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Romanzo di una strage

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Il film di Marco Tullio Giordana riapre una storia infinita. Ecco alcuni miei ricordi di quell’epoca che mi ha visto, purtroppo, testimone in prima fila.

«Romanzo di una strage» è un romanzo o una storia vera? Nessuna delle due. Mi spiego. Un film ha esigenze diverse da un documentario. Considerazione ovvia, ma che va riaffermata quando si vuole fare «cinema verità».
E andiamo ai fatti. Ricordarli non è inutile. Il 12 dicembre alle 16,37 c’è un’esplosione alla Banca nazionale dell’agricoltura in piazza Fontana a Milano: 17 morti e quasi cento feriti.
L’immagine dell’esplosione nel film di Marco Tullio Giordana è impressionante: dà subito il senso del dramma che si sta consumando. E che cosa c’entra in tutto questo Pietro Valpreda che verrà subito accusato di essere il colpevole? Semplice.

È a Milano (stava a Roma) perché convocato dal giudice Antonio Amati per un volantino contro il papa. Va dal giudice il 15 dicembre e uscito dalla stanza di Amati verrà prelevato da due poliziotti. Poi trasferito a Roma.Inizia così la disavventura di Valpreda. Quella di Giuseppe Pinelli è già iniziata nel tardo pomeriggio del 12 dicembre e finirà il 15 con un volo dal quarto piano della questura di Milano. È mezzanotte e il primo ad accorrere è Aldo Palumbo, cronista dell’Unità.

Il film di Giordana ripercorre quegli anni «infuocati» che hanno segnato la storia italiana e, nel piccolo, anche la mia che ero nel gruppo anarchico del Circolo Ponte della Ghisolfa con Pinelli e altri anarchici milanesi. Insomma, un gruppetto che attaccava manifesti, distribuiva volantini, organizzava conferenze, partecipava a manifestazioni si trova all’improvviso coinvolto in una storia di enormi dimensioni. Ricordo ancora (e non potrò mai dimenticarlo) quel mattino del 16 dicembre quando un compagno del gruppo, Amedeo Bertolo, mi telefona dicendomi che Pino è stato ucciso, che dobbiamo andare tutti davanti alla Questura: «Dovranno arrestarci tutti e ucciderci tutti per soffocare la verità». Ma davanti alla Questura mi ritroverò solo: gli altri compagni, verrò a sapere dopo, erano stati nel frattempo tutti arrestati.

E torniamo al film. Il commissario Calabresi, nei miei personali ricordi, non è quell’uomo tormentato dai dubbi. È quello che, durante un sit-in vicino al carcere di San Vittore per chiedere la liberazione degli anarchici arrestati per le bombe del 25 aprile a Milano, sento gridare a Pinelli: «Te la faremo pagare». Solita intimidazione di un poliziotto verso un anarchico che non vuole collaborare? Forse. Però quella frase, dopo quello che è accaduto, sembra quasi una profezia.
Senza dimenticare (come appare anche in una sequenza del film) che per le bombe sui treni del 9 agosto Calabresi cercherà di incastrare, senza riuscirci, Pinelli.

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