Per conoscere il destino della Grecia si dovrà attendere per lo meno fino alla serata di lunedì 20 quando, alla conclusione della prevista riunione dell’Eurogruppo, l’Ue dovrebbe finalmente chiarire le proprie intenzioni in merito al tanto atteso piano di salvataggio da 130 miliardi. Ma in attesa della sospirata parola fine esiste da oggi una prima certezza: comunque vada, la Bce non sosterrà alcuna perdita nella ristrutturazione del debito ellenico. In altre parole, l’haircut del 70% sul valore nominale dei titoli di Atene coinvolgerà soltanto i creditori privati lasciando intatte le finanze di Eurotower.

La notizia non è ancora ufficiale, ma ormai non ci sono più dubbi. Nella mattinata odierna, fonti anonime della Bce hanno confermato all’agenzia Bloomberg i dettagli generali dell’accordo. In pratica, la Bce sarebbe pronta a scambiare i titoli ellenici in suo possesso con nuovi bond equivalenti al medesimo valore nominale. La differenza sta però nelle condizioni contrattuali. I vecchi titoli prevedevano la cosiddetta clausola di azione collettiva, ovvero la possibilità del debitore (in questo caso la Grecia) di imporre una perdita (il famoso haircut) al proprio creditore (in questo caso la Bce). Nei nuovi titoli, questa clausola non c’è. Per dirla con Thomas Costerg, economista dell’istituto Standard Chartered interpellato oggi da Bloomberg, l’impressione è che “tutti i creditori europei siano uguali, ma anche la Bce sia più uguale degli altri”.

L’aspetto più importante è però un altro. La Bce ha ovviamente acquistato i titoli sul mercato secondario quando questi si erano già svalutati. In pratica, spiegano fonti greche, nelle casse di Francoforte ci sarebbero bond di Atene per un valore nominale di 50 miliardi di euro, comprati però ad un valore di mercato di 38 miliardi. Siccome lo scambio si realizza con nuovi titoli prezzati ad un valore formalmente equivalente, ecco che la Bce si ritrova con un profitto netto del 24%, ovvero di 12 miliardi. Questo denaro verrebbe quindi girato alle casse di Atene permettendo ai greci di raggiungere l’ammontare necessario per la liquidazione dei prossimi titoli in scadenza (14,4 miliardi) evitando quindi di dichiarare default il 20 marzo prossimo.

Prima di effettuare lo swap (che a questo punto possiamo considerare certo), la Bce si era trovata di fatto in una situazione paradossale. In pratica aveva acquistato una montagna di titoli che, da contratto, avrebbero potuto essere svalutati anche nel loro valore nominale su iniziativa dei debitori cosa che, però, non è consentita dai trattati europei. Quindi, qualora la Grecia avesse imposto un taglio del 70% sulle obbligazioni (che sarebbe costato alla Bce 23 miliardi dei 38 spesi), l’Ue si sarebbe trovata in una strada senza uscita: la natura dei titoli (dotati, come detto, di clausola di azione collettiva) le avrebbe suggerito di accettare l’accordo, i trattati europei glielo avrebbero impedito. Ecco perché la sostituzione degli stessi permette ora a Draghi e ai suoi di uscire dall’impasse facendo valere le proprie ragioni di fronte alla massa dei creditori privati che nei mesi scorsi avevano chiesto alla banca centrale di partecipare all’haircut greco.

La soluzione del problema da parte della Bce si somma all’annuncio arrivato ieri da Atene sul definitivo reperimento dei 325 milioni di euro mancanti per completare il programma dei tagli richiesto dall’Ue. La sensazione, insomma, è che i pezzi del mosaico inizino ad andare a posto fino a comporre la figura complessiva. Proprio per questo, oggi, si fa largo un certo ottimismo in vista della riunione di lunedì nella quale, è lecito credere, anche le ultime resistenze potrebbero finalmente cadere.

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