Migliaia di siti internet rischierebbero di essere chiusi all’accesso dal nostro Paese a seguito di un provvedimento di sequestro emesso dal Giudice per le indagini preliminari di Belluno nell’ambito di un procedimento per diffamazione promosso dall’On. Paniz (Pdl) contro, Tiziano Dal Farra, gestore del sito www.vajont.info.
Il condizionale è d’obbligo perché nonostante la notizia abbia, da qualche ora, prepotentemente occupato lo spazio pubblico telematico e lo stesso On.le Paniz abbia manifestato alla stampa la propria soddisfazione per il risultato, il sito risulta allo stato raggiungibile attraverso decine di provider diversi e lo stesso Tiziano Dal Farra, conferma di non aver ricevuto notizia di nessun nuovo provvedimento di sequestro, dopo quello notificatogli ed eseguito nel lontano 2009 per le stesse ragioni per le quali sarebbe stato emesso il nuovo provvedimento.
Una strana storia sulla quale, tuttavia, sebbene con questa doverosa cautela, vale la pena di fermarsi a riflettere.
I fatti, prima di proseguire.
Il provvedimento di sequestro – quello che sarebbe stato appena emesso dal Giudice – avrebbe ad oggetto un ordine rivolto ai provider italiani la cui puntuale esecuzione avrebbe per effetto quello di rendere inaccessibili migliaia di siti diversi rispetto a quello che ospiterebbe, tra le altre, le informazioni ritenute diffamatorie, lasciando, ad un tempo, accessibili queste ultime, tanto dall’estero che dall’Italia, attraverso escamotage tecnici tanto elementari da essere alla portata di qualsiasi neofita del PC.
Veniamo ora a qualche riflessione.
Cominciamo, innanzitutto, dall’effetto ottenuto dal nuovo provvedimento di sequestro o, magari, addirittura dalla sua semplice evocazione se – circostanza che allo stato non può essere esclusa – alla fine dovesse scoprirsi che il nuovo ordine di sequestro non esiste.
La vicenda dell’On. Paniz, risalente al lontano 2007 e sin qui seppellita sotto un mare di bit è, improvvisamente, ritornata agli onori della cronaca e con essa la frase che, a suo tempo, indusse il deputato-avvocato a promuovere il procedimento di querela che ha dato origine al provvedimento di sequestro del 2009 ed a quello – se esistente – dei giorni scorsi.
Una ricerca su un qualsiasi motore di ricerca, utilizzando il nome del deputato, dà il polso dell’indice di impopolarità online raggiunto in poche ore dal deputato del Popolo della Libertà.
Forse, la prossima volta, i tanti Paniz che nel nostro Paese continuano a non capire che la Rete non è una TV o un giornale e che è, invece, uno spazio naturale di confronto libero ed aperto tra idee ed opinioni nel quale non servono – e sono anzi controproducenti – rettifiche e provvedimenti di sequestro, si asterranno dal richiedere un sequestro, nel vano tentativo di sottrarre qualche bit di informazione – lecita o illecita che sia – all’accesso ed al dibattito pubblici.
Ma c’è di più ed è l’aspetto più inquietante di vicende come quella di cui discutiamo.
E’ legittimo, in un Paese civile, minacciare di mettere un enorme cerotto sulla bocca di milioni di cittadini della comunità globale – italiani e non – e precludere ad altrettanti cittadini di accedere a milioni di bit di altrui idee ed opinioni al solo fine di garantire ad un singolo – per quanto Onorevole – di sottrarre un pugno di informazioni che lo riguardano dallo spazio pubblico telematico?
La risposta alla domanda dovrebbe essere negativa e stupisce che i nostri Giudici si ostinino a fingere di non capirlo.
Ogni decisione – in un Paese democratico – è, o almeno dovrebbe essere, il risultato di un giudizio comparativo tra contrapposti diritti ed interessi.
In questa prospettiva non c’è e non può esservi alcun dubbio che la tutela del diritto fondamentale di ogni uomo e cittadino – sin dalla dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1789 – di comunicare le proprie idee ed opinioni attraverso qualsiasi mezzo, Internet incluso, è prevalente rispetto a quello del singolo ad ottenere la rimozione di qualche bit di informazione – anche quando lesivo della propria reputazione – dal cyberspazio.
La ragione è semplice.
L’On. Paniz avrebbe potuto, potrebbe e potrà tutelare la sua reputazione contro le informazioni ritenute diffamatorie pubblicate sul sito in questione, chiedendo la pubblicazione di informazioni di segno diverso sullo stesso sito o, addirittura pubblicandole esso stesso così come domandando al Giudice – come probabilmente avvenuto – la condanna del presunto autore della diffamazione ed il risarcimento del danno sofferto per effetto della pubblicazione di tali informazioni.
Al contrario i milioni di utenti che hanno affidato ad uno dei tanti siti internet che ora rischia di divenire inaccessibile il proprio pensiero o la propria opinione e gli altrettanti che, da anni, visitano questi stessi siti per accedere ad informazioni, idee ed opinioni non hanno nessun modo di far valere e difendere i propri diritti e le proprie libertà fondamentali né oggi, né domani.
Tanti uomini e cittadini della Rete dovrebbero davvero rassegnarsi all’idea che le leggi ed i giudici di un piccolo Paese – rispetto alla comunità globale alla quale, ormai, ciascuno di noi appartiene – a tutela dei diritti di uno dei miliardi di cittadini della comunità globale, possano, in qualsiasi momento, travolgere i propri diritti e le loro libertà?
Personalmente credo di no. Ma la Rete – e questo sfugge all’On. Paniz ed a tanti Giudici dal sequestro facile – serve anche e soprattutto a confrontarsi.