Soldi, tantissimi soldi. Che fanno gola a molti e che, protetti dal velo dell’interesse energetico nazionale, muovono lobby popolate da faccendieri e personaggi noti alle cronache nazionali. Intercettazioni ambientali e telefoniche, Tarantini e Lavitola, ministri e premier. Lobby trasversali alla politica, eppure da essa dipendenti, per un risiko che si muove tra il Sud dell’Italia e il Caucaso, lì dove tutto nasce. Unico, comune denominatore è il gas, l’oro azzurro che sposta miliardi di euro, costruisce alleanze strategiche, decide il futuro di interi territori. E preoccupa chi teme scelte piovute dall’alto ed è ignaro di quanto accade sopra la propria testa: è la gente del Salento, punto d’arrivo e crocevia di quel ‘corridoio Sud’ che potrebbe portare l’Italia a dipendere sempre meno dagli stati esportatori. Altra faccia della medaglia, del resto, è la compromissione di una delle zone più incontaminate della Penisola, dove il business fa rima con turismo, sabbia finissima, mare pulito e sole. Una storia su due livelli: alla base il Paese reale, un gradino più su i padroni del vapore. Un vapore che puzza di gas.
Sarà aprile il mese decisivo per l’Italia. E sarà l’Azerbaijan a deciderne il destino, questo è certo. Il consorzio che gestisce Shah Deniz, il più grande giacimento di gas scoperto negli ultimi dieci anni, scioglierà le riserve e deciderà a chi affidare il suo oro azzurro e in quale condotto incanalarlo per farlo arrivare in Europa. “Entro quel mese, ci è stato assicurato che verrà espletata la gara per il trasporto del gas. Subito dopo potranno partire i lavori, ma l’Italia potrebbe anche essere totalmente esclusa dalla partita”. A parlare è Paolo Pasteris, Country Manager Italia di Tap, una delle società che punta alla costruzione del gasdotto per la via meridionale, quella che, attraversando la Grecia e l’Albania, sbarca direttamente sulla costa del Salento, a San Foca. Un percorso lineare, sicuramente il più diretto, ma che in Puglia incontra le resistenze fortissime della popolazione locale, che ha dato vita al movimento “No Tap”. E’ per questo che due giorni fa Pasteris si trovava a Melendugno, in provincia di Lecce, in un affollato e tesissimo incontro pubblico, per un pelo non degenerato in rissa.
“Noi per lo meno siamo trasparenti – ha detto- veniamo qui a spiegare. L’alternativa è che vi ritroviate con un altro gasdotto che approderà a Otranto e di cui nessuno ha mai saputo nulla”. Sì, è proprio questa l’altra opzione, quella di Itgi Poseidon. La Socar e la grande joint venture estera Aioc – che controllano il gas azero – sceglieranno infatti solo uno dei due progetti concorrenti del corridoio Sud. Ma potrebbero anche lasciarlo completamente all’asciutto, convogliando la risorsa nel corridoio Nord, dove se la giocano il Nabucco e il South Stream. Il primo, che ha sei soci che vanno dalla Turchia alla Germania, arriva in Austria, passando per Bulgaria, Romania e Ungheria. E’ il più difficile da realizzare e il più costoso, ma è sponsorizzato dagli Stati Uniti per mettere all’angolo la Russia, la cui presenza è invece imponente in South Stream, sviluppato da Eni e Gazprom, oltre che dalla francese EdF. Quest’ultimo prevede il trasporto del gas non solo azero ma anche russo, correndo sotto il Mar Nero, per approdare in Italia e in Austria.
E’ in questo scacchiere che si colloca la partita italiana. Soprattutto quella relativa all’abbassamento del prezzo del gas, che continua la sua impennata: 32 euro per MWh agli inizi di quest’anno. A quanto pare, c’è un’unica strada per ottenere questo obiettivo: un gasdotto che arrivi da sud, dalla Puglia. Il motivo è duplice. Non solo perché si migliorerebbe la sicurezza dell’approvvigionamento, bypassando la Russia e le crisi invernali che anche quest’anno, come nel 2005, hanno portato alla riduzione delle forniture. La vera differenza, in entrambi i progetti del corridoio meridionale rispetto a quelli settentrionali, la fa l’assenza dell’Eni, che attualmente detiene il monopolio delle importazioni. Si aprirebbe così, una volta per tutte, alla concorrenza in questo settore, specie in vista della separazione della proprietà tra Eni e Snam, che gestisce la rete di distribuzione. E’ ciò a cui tanto aspira il Ministro dello Sviluppo Economico, Corrado Passera.
Fra due mesi, dunque, potrebbe esserci la svolta. E tra i concorrenti, specie tra Itgi e Tap, è guerra all’ultimo colpo. Il primo, partecipato da Edison e dalla greca Depa, è già in fase di progettazione esecutiva, perché ha già in mano tutte le autorizzazioni del ministero dell’Ambiente e di quello dello Sviluppo Economico, che lo considera “l’opzione più avanzata ed economicamente efficiente nel medio periodo per l’export del gas azero verso l’Europa”, com’è scritto in una nota ufficiale diramata dopo l’incontro di luglio con il ministro dell’Energia dell’Azerbaijan Natig Aliev. Ma i destini dell’Italia, dicevamo, non si decidono a Roma, bensì a Baku. E lì la Trans Adriatic Pipeline ha una marcia in più. Al suo interno, infatti, possiede cospicue quote la norvegese StatoilHidro, che detiene anche, guarda caso, il 25,5 per cento delle azioni dell’Aioc, il consorzio che gestisce i pozzi di Shah Deniz.
