La pallottola lo ha colpito alle spalle. Dopo l’autopsia, non ci sono più dubbi. Marcelo Valentino Gomez Cortes, il cileno di 28 anni ucciso lunedì scorso dal vigile di Milano Alessandro Amigoni, stava scappando. Come stava scappando anche l’altro uomo, che l’agente dice di avere visto con una pistola in mano. Ma che i suoi tre colleghi ricordano disarmato. Così la posizione di Amigoni, indagato per omicidio volontario, si fa sempre più pesante.
Cade quindi l’ipotesi che l’agente abbia fatto fuoco per legittima difesa, come lui aveva spiegato lunedì sera davanti al pm di Milano Roberto Pellicano, nel ripercorrere la dinamica dell’inseguimento. L’auto dei vigili che si mette in scia a una Seat Cordoba blu in contromano, fino all’ingresso del parco Lambro. Poi l’inseguimento a piedi. E, questo il racconto di Amigoni, il compagno di Gomez Cortes che si gira verso gli agenti impugnando “un revolver a canna corta”. Gli altri tre vigili della pattuglia hanno negato di avere visto la pistola, prima davanti alla squadra mobile, che indaga sulla vicenda, poi in procura. E hanno dichiarato di non avere percepito alcuna situazione di pericolo. Dal canto suo, Amigoni sostiene di avere sparato per spaventare gli uomini in fuga, mirando a un terrapieno e non in aria, per paura che il proiettile potesse finire chissà dove.
Se già nella notte tra lunedì e martedì le discrepanze tra le versioni di Amigoni e dei colleghi avevano convinto il pm a mutare l’ipotesi di reato da eccesso colposo di legittima difesa a omicidio volontario, ieri è arrivato l’esito dell’autopsia: la pallottola è entrata nella schiena del ragazzo cileno ed è uscita dopo aver trapassato il cuore. Sul polso di Gomez Cortes, poi, è stato trovato un segno compatibile con quanto raccontato dagli agenti: il cileno, dopo essere stato colpito, è caduto a terra ed è stato ammanettato. All’inizio, infatti, nessuno si era accorto della ferita e solo dopo qualche istante il giovane è stato liberato e soccorso, prima dell’arrivo degli operatori del 118.
Ora la linea del legale di Amigoni, Giampiero Biancolella, punterà sulla legittima difesa putativa, ovvero cercherà di dimostrare che l’agente, pur non essendo in una reale situazione di pericolo, si era convinto del contrario. Intanto la compagna della vittima, seguita dall’avvocato Corrado Limentani, si è detta molto sorpresa che “questa persona stia ancora lavorando come vigile”. Amigoni per il momento è stato trasferito nell’ufficio procedure sanzionatorie, dopo che ha chiesto e ottenuto di lasciare il Nucleo operativo, dedicato soprattutto al contrasto del degrado urbano e dell’abusivismo commerciale. Un reparto di uomini abituati a venire in contatto, spesso fisico, con gli ambulanti non in regola. E formato anche da ‘duri’, immagine che Amigoni sembrava voler dare di sé con le foto diffuse su Internet in cui tiene un mitra in mano.
Il Nucleo operativo è uno di quei reparti speciali della polizia locale che ora dovrebbero subire una riorganizzazione. Il sindaco Giuliano Pisapia e l’assessore alla Sicurezza Marco Granelli hanno parlato della necessità di una riflessione sulle funzioni dei ‘ghisa’. Che con ogni probabilità vedranno ridimensionato il ruolo da vigili sceriffo su cui aveva spinto nella precedente amministrazione l’ex vice sindaco Riccardo De Corato. Un ridimensionamento chiesto anche dai rappresentanti sindacali della polizia, che durante la riunione di ieri della commissione Sicurezza di palazzo Marino hanno parlato della necessità di evitare “doppioni e sovrapposizioni” con le altre forze dell’ordine. Contrario a questa ipotesi il leghista Matteo Salvini, secondo cui è in atto uno “squallido sciacallaggio” nei confronti della polizia locae: “Se qualcuno vuole mettere fiori nei loro cannoni – ha detto – lo faccia, ma ne pagherà le conseguenze”.