente “ai cittadini e alle loro organizzazioni rappresentative la possibilità di tutelare i propri interessi legittimi dinanzi al competente giudice amministrativo (…) ma anche e soprattutto perché mantiene aperta la possibilità di agire in modo rapido sui contenuti del calendario venatorio stesso qualora si ravveda la necessità di intervenire, porre in essere nuove tutele, rivedere tempi, luoghi e specie cacciabili o anche le modalità con cui l’attività venatoria viene prevista”.
La Consulta ha così ribadito che “la selezione, sia delle specie cacciabili, sia dei periodi aperti all’attività venatoria, implichi l’incisione di profili propri della tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, che fanno capo alla competenza esclusiva dello Stato” e dunque “il legislatore nazionale ha titolo per imporre alle Regioni di provvedere nella forma dell’atto amministrativo, anziché in quella della legge”.
L’effetto su quasi tutte le regioni del Centro e del Nord Italia sarà dirompente e vedrà probabilmente crollare gli impianti venatori in vigore, perché le leggi di Lombardia, Liguria, Emilia Romagna, Toscana, Marche ma anche le province autonome di Trento e Bolzano da questo momento devono considerarsi illegittime, così come illegittimi saranno tutti gli eventuali atti, anche provinciali, che ne verranno eventualmente dedotti.
Postilla di non poco conto: la Corte ha anche ribadito l’obbligo, previsto dalla elegge 157/92, di emanare il calendario venatorio “entro e non oltre il 15 giugno di ogni anno”. Un vincolo che era stato ampiamente disatteso da molte regioni e che da oggi andrà rispettato strettamente.
Le associazioni ambientaliste gridano vittoria, associando l’effetto di questa sentenza che “parifica il tema del calendario venatorio a quello delle deroghe per la caccia: per entrambi, le leggi sono illegittime”. E a questo punto in difficoltà non dovrebbero più essere caprioli e daini travolti dalla neve, ma la futura attività domenicale all’aria aperta della lobby delle doppiette.