E’ in questi giochi quasi fatti, in questo groviglio di strategie più grandi e lontane, che in maniera inconsapevole entra in campo il Salento. E’ la terra in cui, in entrambe le alternative del corridoio Sud, è previsto l’arrivo del gasdotto. Una ventina di km separano San Foca da Otranto. E’ stata necessaria, tuttavia, l’installazione in mare di una piattaforma per i sondaggi, nei giorni scorsi, a scoperchiare il pentolone e a mettere tutti di fronte al fatto compiuto. In pochi sapevano. Di certo, l’incontro di due sere fa a Melendugno dimostra che la gran parte delle comunità locali ignorava i termini della questione. Se a Otranto l’approdo di Itgi Poseidon è previsto in un’area tutto sommato già infrastrutturata – in cui sorgerà anche il nuovo porto turistico – , a San Foca, invece, attraversa una zona delicatissima, vicino alla scogliera di San Basilio, sabbia sottile e falesie fragilissime, fondali costellati da grotte carsiche e da reperti archeologici, praterie di poseidonia, l’alga protetta, che proprio i saggi di Tap hanno svelato.
San Foca, però, paga lo scotto di non aver mai sottoposto a nessun vincolo la sua costa. Non è riconosciuta come patrimonio storico, non è un Sic, non è un’area protetta, tutti motivi per cui Tap ha trovato impedimenti per far sbarcare il suo gasdotto a Brindisi, in piena area industriale. I salentini non ci stanno. “Qui stiamo lottando per avere una vera vocazione turistica, stiamo impegnando denari ed energia, non vogliamo sentir parlare di altro. E poi nessuno viene a illustrarci i rischi, eppure solo qualche settimana fa è esploso un gasdotto in Lunigiana”. A dirlo è Alfredo Fasiello, coordinatore di “No Tap”, il movimento che da Facebook si è diffuso a tamburo battente e ora coagula il dissenso. “Non vogliamo essere comprati – aggiunge – rifiutiamo qualsiasi royalty, qualsiasi indennizzo, perché questo sottende che ci sarà comunque un danno da compensare. Abbiamo il diritto di dire la nostra attraverso un referendum popolare”.
Qualcun altro, durante l’assemblea, è pessimista: “Ancora non abbiamo capito che le decisioni passeranno sulle nostre teste, ci sono interessi troppo forti”. Il che non è per niente da escludere. Solo l’investimento Tap si aggira intorno a 1,5miliardi di euro. E che faccia e abbia fatto gola a molti lo dicono le intercettazioni telefoniche e le carte delle Procure di Bari e Pescara, dove spuntano i nomi di imprenditori e faccendieri come Roberto De Santis, vicinissimo a Massimo D’Alema, Valter Lavitola e Giampaolo Tarantini.
Tutto parte da un’intercettazione ambientale della Guardia di Finanza barese nell’ambito dell’inchiesta sulle escort. E’ il 10 febbraio 2009, l’argomento riguarda i due gasdotti in concorrenza per aggiudicarsi il corridoio Sud. De Santis, discutendo con Tarantini, dice: “La Puglia non darà altri accrediti perché ci sono già due punti, un tubo che sbarca dalla Grecia ad Otranto, che è di Edison, un altro tubo che sbarca dall’Albania a Brindisi… che è quello su cui stavo lavorando io… Presso il ministero dell’Industria è stata istruita questa pratica, perché… c’è tutto pronto, bisogna solo firmare l’intesa tra Albania e Italia”. Tarantini si propone, allora, da intermediario per convincere Silvio Berlusconi ad accelerare i tempi e chiosa: “Il ministro dell’Industria chi è? Scajola. Ho fatto due viaggi in aereo con quello: un uomo suo, si mette a pecora quello”. Il giorno successivo, stando alle carte dell’inchiesta barese, il re delle protesi Tarantini incontra Berlusconi per parlare proprio del gasdotto.
Ma a fare azione di lobbying su un altro fronte, quello del ministro degli Esteri, ci si mette pure Valter Lavitola. In una telefonata intercettata il 15 ottobre 2009, l’ex direttore de l’Avanti parla con la segretaria di Franco Frattini, per chiedergli di fissare un incontro a tre tra lui, il ministro e il vicepresidente albanese Ilir Meta, in occasione della visita ufficiale fissata per il mese successivo. E’ “questione di un’importanza straordinaria”, dice Lavitola. E’ quella relativa al progetto Tap.
Quell’incontro non si è mai tenuto, ma com’è continuata la storia lo dice una lettera riservata datata 20 ottobre 2010 e che Il Fatto Quotidiano ha pubblicato. Così scrive il premier albanese Sali Berisha a Silvio Berlusconi, che comunque non gli avrebbe risposto: “Sono convinto che il Suo sostegno […] creerà il fondamento necessario per far diventare il progetto Tap una realtà e quindi ad ottenere così una visione storica del corridoio di gas a favore d’Italia, Albania e dell’Unione Europea”. La sabbia nella clessidra sta per terminare. Ad aprile si capirà quali interessi saranno a prevalere.