Ridotta fertilità e situazione occupazionale sono motivo di preoccupazione. In Italia, il tasso di fertilità femminile è sceso in maniera preoccupante. Le italiane, penalizzate dalla politica e dai mariti, riescono con difficoltà a conciliare lavoro e figli.
Testata: NZZ
Data di pubblicazione: 18/04/2012
Traduzione di Claudia e Cristina per italiadallestero.info
Articolo originale di Nikos Tzermias
Mamma mia! In quasi nessun altro paese come in Italia gli uomini chiamano tutti i giorni la mamma per raccontarle quello che capita loro di bello o di brutto. La mamma, i figli e la famiglia, per secoli sono stati il fondamento della società italiana, in passato dominata continuamente da potenze straniere. La famiglia è stata “una fortezza in un paese ostile”, ha scritto lo scrittore Luigi Barzini nel suo bestseller The Italians, riferendosi al fatto che le donne sono la spina dorsale della famiglia e senza di loro l’Italia crollerebbe come un castello di carte.Tuttavia nel corso dei secoli le donne italiane avrebbero dovuto anche imparare a trascurare i mariti, che senza le loro mogli non avrebbero concluso nulla.
Cambiamento molto difficile
Il libro di Barzini è stato pubblicato all’inizi degli anni ‘60, quando la famiglia italiana, di stampo cattolico, sembrava funzionare ancora bene e la Repubblica italiana viveva il miracolo economico. C’era un ottimismo generale diffuso. La gran parte delle casalinghe italiane ha avuto in media due o tre bambini. Il paese all’estero era per lo più noto per “La Dolce Vita”, anche se l’omonimo famoso film di Federico Fellini si poneva già in maniera critica nei confronti della società. L’Italia quindi ha subito un decisivo cambiamento sociale con un certo ritardo. Divorzio e aborto furono legalizzati nel 1974 e nel 1978, nonostante l’opposizione del Vaticano. Il numero dei matrimoni è diminuito e quello delle separazioni aumentato, anche se non in modo evidente come negli altri paesi industrializzati. Il tasso di natalità è iniziato a calare negli anni ’70 e anche in Italia i nuclei familiari sono andati via via diminuendo.
L’Italia quindi segue la tendenza generale? Niente affatto. Il tasso di fertilità in questo paese, anche se il più alto della maggior parte degli altri paesi industrializzati, è diminuito. Dal 1970 al 1995 è sceso da 2,43 figli per donna a 1,19. Da allora, il numero è lievemente salito stabilizzandosi a circa 1,4. Questo però principalmente grazie al tasso di natalità molto più alto tra gli immigrati. Ma anche così la percentuale di fertilità in Italia rimane una delle più basse nei paesi industrializzati ed è ancora nettamente inferiore rispetto al cosiddetto livello di ricambio di 2,1 figli per donna
Merita attenzione il forte crollo delle nascite, ma soprattutto perché solo il 48% delle donne italiane ha un lavoro rispetto ad un tasso medio del 59% in tutta l’area OCSE. La docente di economia Daniela Del Boca, di Torino, ricorda inoltre che negli ultimi 15 anni il tasso di occupazione per le donne nei paesi dell’OCSE è aumentato mentre in Italia è rimasto per lo più invariato.
Partorire solo dopo i trent’anni
Così, nel caso dell’Italia, la percentuale di occupazione femminile, di gran lunga molto minore che in altri paesi, è alla base della diminuzione del tasso dei fertilità. Ancor più che in alcuni paesi sviluppati come USA, Gran Bretagna, Francia, Svezia e altri paesi nordici, dove un tasso di fertilità in media molto più elevato, che raggiunge il livello di ricambio, è accompagnato da un tasso di occupazione femminile insolitamente elevato. Questi confronti dimostrano che le donne italiane sono soprattutto in difficoltà nel conciliare figli e carriera.
