L’Italia batte tutti in Europa sulle direttive Ue non notificate nella legislazione nazionale. Sono 29 quelle “dimenticate”. Non va molto meglio se nella media si comprendono anche le direttive notificate con errore: in questo caso la media europea è dello 0,8 per cento, noi arriviamo all’1,9 per cento. In questa seconda classifica, peggio di noi c’è solo il Belgio con il 2,2 per cento. Andiamo a braccetto con la Polonia, Paese entrato nell’Ue solo nel 2004, quindi con il sistema di recepimento del diritto comunitario ancora da mettere a punto.

Il dato emerge dal rapporto della Commissione europea sull’attuazione delle regole del mercato unico (che si fonda su cifre aggiornate al primo novembre 2011) pubblicato a Bruxelles in occasione del ventesimo anniversario del mercato unico. Nel dettaglio, con “deficit di trasposizione” s’intende la percentuale delle direttive del mercato interno che non sono state notificate alla Commissione in rapporto al numero totale delle direttive che deve essere trasporto nella legislazione nazionale. Questo vuol dire che una volta che una direttiva europea viene approvata a Bruxelles, i vari governi nazionali devono “digerirla” nei propri ordinamenti e adeguare il diritto nazionale a quello comunitario. Ma evidentemente in Italia troppo spesso qualche testo si perde nella burocrazia di Camera e Senato.

Sono quindi 29 le direttive Ue non notificate dall’Italia, una in più il Belgio, ma ben 15 in meno la Francia e 14 in meno la Germania. Poi non mancano le eccellenze, come la Danimarca (7 non ratificate) e l’Irlanda (4). Questa volta non consola nemmeno guardare le “new comers” in Europa come Romania (17) e Bulgaria (13). Possibile che proprio l’Italia, uno dei sei Paesi fondatori dell’Ue, si trovi così indietro nell’applicazione delle direttive comunitarie? A guardare i dati Si, e dire che l’ultimo rapporto sulla “Nuova strategia per il mercato unico” del maggio 2010 porta proprio la firma dell’attuale Premier italiano Mario Monti.

Ma non solo l’Italia è lenta a ratificare, o lo fa in modo scorretto, le direttive comunitarie. Secondo i dati della Commissione siamo soliti reagire con un’alzata di spalle anche alle sollecitazioni di Bruxelles, o peggio ancora non reagire per niente. Sì perché quando uno Stato non recepisce nei tempi dovuti una determinata direttiva, l’Ue invia qualche sollecito, fino a scrivere una lettera di messa in mora, primo passo ufficiale verso l’apertura di una vera e propria procedura d’infrazione. I tempi sono sempre molto dilatati, proprio per permettere alle autorità nazionali di dare una risposta o mettersi in regola. Tuttavia anche in questa classifica l’Italia si becca un bel bollino rosso nel rapporto della Commissione.

Infine ci sono le procedure d’infrazione, ovvero le “punizioni” previste dalla legislazione europea per i Paesi meno diligenti. Secondo il dipartimento italiano delle politiche comunitarie, ad oggi le procedure a carico dell’Italia sono 132, ben 95 delle quali riguardano addirittura casi di violazione del diritto dell’Unione e 37 sono relative a mancato recepimento di direttive. In cima alla lista troviamo le questioni ambientali 33 (ad esempio rifiuti, discariche, falde acquifere), seguite da fiscalità e dogana (14), lavoro e affari sociali (12) e trasporti (11). Insomma davvero non male. E cosa succede in caso di condanna dopo una procedura d’infrazione? La Commissione europea si rivolge alla Corte di Giustizia e questo può portare ad una sanzione economica ai danni del Paese aggravata per ogni giorno di ritardo dell’adozione della direttiva in questione. Insomma, pioggia sul bagnato.

Ma di chi è colpa? Secondo Sergio Cofferati, eurodeputato S&D e membro della commissione mercato interno al Parlamento europeo, “molte responsabilità sono di chi ha governato negli ultimi vent’anni perche basta andare un po’ indietro con la memoria per vedere l’ostilità dei governi di centrodestra e di una parte del sistema industriale nei confronti dell’Europa”. Secondo Cofferati i risultati sono due: “Un’ampia perdita di credibilità in Europa e il diffondersi tra i cittadini dell’idea che in fondo è possibile eludere le regole”.

All’ultima riunione del Consiglio europeo, il 30 gennaio 2012, i capi di Stato e di Governo hanno sottoscritto una dichiarazione con delle misure indispensabili a rilanciare il mercato interno europeo. Lo scorso 20 febbraio, inoltre, 12 Paesi europei (tra cui l’Italia) hanno sottoscritto un’altra lettera indirizzata al Consiglio del 1 marzo con indicate altre mosse per rilanciare lo sviluppo in Europa sempre grazie al completamento del mercato unico. Insomma, a ben guardare, il grosso del lavoro di Monti resta in Italia.

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