Sono rimaste “cene eleganti”, ma quelli non erano travestimenti. Le ragazze che, secondo alcune testimonianze, nei dopocena della villa di Arcore si scatenavano vestite da suora, poliziotto o coccinella, partecipavano a gare di burlesque. Lo assicura l’ex presidente del Consiglio Silvio Berlusconi che si è presentato a sorpresa oggi in tribunale per l’udienza del processo che lo vede imputato di concussione e prostituzione minorile (l’affaire Ruby Rubacuori, insomma). Lo ha fatto per vedere “questa sceneggiata, una grande operazione mediatica di diffamazione”; “è uno scandalo – ha aggiunto – l’uso dei soldi pubblici per questo processo inutile”.
Non si è trattenuto dal dare la sua versione: a casa sua dopo cena si scendeva al piano sottostante in un locale “che era la vecchia discoteca dei miei figli” (secondo alcuni racconti c’è un palo per la lap dance) e le ragazze “facevano gare di burlesque e si esercitavano”. Insomma: si allenavano per le competizioni. Berlusconi ha aggiunto che l’atmosfera era di “gioiosità, serenità e simpatia”.
Tanto che lo rifarebbe: “Riprenderei a fare questi spettacoli di burlesque – ha ripreso il ragionamento alla fine dell’udienza pomeridiana – E’ una forma di spettacolo riconosciuta ufficialmente e molto meno estrema di quello che si vede in televisione e nei teatri pubblici”. Molti dei vestiti usati dalle ospiti di villa San Martino per i loro travestimenti serali nelle gare di burlesque sono, peraltro, “dono di Gheddafi”. Anzi, erano almeno “60 abiti” che il raìs gli ha mandato dopo che lui aveva espresso il suo apprezzamento per la bellezza dei vestiti in una visita. “Me li fece arrivare senza dirmi nulla con un container. Sono neri, lunghi, con gioielli applicati”. Non erano vestite da suora, quindi, le ospiti di villa San Martino, ma da harem.
L’ex premier non ha negato neanche di aver pagato di recente alcune delle ragazze coinvolte nelle feste di Arcore e che saranno chiamate certamente a testimoniare: “Mantengo queste ragazze – ha dichiarato Berlusconi – perché hanno avuto la vita rovinata dalla Procura”. D’altra parte, dice, “hanno perso il lavoro, hanno perso il fidanzato e forse non lo troveranno più” e fatto notare come in alcuni casi i genitori delle giovani “hanno chiuso il loro esercizio commerciale”. L’unico torto, ha aggiunto, è stato quello di “accettare un invito a cena da me. E’ stata rovinata la vita a trenta ragazze, è una cosa scandalosa”. Ho sempre mantenuto ragazze, ragazzi, uomini, anziani, perche’ me lo posso permettere, nonostante la rapina del secolo mi abbia derubato di 500 milioni (chiaro il riferimento al lodo Mondadori, ndr). Quando uno ha una barca non deve preoccuparsi di quanto gli costa l’equipaggio”. Quanto alle ragazze che si sono costituite parte civile il leader del Pdl ha commentato: “Mi sembra che abbiano imparato una parte a memoria e le loro testimonianze siano tutte uguali”.
Infine un pensiero per Karima el-Mahroug: “E’ una ragazza che mi ha fatto veramente tanta pena, ha raccontato una storia di vita drammatica dicendo di essere stata buttata fuori dalla famiglia perché si era convertita alla religione cattolica. Si era costruita un’esistenza fantasiosa, vergognandosi della realtà. Decidemmo di aiutarla per evitare che si prostituisse”. Ora non viene dato più alcun aiuto alla ragazza, perché “ha trovato una persona perbene che l’ha sposata”. L’ex premier ha ripetuto di aver aiutato Ruby perché aveva il desiderio di comprare delle apparecchiature per diventare socia di un centro estetico: “L’aiutammo per darle la possibilità di non doversi vendere”.
Una cosa è certa: nessuna pressione sui funzionari della questura. “Se non avessi avvisato la questura avrei mancato al mio dovere”. E’ stato “un intervento che ho eseguito come premier”. In pratica “la nostra informazione era che quella ragazza fosse parente del presidente Mubarak ed era mio dovere segnalarlo”.
L’ex questore: “Fu tutto normale”. Fu “normale” la gestione che venne fatta di Ruby in Questura la notte tra il 27 e il 28 maggio 2010. Così ha detto in aula l’ex questore di Milano Vincenzo Indolfi. Di come fossero andate le cose quella notte “l’ho saputo in riunione il giorno dopo – ha spiegato Indolfi – Perché non informai il capo della polizia? Perchè tutta la vicenda era stata risolta”.
Il capo di gabinetto: “Capii che non era la nipote di Mubarak”. La notte del fermo di Ruby, il 27 maggio 2010, il capo di gabinetto della Questura di Milano Piero Ostuni si era convinto “che la ragazza non fosse la nipote di Mubarak”. Però non avvisò nessuno, né il questore, né la presidenza del Consiglio che lo aveva “allertato” sul fatto che la ragazza fermata per furto fosse parente dell’allora presidente egiziano, con conseguente rischio di un incidente diplomatico. “In quel momento non ci ho pensato” ha risposto in relazione alle presunte pressioni fatte in Questura per ottenere che la giovane Karima fosse affidata al consigliere regionale Nicole Minetti.