Certo alle giovani donne italiane piacerebbe avere almeno due bambini. Ma da giovani sono occupate nell’assicurarsi la migliore formazione possibile e subito dopo impegnate nel tentativo di affermarsi sul mercato del lavoro. Sorprendente oggi è la percentuale di donne giovani (25 – 34 anni) in possesso di un diploma di laurea (24%) decisamente superiore a quella dei coetanei maschi (15%). In questo contesto le italiane in genere pensano seriamente ai figli solo dopo i 30 anni, cosa che però ha ridotto considerevolmente la possibiità di prole. La Del Boca, che dirige anche il centro di studi per l’infanzia di Torino, ricorda che un quarto delle donne che lavora, rinuncia alla nascita del primo figlio per il lavoro ed è costretto molte volte dai datori di lavoro che al momento dell’assunzione si fanno firmare illegalmente una lettera di dimissioni in bianco. Tra le donne che perdono il lavoro a causa di una maternità solo i due quinti riescono ad essere nuovamente riassunte.
Come la carriera e la maternità siano in Italia difficilmente compatibili è dimostrato anche da una delle statistiche OCSE pubblicate lo scorso anno, secondo le quali un quarto delle italiane nate dopo il 1965 non ha figli, rispetto al 10% in Francia, 12% in Spagna, 15% in Svezia, il 16% negli Stati Uniti e il 20% in Germania.
Politica familiare arretrata
La docente di sociologia presso l’università di Torino, Chiara Saraceno, attribuisce anche la bassa fecondità e la mancanza di lavoro delle donne italiane ad un livello base di politica familiare che è ancora fermo agli anni ’50 e che ha portato ad un sovraccarico enorme che grava sulle famiglie di oggi. Sulla famiglia verrebbero scaricati tutti quei problemi che in molti altri paesi sono a carico dei servizi sociali pubblici.
La Saraceno e la Del Boca citano anche le ultime statistiche OCSE, stando alle quali il settore pubblico in Italia spende per famiglie con bambini solo l’1,4% del prodotto interno lordo, contro una media OCSE del 2,2%. Alle famiglie manca un sostanziale alleggerimento fiscale, anche se la bassa fertilità accelera l’invecchiamento della società e mette in pericolo le future pensioni. Entrambe contestano soprattutto la grande carenza di asili nido pubblici.
C’è posto solo per il 12% dei bambini sotto i tre anni, mentre il tasso in Francia e nei paesi nordici ha raggiunto il 30 – 40%. Allo stesso tempo nel paragone le aziende italiane raramente sono disponibili ad andare incontro alle esigenze delle madri lavoratrici. Circa la metà dei neonati di madri che lavorano sono affidati ai nonni in Italia, secondo le statistiche Istat. Ma questo ha lo svantaggio di una limitata mobilità economica.
Gli economisti Alberto Alesina (Harvard University) e Andrea Ichino (Università Commerciale Luigi Bocconi) criticano la Saraceno e la Del Boca che fanno troppo affidamento sullo stato e citano alcuni degli Stati Uniti dove la fertilità e l’occupazione femminile, nonostante gli scarsi servizi pubblici, sono elevate e le famiglie ricorrono in primo luogo all’assistenza privata grazie ad un reddito più alto. A prescindere completamente da questo, i due professori dubitano che ulteriori servizi pubblici possano risolvere il problema di base delle lavoratrici madri e che anche per i bambini possa essere la cosa migliore.
Alesina e Ichino individuano come ostacolo principale la separazione del lavoro tra i coniugi, assolutamente squilibrata in Italia, che, secondo numerosi studi, è l’unico paese occidentale industrializzato, dove le donne lavorano complessivamente, vale a dire in casa e fuori, molto più degli uomini, cioè in media 80 minuti in più al giorno. Le donne sono occupate nel lavoro domestico per 5 ore al giorno e quindi 3 ore in più rispetto ai loro mariti, dato che nella zona OCSE l’Italia è superata solo da Messico, Turchia e Portogallo.
