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Il boia e il poeta

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Qualche settimana fa ho ricevuto un piccolo libro. Ne voglio parlare perché il suo autore è un poeta, Juan Gelman, uno dei più importanti al mondo (non lo dico io, l’ha detto, tra i molti, uno che si chiamava José Saramago). Ne voglio parlare perché ho terminato di leggerlo proprio ieri, e ieri per Juan Gelman non è stato un giorno qualsiasi.

Gelman è argentino. È vissuto a lungo in esilio durante gli anni della dittatura militare. In quegli anni ha visto sparire, inghiottiti nel gorgo depravato del fascismo di Stato, il figlio e la nuora, genitori a loro volta di una bimba che nacque in carcere e della quale, fino al 1999, si perse ogni traccia, salvo poi essere ritrovata presso una famiglia di Montevideo alla quale era stata data in adozione.

Per lui, sapere che ieri Jorge Rafael Videla, il boia che fu a capo della junta fino al 1981, ha ammesso per la prima volta che durante la dittatura sono state uccise “sette-ottomila persone” (nella trivialità dell’approssimazione c’è tutto il disprezzo che quest’uomo ottantaseienne tuttora nutre per la vita umana) rivelando che i loro corpi sono stati fatti scomparire per evitare che nel paese e nella comunità internazionale si sollevassero ondate di protesta, per lui – dicevo – dev’essere stato come ricevere una pugnalata nel cuore.

Il libro si intitola com/posizioni (Rayuela Edizioni, traduzione di Laura Branchini), fu pubblicato originariamente in spagnolo nel 1986 da Ediciones del Mall (Barcellona), e si apre con un testo dell’81, commosso e appassionato, che reca la firma di Julio Cortázar. Vi si legge, tra l’altro: “Quando Juan trasforma il sostantivo dittatura in un verbo, la prima reazione a una lettura veloce è di sorpresa e quasi di scandalo, si guarda al verso come se fosse abbruttito da un errore di stampa, e poi di colpo si fa il salto, e si scopre la ricchezza di tale metafora, tanto profondamente legata alla nostra realtà, nella quale tutto è dittaturato”.

Le poesie che si succedono in questa raccolta sono di un genere speciale. Lo spiega lo stesso Gelman: “chiamo com/posizioni le poesie che seguono, perché le ho com/poste, vale a dire, ho messo cose mie nei testi che grandi poeti scrissero secoli fa”. Traduzioni di antichi versi, in principio, che passando attraverso la voce di Gelman assumono una tonalità nuova, si rigenerano per sovrapposizione, diventano dialoghi poetici che grazie al mistero della parola umana valicano i millenni.

Un’operazione, quella del piccolo editore Rayuela, due volte benedetta, che spero contribuisca a far conoscere ancor di più in Italia un poeta straordinario, un cantore dell’amore, dell’esilio, della disillusione, un testimone rabbioso e commosso delle immani tragedie che hanno segnato il Novecento.

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