Nuova tegola sulle politiche dell’immigrazione dell’ex ministro dell’Interno Roberto Maroni. Dopo la condanna della pratica dei respingimenti in mare da parte della Corte europea dei diritti umani di Strasburgo dello scorso 23 febbraio, oggi arriva una nuova sanzione ancora più pesante. Il Consiglio d’Europa ha addossato al nostro Paese la responsabilità della morte in mare di 63 migranti avvenuta nel marzo del 2011.
”L’Italia, come primo Stato ad aver ricevuto la chiamata di aiuto e sapendo che la Libia non poteva ottemperare ai propri obblighi, avrebbe dovuto assumere la responsabilità del coordinamento delle operazioni di soccorso”, si legge nel rapporto che conclude l’inchiesta dell’organismo comunitario su una delle tante tragedie del Mare Mediterraneo. Secondo questo testo, è stata una “catena di errori”, da parte di Italia e Malta, ma anche della Nato, che ha provocato il mancato soccorso al barcone di 72 migranti in fuga della Libia, 63 dei quali sono morti nelle due settimane in cui l’imbarcazione è rimasta alla deriva nel Mediterraneo. I Centri di soccorso in mare dell’Italia e di Malta “erano informati del fatto che l’imbarcazione era in difficoltà, ma nessuno dei due si è preso la responsabilità di iniziare una operazione di search and rescue”.
La bozza conclusiva del rapporto – dal titolo “Vite perse nel Mediterraneo: chi è responsabile” è stato presentato dall’olandese Tineke Strik, dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, al termine di un’inchiesta di nove mesi avviata per richiesta di 34 membri dell’Assemblea dopo che la tragedia di questo gommone è stata, per la prima volta, denunciata dal giornale britannico The Guardian. Il rapporto poi rivolge anche una critica politica alla “Nato ed ai paesi coinvolti militarmente in Libia per non essersi preparati in modo adeguato all’esodo di profughi e rifugiati”. “Queste persone non dovevano morire – afferma riferendosi ai 63 migranti morti, in maggioranza provenienti dall’Eritrea – se i diversi attori fossero intervenuti o fossero intervenuti in modo corretto, si sarebbe potuto metterli in salvo in molte occasioni. Molto si deve ancora fare per evitare che persone muoiano nel disperato tentativo di raggiungere l’Europa”. “Almeno 1500 persone hanno perso la vita tentando di attraversare il Mediterraneo nel 2011” si legge infatti nel documento che sottolinea che questo caso appare differente “perché appare che le richieste di soccorso siano state ignorate da pescherecci, navi militari e da un elicottero militare”.
La richiesta di soccorso era stata lanciata, dopo 18 ore in mare senza benzina, cibo o acqua, dal ‘capitanò del gommone telefonando ad un prete eritreo che vive in Italia – ricostruisce ancora il rapporto sulla base delle testimonianze dei superstiti – “il Maritime Rescue Coordination Center italiano, immediatamente informato, inviò una serie di messaggi verso le navi della zona per cercare l’imbarcazione in difficoltà”. “E’ stato da questo momento che tutto è andato nel modo sbagliato”, si legge ancora nel rapporto che sottolinea che non solo Malta e l’Italia non hanno reagito, ma anche “la Nato non ha risposto alla richiesta di soccorso anche se vi erano navi sotto il suo controllo nelle vicinanze dalla zona da dove era stata lanciata la richiesta”. In particolare una nave spagnola si trovava ad appena 11 miglia, anche se questa distanza viene contestata dalla Spagna che viene chiamata in causa, come gli altri stati che avevano proprie navi nella zona, dal rapporto che fa anche riferimento al mancato intervento di “due non identificate navi commerciali che si trovavano nella zona”. A questo proposito il rapporto esorta i paesi membri ha “riempire il vuoto di responsabilità” lasciato da “uno stato che non vuole o non può esercitare la sua responsabilità di operazioni di soccorso”, come appunto è stato il caso della Libia.
Il Consiglio italiano per i rifugiati (Cir) fornisce i numeri delle tragedie in mare: “Secondo le stime di Fortress Europe, dal 1998 all’agosto 2011, 17.738 persone sono morte nel tentativo di raggiungere l’Europa – si legge nel rapporto “Accesso alla protezione: un diritto umano“ – Solo nel corso del 2011, circa 2000 tra uomini, donne e bambini sono morti nello Stretto di Sicilia: il 5% di tutti coloro che hanno tentato di raggiungere l’Europa dalla Libia”. Chi sono le persone che muoiono nel Mediterraneo? “Molti -viene rilevato- sono rifugiati che scappano da guerre, violenze e persecuzioni, che non hanno altra alternativa che tentare il pericoloso viaggio del mare per ottenere la protezione di cui hanno bisogno. La possibilità di richiedere asilo nell’Unione Europea dipende infatti dalla presenza fisica della persona nel territorio di uno Stato membro. Ma le misure introdotte nell’ambito del regime dei visti e delle frontiere dell’Ue hanno reso praticamente impossibile per quasi tutti i richiedenti asilo e rifugiati raggiungere i territori dell’Ue in modo legale. Non solo, sono stati rafforzati i controlli alle frontiere esterne ma i sistemi di sorveglianza sono stati estesi anche ai territori dei paesi terzi. Si stima che nel 2011 circa il 90% di tutti i richiedenti asilo nell’Unione Europea siano entrati irregolarmente”. “Inoltre, la maggior parte delle persone che cercano di raggiungere l’Europa sono generalmente soggette a gravi violazioni dei diritti umani nel loro viaggio e in particolare nei paesi di transito e in alto mare”. L’Europa e l’Italia “hanno l’obbligo di dare protezione ai rifugiati, e dovrebbero aprire ingressi legali come unico rimedio per impedire i disperati viaggi via mare. Dobbiamo ricordare che meno del 10% dei rifugiati nel mondo vive in Europa. I rifugiati in Italia sono 56.397, mentre in Pakistan sono 1.900.621 e in Siria: 1.005.472”.
Questo ultimo atto d’accusa verso le politiche di accoglienza dell’ex governo di centrodestra segue a stretto giro la condanna della politica dei respingimenti in alto mare dei migranti, fiore all’occhiello della politica di Maroni e frutto degli accordi bilaterali fra Italia e la Libia di Gheddafi sul contrasto dell’immigrazione clandestina. Secondo le toghe di Strasburgo, questi accordi sono in contrasto con la Convenzione europea sui diritti umani. In particolare con l’articolo 3, quello sui trattamenti degradanti e la tortura. In quell’occasione la Corte ha anche stabilito che Roma ha violato il divieto alle espulsioni collettive, oltre al diritto per le vittime di fare ricorso presso i tribunali nazionali
La sentenza del tribunale europeo, che apre la strada a molti altri ricorsi, si riferiva a un episodio in particolare, quando, il 6 maggio 2009 in acque internazionali a 35 miglia a Sud di Lampedusa, le autorità italiane intercettarono un barcone con a bordo circa 200 persone di nazionalità somala ed eritrea. Nonostante sull’imbarcazione ci fossero anche donne in gravidanza e bambini e nonostante il fatto che le popolazioni provenienti dal Corno d’Africa una volta in Italia ricevano spesso una qualche forma di protezione internazionale, i migranti furono fatti trasbordare su un’altra imbarcazione e riaccompagnati a Tripoli. Senza essere identificati né tantomeno informati della vera destinazione del viaggio. Tant’è che i migranti non hanno avuto nessuna possibilità di presentare alle autorità italiane richiesta di protezione internazionale.