Alesina e Ichino ritengono inoltre che dietro la richiesta di maggiori aiuti pubblici continui a nascondersi in fondo l’abitudine a pensare che siano innanzitutto le donne (in primo luogo) ad occuparsi dei bambini, degli anziani e della casa. Inoltre, in un paese economicamente sviluppato ci sono sempre meno lavori fuori casa, in cui gli uomini dal punto di vista tecnico o biologico avrebbero ancora un vantaggio rispetto alle donne. Al contrario gli uomini non potrebbero sostituire le donne nella gravidanza e nell’allattamento. Tuttavia le donne non potrebbero dedicare la stessa energia degli uomini per continuare la propria carriera professionale, perché sarebbero già gravate dalla maggior parte dei lavori di casa.
E’ indubbio che, nel corso degli ultimi decenni, sul tasso di natalità abbiano inciso negativamente i problemi economici generali dell’Italia. Queste difficoltà hanno anzitutto colpito la generazione dei giovani, svantaggiata nel rigido mercato del lavoro, in cui sono tutelati i lavoratori già in attività. Questo limita le possibilità di crearsi una propria famiglia in una Italia che, già da molti anni, ha uno dei tassi di occupazione minori nell’UE tra le giovani forze lavoro.
Solo il 35% dei giovani tra i 15 e i 29 anni hanno un impiego, rispetto ad un tasso del 50% nell’UE dei 15. Di particolare interesse è che 2,1 milioni di giovani italiani e italiane – ossia oltre il 20% – né studia, né lavora. La creazione di famiglie numerose è penalizzata anche certamente dal fatto che due terzi dei giovani tra 18 e 34 anni vivono ancora con i genitori, mentre la percentuale in Francia é del 30% o nel Nord Europa addirittura il 20%.
Introduzione dello “jus soli”?
Il basso tasso di natalità rischia di avere gravi conseguenze demografiche. Già dall’inizio dei primi anni ’90, l’Italia, che fino agli anni ’80 era stato un paese di emigrazione, presenta un deficit di nascite. L’Istat ha recentemente previsto che la popolazione rischia di ridursi nei prossimi cinquanta anni di 11.5 milioni di abitanti scendendo a 49 milioni, se la diminuzione non sarà compensata dalla maggiore immigrazione. Con una tale stabilizzazione della popolazione, la percentuale di stranieri senza naturalizzazione aumenterebbe del 7,5 al 23%.
Questa prospettiva ha di recente suscitato continue discussioni circa la possibilità di facilitare la naturalizzazione e l’applicazione anche del concetto di jus soli, già introdotto anche negli Stati Uniti, secondo il quale tutti i bambini nati in Italia da figli di immigrati acquistano la cittadinanza. Su questo si è pronunciato nel mese di novembre nientemeno che il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Anche la coalizione di centro-sinistra ha accolto subito la proposta, mentre i rappresentanti della coalizione dell’ex Presidente del Consiglio Berlusconi, dimissionario a novembre, hanno risposto negativamente.
ItaliaDallEstero
Come ci vede la stampa estera
Mondo - 25 Aprile 2012
Dalle famiglie italiane si pretende troppo
Ridotta fertilità e situazione occupazionale sono motivo di preoccupazione. In Italia, il tasso di fertilità femminile è sceso in maniera preoccupante. Le italiane, penalizzate dalla politica e dai mariti, riescono con difficoltà a conciliare lavoro e figli.
Testata: NZZ
Data di pubblicazione: 18/04/2012
Traduzione di Claudia e Cristina per italiadallestero.info
Articolo originale di Nikos Tzermias
Mamma mia! In quasi nessun altro paese come in Italia gli uomini chiamano tutti i giorni la mamma per raccontarle quello che capita loro di bello o di brutto. La mamma, i figli e la famiglia, per secoli sono stati il fondamento della società italiana, in passato dominata continuamente da potenze straniere. La famiglia è stata “una fortezza in un paese ostile”, ha scritto lo scrittore Luigi Barzini nel suo bestseller The Italians, riferendosi al fatto che le donne sono la spina dorsale della famiglia e senza di loro l’Italia crollerebbe come un castello di carte.Tuttavia nel corso dei secoli le donne italiane avrebbero dovuto anche imparare a trascurare i mariti, che senza le loro mogli non avrebbero concluso nulla.
