Udienza importante, ieri, al processo per l’omicidio di Mauro Rostagno, il giornalista-sociologo dalle molte vite che, dagli schermi di un tv privata trapanese, spiegava la mafia a chi ne era governato, cioè i cittadini di Trapani e dintorni.
È da un anno che il processo va avanti, imputati Vincenzo Virga e Vito Mazara, nel disinteresse della grande stampa. Eppure ogni udienza riserva qualche sorpresa. Ieri la sorpresa si chiamava Angelo Siino, il cosiddetto ministro dei lavori pubblici di Totò Riina, pentito di mafia. Quattro ore di deposizione, un viaggio a ritroso nel tempo, alla Trapani degli anni Ottanta, completamente in mano alla mafia, agli appalti truccati, ai politici in ginocchio. E al delitto Rostagno, del quale Siino aveva già parlato 17 anni fa, nei primissimi tempi del suo “pentimento”: “Collaboravo da un mese” precisa oggi Siino. E da quel verbale di tanti anni fa (ma solo cinque dopo la morte di Rostagno) si dipana il racconto che il pentito fa in aula.
Un racconto che conferma quanto già detto da un altro pentito, Vincenzo Sinacori, e cioè che dietro l’omicidio di Rostagno c’era Francesco “Ciccio”Messina Denaro, sottocapo della famiglia di Mazara del Vallo.
Siino rievoca i suoi incontri con don “Ciccio”, delle sue minacce contro il giornalista, della netta sensazione che “Rostagno da un giorno all’altro avrebbe fatto una brutta fine”. E poi degli avvertimenti che aveva dato a Puccio Bulgarella, editore di Rtc, la televisione che mandava in onda i servizi e gli editoriali di Rostagno, ma che, essendo anche e soprattutto un imprenditore edile, era inevitabilmente in rapporti di affari con emissari della mafia. “Gli dissi che la minaccia era seria, che veniva da una persona importante”. Minacce che arrivarono a Rostagno, ma che non lo misero a tacere, non frenarono la sua sete di verità e giustizia. Perché Rostagno era “un cane sciolto” come diceva Bulgarella, la cui tv grazie a lui ebbe un’impennata negli ascolti. Ma soprattutto un incubo per i mafiosi: “Si tu lo senti parlare t’arrizzano li carni”…è un cornuto” diceva di lui Messina Denaro.
I depistaggi sul suo assassinio partirono da subito, addirittura dall’ambiente mafioso: “Battista Agate mi fece notare che (per ucciderlo, ndr) era stata usata una scupittazza vecchia, un vecchio fucile, che era esploso” racconta Siino. “Me lo disse per calmarmi, per farmi convinto che non era stata la mafia…tentavano tutti di calmarmi perchè ero agitato per quel delitto, non perchè Rostagno mi faceva simpatia … A me sembrava strano che per un delitto di tale rilevanza veniva usato un fucile vecchio … E però in quella occasione, mentre Agate tendeva ad escludere colpe della mafia, Ciccio Messina fece un segno quasi a smentire Agate”.
“Una questione di corna”, così venne liquidato il delitto dai carabinieri che sostituirono quasi subito la polizia nelle indagini e abbandonarono contestualmente la pista mafiosa. “Un delitto fra amici” fu l’ipotesi portata avanti anni dopo, con tanto di arresto della compagna di Rostagno, Chicca Roveri, liberata poi con tante scuse. Non mancò nemmeno la pista politica: un delitto ordito per far tacere Mauro, che sarebbe stato ascoltato dai giudici sul delitto Calabresi. Quest’ultima tesi era stata caldeggiata subito dopo la morte di Rostagno da Aldo Ricci, nuovo direttore di Rtc (e sostenuta ancora oggi). A un incontro in un ristorante di Palermo “quel giornalista fece cenno che il delitto Rostagno poteva essere maturato dentro Saman, Bulgarella si infastidì” racconta Siino. Una tesi smentita dallo stesso Rostagno con i suoi interventi televisivi a favore di Sofri e compagni. E inverosimile per Siino: “Avevo sentito parlare Francesco Messina Denaro in modo violento contro Rostagno”. E tanto bastava a lui, che il linguaggio mafioso ben conosceva, per capire da dove fosse venuto l’ordine di ucciderlo.
Nella deposizione del pentito c’è anche un riferimento alla massoneria e a Lucio Gelli: “A Trapani qualche volta ho avuto frequentazioni con ambienti della massoneria, io stesso ero massone”. Ma a Trapani, precisa, “non c’erano mafiosi e massoni assieme, altrove si. a Roma, Milano, Palermo”. E Licio Gelli, ha avuto rapporti con mafiosi trapanesi? “Nel finto sequestro Sindone, Gelli venne a Palermo e per un giorno sparì, e il prof. Barresi (Michele Barresi, ginecologo palermitano, piduista) mi disse che erano andato a Trapani per cercare appoggi tra i fratelli di Trapani”.
“Meno male che erano due paginette di verbale” commenterà alla fine dell’udienza Siino a voce abbastanza alta da farsi udire in tutta l’aula, riferendosi al suo verbale di 17 anni fa. Di cose da dire, evidentemente, ce n’erano ancora tante, e tante altre probabilmente ci sarebbero.