La ricerca italiana non gode di buona fama nel suo paese. Così spesso abbiamo ascoltato le notizie di scandali nel mondo accademico che ci sembra che l’intero ambiente della ricerca accademica e extra-accademica sia solo l’insieme delle corti dei vari baroni sparsi per l’Italia. L’aneddotica, però, non è statistica: tante notizie di scandali non danno il quadro dello stato di salute della ricerca in Italia. Per sapere effettivamente cosa succede bisogna affidarsi alla agenzie di ranking internazionali. Poiché è recentemente apparso il Sir world report 2011 dell’agenzia Scimago, voglio commentare qualche dato e fornire qualche riferimento.
Per produzione scientifica assoluta (quindi non commisurata o corretta per nessun parametro aggiuntivo tipo finanziamenti, numero di lavoratori addetti etc.) l’Italia si classifica al settimo – ottavo posto nel mondo. Cito i dati dell’agenzia Scimago; oppure quelli riportati nel terzo report sulla ricerca della Comunità Europea (si puo’ scaricare dal sito web del Cordis, è un documento piuttosto lungo e il grafico rilevante al nostro discorso si trova a pag. 290). Anche la prestigiosa rivista scientifica inglese Nature, in un articolo sulla ricerca in Italia (volume 440, pagine 264-265, 16 Marzo 2006) aveva scritto:
“Given the difficult conditions in which many have to work, the output in fundamental research is relatively impressive; in number of publications and publication impact, Italy scores seventh out of the world’s 140 highest-performing countries.”
Il dato assoluto va interpretato alla luce delle variabili caratteristiche del Paese; in particolare si deve osservare che i ricercatori (traduciamo con scienziati? include i docenti universitari) sono tra 3.000 e 6.000 per milione di abitanti nei paesi più sviluppati (dati della world bank) e meno di 1.000 per milione negli altri paesi (600 per milione di abitanti in Egitto, ma solo 70 per milione di abitanti in Ecuador). L’Italia ha una strana cifra, 1.600 per milione di abitanti, che non la qualifica in nessuno dei due gruppi (insieme a Grecia e Polonia). Questo valore, moltiplicato per la popolazione ci dice che in Italia ci sono circa 70.000 addetti alla ricerca assunti a tempo indeterminato nel settore pubblico (Università ed Enti Pubblici di Ricerca) e ritorna con il dato di Eurostat, quindi penso che sia affidabile. La spesa per la ricerca in Italia è bassa (1,2% del nostro piccolo Pil confrontato con 2% o più in area Euro; e non parliamo degli Stati Uniti che spendono in ricerca il 2,8% del loro Pil: dati della world bank.
E’ vero, l’Italia produce meno ricerca di Francia, Gran Bretagna e Germania; ma mediamente i ricercatori italiani, essendo meno numerosi, producono di più dei loro colleghi, come risulta esplicitamente dai dati di Observa citati anche sulla rivista Le Scienze (giugno 2007, pagina 22).
Da ultimo: secondo il report di Scimago, le due istituzioni italiane che producono in assoluto il maggior numero di pubblicazioni scientifiche sono il Consiglio Nazionale delle Ricerche (al 23mo posto nel mondo) e l’Università Sapienza di Roma (al 56mo posto).