Cambiamento molto difficile
Il libro di Barzini è stato pubblicato all’inizi degli anni ‘60, quando la famiglia italiana, di stampo cattolico, sembrava funzionare ancora bene e la Repubblica italiana viveva il miracolo economico. C’era un ottimismo generale diffuso. La gran parte delle casalinghe italiane ha avuto in media due o tre bambini. Il paese all’estero era per lo più noto per “La Dolce Vita”, anche se l’omonimo famoso film di Federico Fellini si poneva già in maniera critica nei confronti della società. L’Italia quindi ha subito un decisivo cambiamento sociale con un certo ritardo. Divorzio e aborto furono legalizzati nel 1974 e nel 1978, nonostante l’opposizione del Vaticano. Il numero dei matrimoni è diminuito e quello delle separazioni aumentato, anche se non in modo evidente come negli altri paesi industrializzati. Il tasso di natalità è iniziato a calare negli anni ’70 e anche in Italia i nuclei familiari sono andati via via diminuendo.
L’Italia quindi segue la tendenza generale? Niente affatto. Il tasso di fertilità in questo paese, anche se il più alto della maggior parte degli altri paesi industrializzati, è diminuito. Dal 1970 al 1995 è sceso da 2,43 figli per donna a 1,19. Da allora, il numero è lievemente salito stabilizzandosi a circa 1,4. Questo però principalmente grazie al tasso di natalità molto più alto tra gli immigrati. Ma anche così la percentuale di fertilità in Italia rimane una delle più basse nei paesi industrializzati ed è ancora nettamente inferiore rispetto al cosiddetto livello di ricambio di 2,1 figli per donna
Merita attenzione il forte crollo delle nascite, ma soprattutto perché solo il 48% delle donne italiane ha un lavoro rispetto ad un tasso medio del 59% in tutta l’area OCSE. La docente di economia Daniela Del Boca, di Torino, ricorda inoltre che negli ultimi 15 anni il tasso di occupazione per le donne nei paesi dell’OCSE è aumentato mentre in Italia è rimasto per lo più invariato.
Partorire solo dopo i trent’anni
Così, nel caso dell’Italia, la percentuale di occupazione femminile, di gran lunga molto minore che in altri paesi, è alla base della diminuzione del tasso dei fertilità. Ancor più che in alcuni paesi sviluppati come USA, Gran Bretagna, Francia, Svezia e altri paesi nordici, dove un tasso di fertilità in media molto più elevato, che raggiunge il livello di ricambio, è accompagnato da un tasso di occupazione femminile insolitamente elevato. Questi confronti dimostrano che le donne italiane sono soprattutto in difficoltà nel conciliare figli e carriera.
Certo alle giovani donne italiane piacerebbe avere almeno due bambini. Ma da giovani sono occupate nell’assicurarsi la migliore formazione possibile e subito dopo impegnate nel tentativo di affermarsi sul mercato del lavoro. Sorprendente oggi è la percentuale di donne giovani (25 – 34 anni) in possesso di un diploma di laurea (24%) decisamente superiore a quella dei coetanei maschi (15%). In questo contesto le italiane in genere pensano seriamente ai figli solo dopo i 30 anni, cosa che però ha ridotto considerevolmente la possibiità di prole. La Del Boca, che dirige anche il centro di studi per l’infanzia di Torino, ricorda che un quarto delle donne che lavora, rinuncia alla nascita del primo figlio per il lavoro ed è costretto molte volte dai datori di lavoro che al momento dell’assunzione si fanno firmare illegalmente una lettera di dimissioni in bianco. Tra le donne che perdono il lavoro a causa di una maternità solo i due quinti riescono ad essere nuovamente riassunte.
