Strano paese l’Italia, dove non solo chi ruba in grande rischia poco, ma chi sbaglia in grande ci guadagna. Non di straforo, ma con i timbri e i controtimbri della burocrazia. Prendete la strada statale 36 del Lago di Como e l’Anas che dovrebbe costruirla, per esempio. Sono passati quasi 15 anni da quando decisero di avviare l’opera, anzi l’operetta, perché si tratta di appena 4 chilometri e 272 metri d’asfalto. La strada, però, non è finita e dopo aver constatato che non era possibile realizzarla sulla base del progetto iniziale perché era sbagliato da cima a fondo, ora all’Anas hanno deciso di cambiare registro.
Quel progetto va rivisto, hanno sentenziato con ritardo, ma con lodevole resipiscenza e dopo aver comunque speso la bellezza di 228 milioni di euro, una sessantina di milioni a chilometro, un record planetario. Quei quattrini sono stati incassati da Impregilo, il gigante delle costruzioni che si era aggiudicato l’appalto e che si prepara a incassare altri soldi perché un po’ di tempo fa la stessa Anas ha previsto che per finire l’operetta lariana tra Monza e Cinisello Balsamo ci vorranno almeno un’altra quarantina di milioni di euro, tanto per gradire. Sapete a chi l’Anas ha affidato l’incarico di rifare i piani in modo tale che questa volta la via possa essere finalmente realizzata in fretta (si fa per dire), senza patemi e senza sprechi? Allo stesso professionista che aveva dato il suo ok al progetto esecutivo in qualità di amministratore delegato dell’azienda che lo aveva preparato, la società Bonifica.
Non è una barzelletta, anzi, potrebbe essere a pieno titolo una pièce del teatro dell’assurdo. Quel dirigente non è uno qualsiasi, si chiama Massimo Averardi, nome che al grande pubblico dice poco o niente, ma che nell’ambiente delle opere pubbliche è assai noto. Dopo aver fornito nel 2001 all’Anas il progetto ciofeca della strada del Lago di Como, l’ingegner Averardi l’anno dopo fu scippato a forza a Bonifica dalla stessa Anas che, forse anche in considerazione dei meriti conquistati sul campo, compresa la strada del Lago di Como, gli conferì un incarico di primissimo livello: coordinatore di tutta la progettazione dell’azienda pubblica, cioè responsabile dei piani per la costruzione di strade, ponti, viadotti e autostrade.
Tre anni più tardi lo promossero direttore centrale della Direzione programmazione e progettazione, megadirettore galattico, solo un gradino sotto l’amministratore unico e presidente, Pietro Ciucci. E forse sempre in omaggio alle sue doti tecniche, è diventato anche consigliere di amministrazione di un’altra azienda pubblica, la società per la costruzione non di un’operetta come la stradina lombarda, ma di un’operona, quella che avrebbe dovuto magnificare la grandeur di Silvio Berlusconi consegnando all’Eternità il suo nome di Artefice Massimo: il Ponte sullo Stretto di Messina.
Nei ritagli di tempo tra tutta questa gravosa mole di gravosi impegni, l’ingegner Averardi deve anche rifare il progetto della strada del Lago di Como. Gratis, a mo’ di risarcimento, visto che gli errori marchiani della progettazione iniziale sono costati alla collettività quanto un bel pezzetto di manovra di aggiustamento dei conti pubblici? Neanche per sogno. Il progettista Averardi riceverà dall’Anas 43 mila euro per correggere se stesso, quattrini che si sommano agli emolumenti percepiti come megadirettore. Diciassettemiladuecentottantuno virgola 90 centesimi gli sono già stati pagati a settembre dell’anno passato, il saldo sarà effettuato dopo Pasqua.
Considerato che l’Anas è un’azienda totalmente pubblica e che quindi la parcella dell’ingegner-direttore Averardi la paghiamo noi contribuenti, c’è almeno da sperare che questa volta il piano per la strada del Lago di Como non sia irrealizzabile come il precedente. Quello del 2001 era così sbagliato che potrebbe diventare il testo universitario di una nuova materia di insegnamento: come non si deve fare. In quelle carte si erano perfino dimenticati di segnalare non una o due, ma decine e decine di quelle che in gergo tecnico vengono definite le interferenze. Cioè elettrodotti, cavi, condutture, impianti che insistono sull’area dove deve passare la strada. Non era indicato neppure un tubone di quasi 2 metri di diametro, uno dei più grandi metanodotti nazionali, una pipeline che taglia mezza pianura lombarda. I costi di costruzione della strada sono schizzati soprattutto perché sono saltati fuori ‘imprevisti’ che tali non avrebbero dovuto essere se il progetto fosse stato redatto con cura. La spesa preventivata all’inizio era di 93 milioni di euro che diventavano 116 con gli espropri delle aree. La spesa programmata è tre volte tanto. E non è finita.
da Il Fatto Quotidiano dell’8 aprile 2012