Una Lega senza più Umberto Bossi. In via Bellerio, a Milano, si conclude così il giorno più lungo del Carroccio. Qui i big del partito arrivano in successione fin dal mattino, con le intercettazioni dell’inchiesta a scandire in agenzia l’attesa per il consiglio federale. Fuori una cinquantina di militanti con le bandiere per sostenere il Senatùr. Loro, a quelle centinaia di migliaia di euro finite nelle tasche della famiglia del Capo, proprio non vogliono crederci.
Esce la notizia che “il Trota” Renzo Bossi è passato di qui qualche settimana fa, per portarsi via i faldoni più compromettenti. Incredulità, fuori. Ma non è ancora nulla. Inizia la riunione, tutti presenti quelli che nel Carroccio contano: si deve decidere su chi succederà all’ormai ex tesoriere Francesco Belsito. Ma dopo appena mezz’ora è un’altra successione che va affrontata: quella di Bossi, addirittura. Il Senatùr s’è dimesso irrevocabilmente da segretario federale. La voce inizia a circolare anche fuori dalla sede. Sgomento, davanti al simbolo padano che sovrasta l’ingresso. Poi i sostenitori si convincono. Finisce tutto qui? “No, non è finito niente”, risponde una signora commossa.
Due ore dopo all’Ansa parlerà di “giorno di grande commozione” pure Roberto Maroni. Lui, che dai militanti viene contestato. Perché oggi, di “Barbari sognanti”, in via Bellerio non se ne vedono. I sostenitori del Senatùr fanno irruzione nel cortile della sede leghista con uno striscione. Urlano: “Bossi, Bossi”. E poi: “Butta fuori i traditori, butta fuori i traditori”. O almeno il traditore, Maroni. Lo paragonano a Giuda nei volantini che gettano contro una delle prime auto in uscita con i con vetri oscurati. Si fa largo tra i flash, credono dentro ci sia Maroni. Gli gridano “buffone, traditore”. Lo inseguono, ma lui non c’è, è ancora in sede. “Ci prova da sempre, Maroni – dice un anziano militante -. Già nel ’94…”.
Bossi ha lasciato il vertice della sua creatura. Rimane una cosa sola da aspettare: che il cancello si apra di nuovo e passi il leader. Per chi sta fuori lo è ancora, leader. I vetri oscurati lasciano intravedere qualcosa nella successione dei vertici. Tocca a Stefano Stefani, da poco nominato nuovo tesoriere. Poi è il turno di Giancarlo Giorgetti: anche a lui urlano “buffone, traditore, vattene a casa”. Maroni e Bossi ancora dentro.
È il Senatùr a uscire per primo. Seduto sul sedile del passeggero davanti, lo si distingue bene. Parte la sirena della scorta, lui fa un cenno di saluto. I sostenitori gli vanno dietro per pochi metri. Ancora “Bossi, Bossi”, l’auto accelera. Se ne vanno anche i militanti: non ci sono più, mezz’ora dopo, quando va via Maroni. Sono rimasti solo fotografi e giornalisti. Ma l’auto fila via veloce. Ora non è il momento delle dichiarazioni.