Come la carriera e la maternità siano in Italia difficilmente compatibili è dimostrato anche da una delle statistiche OCSE pubblicate lo scorso anno, secondo le quali un quarto delle italiane nate dopo il 1965 non ha figli, rispetto al 10% in Francia, 12% in Spagna, 15% in Svezia, il 16% negli Stati Uniti e il 20% in Germania.
Politica familiare arretrata
La docente di sociologia presso l’università di Torino, Chiara Saraceno, attribuisce anche la bassa fecondità e la mancanza di lavoro delle donne italiane ad un livello base di politica familiare che è ancora fermo agli anni ’50 e che ha portato ad un sovraccarico enorme che grava sulle famiglie di oggi. Sulla famiglia verrebbero scaricati tutti quei problemi che in molti altri paesi sono a carico dei servizi sociali pubblici.
La Saraceno e la Del Boca citano anche le ultime statistiche OCSE, stando alle quali il settore pubblico in Italia spende per famiglie con bambini solo l’1,4% del prodotto interno lordo, contro una media OCSE del 2,2%. Alle famiglie manca un sostanziale alleggerimento fiscale, anche se la bassa fertilità accelera l’invecchiamento della società e mette in pericolo le future pensioni. Entrambe contestano soprattutto la grande carenza di asili nido pubblici.
C’è posto solo per il 12% dei bambini sotto i tre anni, mentre il tasso in Francia e nei paesi nordici ha raggiunto il 30 – 40%. Allo stesso tempo nel paragone le aziende italiane raramente sono disponibili ad andare incontro alle esigenze delle madri lavoratrici. Circa la metà dei neonati di madri che lavorano sono affidati ai nonni in Italia, secondo le statistiche Istat. Ma questo ha lo svantaggio di una limitata mobilità economica.
Gli economisti Alberto Alesina (Harvard University) e Andrea Ichino (Università Commerciale Luigi Bocconi) criticano la Saraceno e la Del Boca che fanno troppo affidamento sullo stato e citano alcuni degli Stati Uniti dove la fertilità e l’occupazione femminile, nonostante gli scarsi servizi pubblici, sono elevate e le famiglie ricorrono in primo luogo all’assistenza privata grazie ad un reddito più alto. A prescindere completamente da questo, i due professori dubitano che ulteriori servizi pubblici possano risolvere il problema di base delle lavoratrici madri e che anche per i bambini possa essere la cosa migliore.
Alesina e Ichino individuano come ostacolo principale la separazione del lavoro tra i coniugi, assolutamente squilibrata in Italia, che, secondo numerosi studi, è l’unico paese occidentale industrializzato, dove le donne lavorano complessivamente, vale a dire in casa e fuori, molto più degli uomini, cioè in media 80 minuti in più al giorno. Le donne sono occupate nel lavoro domestico per 5 ore al giorno e quindi 3 ore in più rispetto ai loro mariti, dato che nella zona OCSE l’Italia è superata solo da Messico, Turchia e Portogallo.
Alesina e Ichino ritengono inoltre che dietro la richiesta di maggiori aiuti pubblici continui a nascondersi in fondo l’abitudine a pensare che siano innanzitutto le donne (in primo luogo) ad occuparsi dei bambini, degli anziani e della casa. Inoltre, in un paese economicamente sviluppato ci sono sempre meno lavori fuori casa, in cui gli uomini dal punto di vista tecnico o biologico avrebbero ancora un vantaggio rispetto alle donne. Al contrario gli uomini non potrebbero sostituire le donne nella gravidanza e nell’allattamento. Tuttavia le donne non potrebbero dedicare la stessa energia degli uomini per continuare la propria carriera professionale, perché sarebbero già gravate dalla maggior parte dei lavori di casa.
E’ indubbio che, nel corso degli ultimi decenni, sul tasso di natalità abbiano inciso negativamente i problemi economici generali dell’Italia. Queste difficoltà hanno anzitutto colpito la generazione dei giovani, svantaggiata nel rigido mercato del lavoro, in cui sono tutelati i lavoratori già in attività. Questo limita le possibilità di crearsi una propria famiglia in una Italia che, già da molti anni, ha uno dei tassi di occupazione minori nell’UE tra le giovani forze lavoro.
