Diecimila, forse anche di più. E’ il numero delle persone che oggi stanno partecipando ai funerali di Piermario Morosini, il centrocampista 25enne del Livorno, morto sabato scorso a Pescara per un attacco cardiaco. Bergamo, città natale di calciatore, si è fermata ed è avvolta da un velo di profonda tristezza. Oltre cinquemila tifosi sono arrivati in nottata e molti altri assisteranno alla cerimonia funebre dai maxi schermi allestiti. I familiari sono già all’interno della chiesa di San Gregorio Barbarigo, dove officerà don Luciano Manenti. La chiesa può contenere cinquecento posti, di cui duecento riservati agli esponenti delle società sportive. Sono già arrivati in chiesa i vertici del calcio italiano, da Giancarlo Abete presidente della Figc, a Maurizio Beretta numero uno della Lega calcio. Atteso anche il ct della nazionale, Cesare Prandelli.
E mentre si celebra l’ultimo saluto allo sfortunato calciatore, proseguono le indagini della Procura di Pescara per stabilire cosa sia realmente accaduto durante le operazioni di soccorso. I pm abruzzesi, infatti, hanno aperto un fascicolo contro ignoti ipotizzando il reato di omicidio colposo. In tal senso, la novità di giornata è il sequestro dei due defibrillatori presenti allo stadio Adriatico di Pescara (uno a bordocampo e l’altro all’interno dell’ambulanza del 118), entrambi non utilizzati nei concitati momenti successivi al malore di Morosini, così come emerso dalle testimonianze di alcuni soccorritori. Il mancato utilizzo del mezzo salva-vita, inoltre, è stato nuovamente confermato dal primario di cardiologia dell’ospedale civile di Pescara, Leonardo Paloscia, che si trovava sugli spalti al momento dell’attacco di cuore che ha colpito il giocatore e che è immediatamente sceso in campo una volta resosi conto di quanto stava accadendo. Interrogato dalla Digos come persona informata dei fatti, il medico ha ribadito quanto aveva detto nei giorni scorsi: nell’ambulanza il defibrillatore non è mai stato messo in funzione. “Conoscendo il protocollo, pensavo che fosse già stato utilizzato in campo” ha detto Paloscia. Così non è stato, però. A confermarlo davanti ai pm è stato Marco Di Francesco, infermiere dell’ospedale e componente dello staff di pronto intervento presente allo stadio. Per Di Francesco, il defibrillatore in campo c’era, ma non è mai stato utilizzato nonostante le sollecitazioni dello stesso infermiere nei confronti del primo medico intervenuto. Quest’ultimo, secondo le testimonianze raccolte e ora al vaglio degli inquirenti, sarebbe il medico sociale del Livorno Manlio Porcellini, che ha preferito non commentare la notizia trincerandosi nel silenzio stampa.
Nel prosieguo delle indagini, inoltre, i pm cercheranno di stabilire anche un altro aspetto di fondamentale importanza: in una partita di calcio, chi è il primo responsabile sanitario per quanto accade in campo? I medici sociali delle squadre o il personale del 118? Un fattore non di secondo piano, specie alla luce di quanto accaduto.