Limitare il ricorso alle partite Iva nel mondo dell’occupazione. C’è anche questo punto nella riforma del lavoro proposta dal governo Monti. Un’idea per bilanciare la modifica dell’articolo 18, contrastando il ricorso a forme contrattuali precarie. Ma l’ordine degli architetti non ci sta: gran parte degli studi ha dimensioni piccole e non si può permettere di assumere gente, sostiene il presidente Leopoldo Freyrie. “Allucinante, così si giustifica l’esistenza di sacche di illegalità”, ribatte Laura Calderoni, una delle fondatrici di Iva sei partita, comitato che dà voce a giovani architetti e ingegneri senza un impiego stabile.
Secondo il ministro del Lavoro Elsa Fornero, la riforma che verrà discussa in Parlamento conterrà norme per evitare utilizzi impropri della partita Iva: potrà scattare l’obbligo di assunzione – si legge nel documento che traccia le linee guida del governo – qualora una collaborazione “duri complessivamente più di sei mesi nell’arco di un anno, da essa il collaboratore ricavi più del 75% dei corrispettivi e comporti la fruizione di una postazione di lavoro presso la sede istituzionale o le sedi operative del committente”.
Una norma che, nelle intenzioni dell’esecutivo, tenta di limitare il proliferare delle ‘finte’ partite Iva. Ma che, secondo Freyrie, creerebbe “gravissimi danni all’intera categoria professionale”. In una lettera inviata la settimana scorsa al governo, il presidente del Consiglio nazionale degli architetti, pianificatori, paesaggisti e conservatori scrive: “La struttura media degli studi di architettura italiani è assai piccola (tra due e quattro addetti) e si basa sulla cooperazione tra titolari e collaboratori”, in un approccio che è “assai distante dal rapporto datore di lavoro/dipendente”.
L’obbligo di assunzione in strutture che hanno volumi di affari assai ridotti avrebbe conseguenze negative, come “la drastica riduzione dei collaboratori, per poter sostenere i nuovi oneri, con aggravio della disoccupazione soprattutto giovanile e la contrazione della dimensione delle strutture con ulteriore difficoltà delle stesse ad essere competitive sul mercato”.
Una visione che, secondo Iva sei partita, è inaccettabile. Il discorso va ribaltato, dice Calderoni: “Molti studi di architettura sono in difficoltà perché si aggiudicano appalti con ribassi dell’80%, che poi vengono scaricati su moltitudini di giovani sottopagati e costretti a lavorare in partita Iva. Se iniziamo a ripristinare la legalità dal basso, anche gli studi medio-piccoli saranno costretti a non accettare più lavori con ribassi così consistenti”.
Calderoni contesta anche un altro punto della posizione di Freyrie: “Non è vero che negli studi è inusuale il rapporto datore di lavoro/dipendente”. Sul sito di Iva sei partita è stato pubblicato un questionario: il 71% di chi lo ha compilato (quasi mille tra architetti e ingegneri) non si considera un lavoratore autonomo, l’81% è stato costretto ad aprire la partita Iva dal datore di lavoro, il 75% non ha nessun contratto scritto e il 71% non può concordare gli orari di lavoro.
I dati, pur non avendo alcun valore statistico, sono una testimonianza di quello che accade in molti studi professionali. La realtà italiana è fatta di “migliaia di giovani professionisti che vengono sfruttati”, scrive Iva sei partita in una lettera di replica inviata all’ordine degli architetti e firmata anche dal movimento Amate l’architettura. Una missiva per ricordare anche le parole di Giorgio Napolitano: “Basta ingiustificata precarietà e inammissibile sfruttamento”.