Solo il 35% dei giovani tra i 15 e i 29 anni hanno un impiego, rispetto ad un tasso del 50% nell’UE dei 15. Di particolare interesse è che 2,1 milioni di giovani italiani e italiane – ossia oltre il 20% – né studia, né lavora. La creazione di famiglie numerose è penalizzata anche certamente dal fatto che due terzi dei giovani tra 18 e 34 anni vivono ancora con i genitori, mentre la percentuale in Francia é del 30% o nel Nord Europa addirittura il 20%.
Introduzione dello “jus soli”?
Il basso tasso di natalità rischia di avere gravi conseguenze demografiche. Già dall’inizio dei primi anni ’90, l’Italia, che fino agli anni ’80 era stato un paese di emigrazione, presenta un deficit di nascite. L’Istat ha recentemente previsto che la popolazione rischia di ridursi nei prossimi cinquanta anni di 11.5 milioni di abitanti scendendo a 49 milioni, se la diminuzione non sarà compensata dalla maggiore immigrazione. Con una tale stabilizzazione della popolazione, la percentuale di stranieri senza naturalizzazione aumenterebbe del 7,5 al 23%.
Questa prospettiva ha di recente suscitato continue discussioni circa la possibilità di facilitare la naturalizzazione e l’applicazione anche del concetto di jus soli, già introdotto anche negli Stati Uniti, secondo il quale tutti i bambini nati in Italia da figli di immigrati acquistano la cittadinanza. Su questo si è pronunciato nel mese di novembre nientemeno che il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Anche la coalizione di centro-sinistra ha accolto subito la proposta, mentre i rappresentanti della coalizione dell’ex Presidente del Consiglio Berlusconi, dimissionario a novembre, hanno risposto negativamente.
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Roma, 13 feb. (Adnkronos) - Il Milleproroghe è un provvedimento routinario, in teoria nell'esame tutto doveva andare liscio. Invece l'iter di questo provvedimento è stato un disastro, la maggioranza l'ha gestito in modo circense, dando prova di dilettantismo sconcertante". Lo ha detto la senatrice Alessandra Maiorino, vice presidente del gruppo M5S al Senato, nella dichiarazione di voto sul Milleproroghe.
"Già con l'arrivo degli emendamenti abbiamo visto il panico nel centrodestra. Poi è arrivata la serie di emendamenti dei relatori, o meglio del governo sotto mentite spoglie, a partire da quelli celebri sulla rottamazione delle cartelle. Ovviamente l'unica preoccupazione della maggioranza, a fronte di 100 miliardi di cartelle non pagate, è stata solo quella di aiutare chi non paga. Esattamente come hanno fatto a favore dei no vax, sbeffeggiando chi sotto il Covid ha rispettato le regole. In corso d'opera abbiamo capito che l'idea di mettere tre relatori, uno per ogni partito di maggioranza, serviva a consentire loro di marcarsi a vicenda, di bloccare gli uni gli sgambetti degli altri. Uno scenario surreale! Finale della farsa poi è stato il voto di un emendamento di maggioranza ignoto ai relatori e una ignobile gazzarra notturna scoppiata tra i partiti di maggioranza. Non avevamo mai visto tanto dilettantismo in Parlamento".
Roma, 13 feb. (Adnkronos) - "Il decreto Milleproroghe rappresenta una sfida importante, un provvedimento cui abbiamo dato un significato politico, un’anima. L’azione di questo governo punta a mettere in campo riforme e norme strutturali ma esistono anche pilastri meno visibili che hanno comunque l’obiettivo finale della crescita delle imprese e della nostra economia, di sostenere il sistema Italia nel suo complesso. Ecco perché col decreto Milleproroghe abbiamo provveduto ad estendere o a sospendere l’efficacia di alcuni provvedimenti con lo scopo di semplificare e rendere più snella la nostra burocrazia, sempre con l’obiettivo dichiarato della crescita. Fra questi norme sulle Forze dell’ordine e sui Vigili del Fuoco, sostegno ai Comuni e all’edilizia, nel campo sociale e sanitario come in quello dell’industria e della pesca e sul contrasto all’evasione fiscale. Più di 300 emendamenti approvati, tra cui anche quelli dell’opposizione, al fine di perseguire, con questo esecutivo, la finalità di fornire alla nostra Nazione gli strumenti per crescere e per questo il voto di Fratelli d’Italia è convintamente a favore”. Lo dichiara in aula il senatore di Fratelli d’Italia Andrea De Priamo.
