E’ nato lo scorso novembre a Londra e finalmente arriva anche in Italia. Si tratta del Data Journalism Handbook, il progetto ideato da un gruppo di giornalisti, hacker e mediattivisti per promuovere la trasparenza dell’informazione che sarà presentato sabato 28 aprile al festival del Giornalismo di Perugia (qui la lista dei blogger e giornalisti del Fatto quotidiano).
Con la tecnica del data journalism, trend in voga nelle redazioni web dei media anglosassoni, l’informazione si fa coi dati, ancor prima degli articoli. Le ‘fonti’ sono database istituzionali, tabelle governative, statistiche pubbliche, reti sociali, segnalazioni in tempo reale. Ma anche condivisioni sui social network, geolocalizzazioni, e cinguettii di Twitter. Elementi da verificare, incrociare, elaborare e, infine, rappresentare per descrivere i fatti. O fornire agli elettori tutti gli elementi per farlo da sé.
“Un progetto come questo è necessario”, nota Aron Pilhofer del New York Times tra gli ideatori di Hacks Hackers, “ed è sorprendente che nessuno finora ci abbia pensato”. Tra le cinquanta persone che hanno contribuito alla stesura del libro spiccano personalità di rilievo, tra cui giornalisti di primo piano come Simon Rogers e Lisa Evans (Guardian Datablog), Anthony Reuben (BBC) e Heather Brooke (membro dello staff di Wikileaks), ma anche accademici come Paul Bradshaw, professore di giornalismo investigativo alla City University London, hacker del calibro di Francis Irving di ScraperWiki, Chrys Wu, di Hacks/Hackers e Jane Park di Creative Commons.
Il libro, però, è in costante aggiornamento e in pieno stile wiki si può partecipare al processo di costruzione attraverso la mailing list ufficiale o seguire la discussione su Twitter. Per la traduzione in italiano invece alcuni volontari si stanno organizzando nel gruppo ‘Data journalism Italy’.
“Sempre più spesso si chiede ai giornalisti di ricavare articoli dai dati. Ma da dove bisogna partire e quali competenze tecniche sono necessarie per fare data journalism?”, osserva Jonathan Gray, coordinatore del progetto e membro della Open Knowledge Foundation, che ha definito le linee guida dell’handbook. Un libro, spiega Gray, che è “un manuale per il giornalista che intende trovare, elaborare, ordinare, creare e visualizzare dati, il tutto al fine di produrre e riportare i fatti”. Un filone, quello del data journalism, che nasce sull’onda dell’esigenza dei lettori di entrare in possesso dei dati e di osservare direttamente le istituzioni, a cui è richiesta sempre maggiore trasparenza. A intraprendere questo percorso, ad esempio, ci ha pensato Wikitalia. Ma nel Belpaese la strada delle competenze per aggregare i dati a scopo informativo è tutta in salita.