Possibile che nella finanza (come nella politica) imperi una memoria così corta? Che nella vicenda della Grecia, che ha appena archiviato il suo swap sui titoli di Stato con apparente successo ed evitato un default (almeno quello esplicito), non si cerchi di andare indietro nel tempo, per capire: di chi è la colpa? Solo di un’amministrazione greca scaltra e sprovveduta? In queste settimane emergono nuovi elementi che inchiodano dinanzi alle proprie responsabilità Goldman Sachs, il gigante Usa, la banca d’affari che ha fatto dei derivati la sua religione. Le rivelazioni più recenti arrivano da un’inchiesta realizzata per l’agenzia Bloomberg da Nicholas Dunbar, giornalista tra i più aggressivi sulla finanza spazzatura, ed Elisa Martinuzzi. Hanno raccolto le prime confidenze di Christoforos Sardelis e Spyros Papanicolaou, responsabili dell’agenzia pubblica ellenica del debito pubblico, il primo dal 1999 al 2004 e il secondo da quell’anno fino al 2010. “L’intesa del nostro Paese con Goldman è stata una storia molto sexy fra due peccatori”, ha sottolineato Sardelis. Insomma, persero la testa, con più o meno consapevolezza.
Nel 2001 i greci dovevano disperatamente ridurre il debito pubblico per rispettare i limiti imposti da Bruxelles per l’Eurozona, dove erano entrati a far parte il primo gennaio dello stesso anno. Avrebbero potuto centrare lo stesso obiettivo aumentando le tasse o riducendo la spesa pubblica. Preferirono accettare “l’aiuto” di Goldman Sachs, che allora beneficiava ancora della sua reputazione di banca d’affari seria, consulente di imprese e governi per le privatizzazioni e le scalate aziendali. Ma che in realtà si stava progressivamente trasformando in una macchina d’assalto degli strumenti finanziari derivati, negoziati al di fuori dei mercati tradizionali. Sì, era quello di cui aveva bisogno Atene. Sottoscrisse con la banca un accordo, che permetteva di trasformare mediante uno swap 2,8 miliardi di euro di debito (solo il 2% del totale, ma necessario per ritoccare i conti di quanto si doveva) in dollari e yen in un prestito emesso in euro, ma sulla base di un tasso di cambio storico (e fittizio), che non corrispondeva alla realtà. Il contratto consentiva di sottrarre 2,8 miliardi al debito pubblico, assorbiti dall’opaco mondo della finanza ombra: Goldman prestava segretamente quei soldi alla Grecia. Sardelis ammette oggi che altri Paesi europei, come l’Italia, hanno impiegato metodi simili.
L’accordo venne raggiunto nel giugno 2001. Come indicato dagli ex alti funzionari greci alla Bloomberg, oltre a quei 2,8 miliardi, Atene dovette sborsare 600 milioni a Goldman Sachs, costo immediato dell’operazione: una sorta di commissione, elevatissima (molto più alta del costo di una equivalente sul mercato obbligazionario “normale”, alla luce del sole), dovuta all’alta rischiosità dell’operazione. Per finanziare il primo swap, lo Stato ellenico ne sottoscrisse un secondo con Goldman Sachs, che a sua volta “derivatizzava” tutti questi contratti, scaricandoli su altri investitori, sotto forma di Cds e diversi strumenti della finanza ombra. Proprio su questo secondo swap, agganciato ai tassi del mercato obbligazionario, i primi problemi iniziarono con gli attentati dell’11 settembre del 2001. I costi dell’operazione esplosero. E le cose non migliorarono quando, nel 2002, la banca decise di legare lo swap a un indice calcolato sulla base dell’inflazione dell’Eurozona. Quando, nel 2005, si decise di ristrutturare il debito iniziale di 2,8 miliardi, questi erano già diventati 5,1. A scapito dei contribuenti greci.
Il meccanismo era talmente complesso che Sardelis a Papanicolaou hanno oggi ammesso che ai tempi né loro, né altri all’interno dell’amministrazione ellenica potevano rendersi conto di quello che stavano comprando e trattando. Non solo: “Sardelis, che negoziò il contratto, non poté fare quello che si fa normalmente in questi casi, andare sul mercato e verificare se le condizioni offerte fossero giuste – ha precisato Papanicolaou – perché i dirigenti di Goldman Sachs glielo vietarono: nel caso, l’accordo sarebbe saltato”. E Atene doveva fare in fretta: come perdere l’occasione di partecipare all’impresa dell’euro? E ottenere così nuovi prestiti a tassi bassissimi? A negoziare per conto della banca era l’aggressiva Addy Loudiadis, di origini greche, che con i dirigenti di Atene aveva un rapporto stretto. Ispirato alla fiducia. Per una ragione che sfiora l’assurdità: perché la Loudiadis nel 1999 li aveva messi in guardia contro un’offerta simile a quella di Goldman avanzata da un’altra banca d’affari. Rifiutata, almeno quella volta.