Mario Monti si è meravigliato della situazione, in visita all’Aquila.
E anche se ha speso parole di elogio per Gianni Letta (ennesima dimostrazione della continuità formale fra il suo Governo e quello di Berlusconi), la relazione prodotta dal Ministro Fabrizio Barca, del suo esecutivo, se analizzata fra le righe dei pilastri fondamentali, non fa che dimostrare una cosa: che le istanze di tutti quegli esponenti della società civile che protestavano e, fin dal mese di aprile del 2009, poco dopo il terremoto, si erano spesi per mettere in guardia a proposito della facile propaganda governativa sui “miracoli aquilani” di Berlusconi e Bertolaso erano assolutamente centrate.
Altrimenti non si spiega come mai nella sua relazione il ministro Barca rilevi la necessità di trasparenza, di raccogliere e diffondere dati in maniera esaustiva ed esplicativa; come mai, a distanza di tre anni, si parli della necessità della partecipazione delle popolazioni locali alla ricostruzione e allo sviluppo; come mai si inviti a redigere le white list delle imprese virtuose per mettere al riparo la città dalle infiltrazioni mafiose nella ricostruzione. La relazione, senza esplicitare le critiche, è una cartina di tornasole perché rivela l’assenza di dati certi delle spese nella prima fase emergenziale, evidenzia i costi degli interventi permanenti (le famigerate C.A.S.E.) e le lungaggini per partire con la ricostruzione pesante.
Insomma, leggendo fra le righe – con buona pace di Monti che elogia Letta – vi si trova il più grande fallimento del Governo Berlusconi, raccontato agli italiani come il suo più grande successo. D’altro canto, lo stesso Monti ha ammesso: «Non immaginavo una situazione del genere» (era il titolo di ieri del giornale locale il Centro, come si può vedere dall’immagine. Oggi è stato già sostituito dal più rassicurante «La città ripartirà come l’Italia»).
All’Aquila la democrazia della comunicazione era stata sospesa. La situazione è molto simile a quel che accade in Val di Susa a proposito della Tav: il pensiero unico che veicola, fatte salve rare eccezioni, le ragioni del sì alla grande opera, come l’unica soluzione possibile (è la stessa retorica con cui si è raccontato all’Italia l’intervento all’Aquila, con la costruzione di 4.500 appartamenti ex novo che hanno come risultato il fatto che a distanza di tre anni dal sisma ancora la metà della popolazione vive lontana dalle proprie abitazioni e che i 19 “new village” snatureranno per sempre il tessuto sociale e urbano della città).
Forse, vista la “sorpresa” di Monti in visita al capoluogo abruzzese terremotato e che stenta a ripartire, come spiega bene la relazione di Fabrizio Barca, bisognerebbe invitare il premier al “cantiere” di Chiomonte. Così si potrebbe sorprendere ascoltando le ragioni di centinaia di tecnici che spiegano per filo e per segno il “no” alla Tav e si potrebbe meravigliare vedendo di persona il cantiere-che-non-c’è.
La sospensione della democrazia (della comunicazione e non solo) all’Aquila e in Val di Susa hanno molti punti in comune.
(nel video, il trailer del documentario “Comando e controllo”, con cui ho raccontato la gestione emergenziale dell’Aquila secondo la logica dell’ordinanza e della propaganda).