Mi hanno molto sorpreso i numeri che ho letto su Millionaire a proposito di quanti pendolari esistano nel nostro Paese. Credevo che la cifra fosse molto ma molto più esigua. E invece scopro che sono oltre 26 milioni gli italiani pendolari, con 42 chilometri percorsi in media da ogni lavoratore. In realtà 30 minuti è il tempo più diffuso per lo spostamento, ma c’è anche un 3,4% che sostiene di metterci oltre un’ora di viaggio per arrivare sul posto di lavoro. Il 13% si sposta con i mezzi pubblici (e che mezzi), mentre l’83% preferisce l’auto (anche se fa capolino un timido 3% che sceglie la bicicletta).

Cifre impressionanti per un Paese che non riesce a garantire una qualità dello spostamento pendolare, con treni sempre più degradati e diradati. E c’è da dire che non c’è neppure nessuna politica che incentiva il telelavoro, fermo a numeri disarmanti rispetto agli altri Paesi europei. I telelavoratori italiani sono mosche bianche, come ho già scritto in un mio post di alcuni mesi fa raccontando la storia di Daniele che telelavora, ma a Parigi.

Ad oggi da noi solo il 3.9% della forza lavoro occupata telelavora (dati ManagerItalia). In tutto sono 800mila persone. Ma c’è di più. Non riesce a telelavorare neppure chi potrebbe farlo: secondo Isfol Plus in Italia appena il 7% dei dipendenti di aziende che prevedono questo tipo di contratto svolgono il telelavoro. Ma ci sarebbero oltre 2 milioni di lavoratori che vorrebbero “telelavorare” in futuro, se la loro aziende lo rendessero possibile.

Ma allora a chi fa paura il telelavoro? Soltanto alle aziende e alla loro volontà di controllo del tempo e dello spazio del lavoratore, che si spinge fino a pretendere che le “finte partite iva” (ovvero i lavoratori assunti con contratti a progetto) vivano comunque le prestazioni professionali esclusivamente in azienda? Oppure in fondo fa paura a noi stessi, ancorati ad un’idea del  lavoro tradizionale? I problemi del mondo del lavoro (quando c’è, considerando la grave crisi che stiamo vivendo) sono molteplici: incentivare il telelavoro potrebbe forse contribuire al miglioramento delle prestazioni professionali, del benessere del lavoratore e dell’ambiente circostante.

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