Roma, 13 feb. (Adnkronos) - "Dico al ministro Crosetto che l’aumento delle spese per armamenti, addirittura fino al 3%, ruba il futuro ai nostri figli. Ruba risorse alla sanità, alla scuola, ai trasporti. L’aumento delle spese per le armi non ci renderà più sicuri, ma alimenterà conflitti e guerre, come la storia dimostra”. Così Angelo Bonelli, deputato di AVS e co-portavoce di Europa Verde, in merito alle dichiarazioni di Crosetto sull'aumento delle spese militari.
Palermo, 13 feb. (Adnkronos) - "Il problema della situazione carceraria nel Paese è un problema che ogni giorno ci tocca da vicino, stiamo gia' predisponendo le dovute soluzioni. Abbiamo gia' definito il piano carceri e il commissario straordinario". Lo ha detto il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, intervenendo in video collegamento di ritorno dalla Turchia alla "Giornata dell'Orgoglio dell'appartenenza all'avvocatura e dell'accoglienza dei giovani" istituita dal Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Palermo.
Palermo, 13 feb. (Adnkronos) - "Criticità nel disegno di legge costituzionale non ve ne sono tali da alterare il testo, ma sarà seguito da una serie di leggi ordinarie. Per esempio, manca nella disegno di legge costituzionale la riserva per le quote cosiddette rosa, ma questo lo metteremo nelle leggi di attuazione che saranno leggi ordinarie. Anche il sistema del sorteggio potrà essere meglio definito. Ma una cosa e' certa: questa legge costituzionale non si modifica". Lo ha detto il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, intervenendo in video collegamento di ritorno dalla Turchia alla "Giornata dell'Orgoglio dell'appartenenza all'avvocatura e dell'accoglienza dei giovani" istituita dal Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Palermo, parlando delle dichiarazioni del vicepresidente del Csm Fabio Pinelli che ieri, aveva parlato dei "punti di criticità della riforma del Csm" sui quali si e' appuntata anche l'attenzione della Commissione Ue, aveva sottolineato la necessita' di "un'approfondita riflessione.
Palermo, 13 feb. (Adnkronos) - "Oggi in Turchia, parlando con il mio omologo, il ministro di giustizia turco, quando ho detto che probabilmente i magistrati italiani faranno uno sciopero, lui è rimasto sorpreso e mi ha domandato 'ma è legale?'. Se i magistrati vogliono fare lo sciopero che lo facciano, ma quello che è certo e che, senza alcun dubbio, noi andremo avanti perché e' un nostro impegno verso gli elettori". Lo ha detto il ministro della Giustizia Carlo Nordio intervenendo in vdieocollegamento di ritorno dalla Turchia alla Giornata dell'orgoglio dell'appartenenza degli avvocati a Palermo.
Palermo, 13 feb. (Adnkronos) - La separazione delle carriere dei magistrati "è un dovere verso elettorato perché lo avevamo promesso nel nostro programma e questo faremo. Il nostro e' un vincolo politico verso l'elettorato". Lo ha detto il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, intervenendo in video collegamento, di ritorno dalla Turchia, alla "Giornata dell'Orgoglio dell'appartenenza all'avvocatura e dell'accoglienza dei giovani" istituita dal Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Palermo. "Io sto girando un po' dappertutto per redigere protocolli - ha proseguito il ministro -, e ogni qualvolta parliamo di separazione carriere ci guardano con un occhio perplesso perché in tutti gli ordinamenti del mondo questo è normale".