Due anni di recessione. E’ questa la sentenza pronunciata dal Fondo Monetario Internazionale sull’Italia, grande osservata speciale, insieme alla Spagna, del World Economic Outlook, il rapporto periodico diffuso oggi dall’organismo di Washington. Nel corso di quest’anno, il Pil italiano si contrarrà dell’1,9% confermando il segno meno anche nell’anno successivo (-0,3).
Dati che evidenziano un miglioramento rispetto alle stime precedenti (a gennaio si era ipotizzato un -2,2 per il 2012 seguito da un -0,6 per il 2013) ma che non cambiano la sostanza del problema. Quanto alla Spagna, le notizie non sono particolarmente migliori: l’economia di Madrid si contrarrà dell’1,8% nel corso di quest’anno per poi registrare una ripresa minima (+0,1%) nel 2013. L’eurozona registrerà un complessivo -0,3% nel 2012 e un +0,9% l’anno prossimo. Decisamente migliori le previsioni per l’economia globale: +3,5% nel 2012 (a gennaio si era parlato di un +3,3%) e +4,1% nel 2013. Il quadro complessivo, insomma, migliora. Ma per l’Europa la situazione resta ancora preoccupante. In un momento di rinnovata tensione sui mercati, con l’effetto Ltro (il maxi piano di prestiti alle banche da parte della Bce) ormai esaurito, il Fondo monetario torna ad esprimere la propria preoccupazione per quello che resta il grande anello debole dell’economia mondiale: l’area euro.
Certo, a minacciare la crescita mondiale, dicono gli analisti, ci sono anche altri elementi, da un eventuale rallentamento della Cina ai rischi legati alla crescita del prezzo del petrolio, ma non vi è dubbio che il timore principale sia rappresentato dal Vecchio Continente. Ad ammetterlo è lo stesso Fmi. Senza mezzi termini, ovviamente. “Le potenziali conseguenze di un default disordinato e dall’uscita dalla moneta unica di un Paese membro di Eurolandia sono imprevedibili e come tali difficili da collocare in uno scenario specifico” si legge nel rapporto. Tuttavia “se un simile evento si verificasse, è possibile che altre economie dell’area, percepite come simili dal punto di vista degli elementi di rischio, si ritrovino a fronteggiare una forte pressione, il panico dei mercati e una fuga dei capitali dal sistema bancario. Di fronte a simili circostanze una frantumazione dell’area euro non potrebbe essere esclusa”. In sintesi, non si parlerebbe nemmeno più di contagio. Bensì di effetto domino. Per il momento non è il caso di farsi prendere dal panico. Il rapporto del Fondo parla pur sempre del caso teorico peggiore, quello per intenderci che non si è ancora mai verificato. Ad oggi, soltanto la Grecia è andata davvero vicina alla bancarotta disordinata, evitandola, come è noto, con un concambio severissimo per gli investitori e un piano di austerity ancor più severo per se stessa. Come a dire che il disastro resta sempre teoricamente evitabile.
Ma qui si torna al problema di fondo, ovvero alla sostenibilità dei piani di intervento. Ad oggi, come notano ormai in molti, nessun Paese sembra aver reagito bene a quelle politiche di aggiustamento dei conti che influiscono negativamente sulla crescita. La domanda chiave, quindi, è se Grecia, Portogallo e Spagna sapranno arrivare più o meno intatte all’agognata ripresa prima che una qualsiasi combinazione di eventi possa scatenare il panico sui mercati. In attesa di una risposta certa, ecco che l’evento peggiore, per quanto ancora improbabile, non può essere escluso. A garantire un po’ di stabilità avrebbe dovuto pensarci il firewall europeo, ma quest’ultimo, come noto, rappresenta l’ennesimo compromesso di un continente ampiamente diviso. Escludendo prestiti bilaterali già concessi e risorse già impegnate, la potenza di fuoco ex novo del fondo Salva-Stati si riduce a 500 miliardi di euro. Troppo poco per rassicurare i mercati. Anche per questo diventa oggi fondamentale un rinnovato impegno di risorse da parte dello stesso Fmi, alla disperata ricerca di nuovi finanziamenti da parte dei suoi membri. Oggi il Giappone ha annunciato un esborso extra di 60 miliardi di dollari, un passo in avanti verso quel potenziamento della capacità di intervento auspicato dal numero uno del Fondo Christine Lagarde (almeno 400 miliardi). Ma di fronte al persistente rifiuto degli Usa per ulteriori contributi e ai tentennamenti dei Paesi emergenti, la strada resta ancora in salita in attesa di una possibile risoluzione al prossimo vertice del G20 in programma a Los Cabos, in Messico, nel mese di giugno.