Ostuni ha riferito delle telefonate ricevute da Silvio Berlusconi e poi da persone della presidenza del Consiglio sulla ragazza. In un primo momento “vista la fonte da cui veniva la notizia ho ritenuto che fosse stata verificata”. Ma poi, informato subito dal commissario Giorgia Iafrate che la ragazza era marocchina, non allertò nessuno. “Non so dare una spiegazione” di questo, ha precisato Ostuni perché “forse un dubbio mi era rimasto. Comunque non l’ho fatto. Non ci ho pensato”.
In diversi momenti della deposizione, Ostuni è stato incalzato dalle domande del pm Ilda Boccassini, visibilmente insoddisfatta dalle risposte generiche fornite dal funzionario (qui l’interrogatorio integrale di Ostuni reso ai pm durente le indagini). Boccassini gli ha chiesto con insistenza per quale ragione, “vista la funzione istituzionale che stava esercitando”, non avesse informato Berlusconi della scoperta che Ruby non era la figlia del leader egiziano. “Sono sincero – ha risposto Ostuni – non so dare una spiegazione del perché non l’abbia fatto. Forse un margine di dubbio dentro di me mi era rimasto sulla circostanza che fosse davvero la nipote di Mubarak”.
Sempre con un “non so, non ci ho pensato in quel momento” il funzionario ha replicato alla domanda sul perché non avesse informato il questore delle perplessità sulla parentela illustre. “Avete fatto considerazioni sulla parentela con la Iafrate?” chiede il pm e Ostuni, ancora una volta, oppone un “non ricordo”. Poi aggiunge: “Ci dicevamo che era molto appariscente”.
La funzionaria: “La affidai alla Minetti per tutelare la minore”. Anche il commissario Giorgia Iafrate ha deposto nell’udienza di oggi, davanti alla stessa Boccassini e al pm Antonio Sangermano. Ruby “mi disse che talvolta si spacciava per la nipote di Mubarak, ma in realtà non lo era”. La funzionaria di polizia ha raccontato di essere andata quella sera a parlare direttamente con la ragazza dopo aver ricevuto una telefonata da Ostuni, che gli aveva riferito la telefonata del presidente del Consiglio. “Ostuni mi disse di verificare se era stata portata questa ragazza e di accelerare le procedure”, circostanza confermata da un altro agente di polizia ascoltato in una delle scorse udienze.
Iafrate ha aggiunto di avere spiegato poi al suo superiore che in questura non risultava esserci una minorenne egiziana, bensì Karima El Marough, e che non era possibile fosse la nipote dell’ex rais. “Dissi quindi a Ostuni che sarei andata dalla minore per chiederle di persona se fosse nipote di Mubarak”. Il funzionario di Polizia davanti ai giudici ha aggiunto di essersi recata per parlare con la ragazza e che lei “si mise a ridere e mi raccontò che lei spesso si spacciava per tale”.
La funzionaria della questura ha anche spiegato durante l’udienza di aver deciso di affidare Ruby al consigliere regionale Nicole Minetti e di non averla trattenuta in questura come invece aveva chiesto il pm dei minori Annamaria Fiorillo perché “ho agito nell’interesse della minore”. Incalzata dalle domande del pm Ilda Boccassini al processo Ruby sul perché non avesse eseguito gli ‘ordini’ del pm, ai quali avrebbe dovuto attenersi quella notte, il commissario ha spiegato che “nell’ambito dei miei poteri di pubblico ufficiale, di fronte alla scelta se lasciare la ragazza in Questura in condizioni non sicure o affidarla ad un consigliere regionale eletto dal popolo, ho ritenuto di seguire quest’ultima possibilità”. Quanto agli accertamenti svolti sulla ragazza quella notte “siamo stati fin troppo scrupolosi”, ha detto il commissario. Ha poi aggiunto che, quando è arrivata la Minetti, “ho assistito personalmente all’incontro con Ruby: si sono abbracciate mentre Karima piangeva perché non voleva più restare in Questura. Insomma, era evidente che si conoscevano bene”.
Quando la Boccassini le ha chiesto perché non avesse eseguito gli “ordini” del pm minorile, ai quali avrebbe dovuto attenersi quella notte, il commissario ha spiegato che “nell’ambito dei miei poteri di pubblico ufficiale di fronte alla scelta se lasciare la ragazza in Questura in condizioni non sicure o affidarla ad un consigliere regionale, ho ritenuto di seguire quest’ultima possibilità”. Il commissario, allora alle prime armi, oltre ad aver affermato che ai tempi era “inesperta sì, ma sprovveduta no”, ha sostenuto di non aver “disatteso gli ordini del pm perchè erano cambiati. E’ vero che in un primo momento aveva disposto di affidarla in comunità ma poi aveva anche detto ‘valutiamo una seconda via, cioè l’affido alla Minetti, solo se compiutamente identificata’”. Ilda Boccassini ha rilevato che la Iafrate ha affidato Ruby alla Minetti alle due di notte mentre l’identificazione è avvenuta alle 4, cioè due ore dopo.