La Fonderia Oxford è un’associazione di ricercatori italiani che vivono e lavorano ad Oxford nata con l’ambizione di elaborare idee e proposte per fornire degli stimoli al dibattito pubblico italiano. Il valore aggiunto è quello di guardare al proprio paese da fuori essendosi formati in Italia e dunque conoscendo la realtà italiana per esperienza diretta, ma trovandosi a svolgere una professione in un altro paese. Questa situazione può consentire di guardare a quello che succede in Italia con cognizione di causa ma anche con un certo distacco e con la conoscenza di un sistema diverso che viene vissuto tutti i giorni.
Il paragone continuo tra quello che succede in diversi paesi può permettere di capire meglio le patologie del sistema italiano. Ci vuole una grande passione per il proprio paese per sottoporsi a questo tipo di esercizio, e questa passione può essere solo data dal misto di odio e amore che attanaglia molti “espatriati”: una grande nostalgia mista ad una grande tristezza per vedere come il proprio paese stia velocemente scivolando verso una decadenza senza ritorno. Allora ci s’inventa qualcosa per non rimanere sempre a guardare e per dare un senso al proprio impegno civile.
Nell’ambito delle iniziative organizzate dalla Fonderia, sono stato gentilmente invitato a tenere un seminario sul tema “Limiti e prospettive della ricerca universitaria italiana”, un tema che potrebbe far sorridere il lettore italiano bombardato da anni da una continua rappresentazione caricaturale dell’università italiana: “L’università italiana non ha un ruolo significativo nel panorama della ricerca mondiale, “l’università continua a produrre … , anche se con alcuni distinguo, poca ricerca… (Roberto Perotti docet) e comunque la produzione scientifica italiana è crollata del 20% nel solo 2011 a fronte del fatto che i professori italiani siano tra i più pagati al mondo ed infatti “la spesa italiana per studente equivalente a tempo pieno diventa 16 027 dollari PPP, la più alta del mondo dopo USA, Svizzera e Svezia”.
Ma se davvero così fosse, se l’università fosse improduttiva, costosa e corrotta come ci sarebbero arrivati tutti quei ragazzi in prestigiose università come Oxford o la London Schoolof Economics? Semplicemente ci sono arrivati perché la preparazione che viene fornita dall’università italiana è molto buona o ottima. Perché, come dimostra Giuseppe de Nicolao con un’analisi dei dati forniti dall’OCSE e da altre fonti internazionali, senza ricorrere a normalizzazioni ad-hoc per modellare la realtà alla propria visione ideologica della realtà, “affermare che l’università italiana produce poca ricerca è falso in termini di produzione assoluta ed ancor di più in rapporto alle (poche) risorse di cui dispone”. Perché “a fronte di un paese disperatamente bisognoso di accrescere il suo bagaglio culturale e professionale (i dati OCSE sulla percentuale di laureati italiani parlano chiarissimo) è stata condotta una campagna di denigrazione della ricerca scientifica italiana che, come mostrano le statistiche internazionali sulla produzione scientifica, progrediva al passo, o anche più velocemente, di quella delle altre nazioni”.
Nella discussione che è seguita al seminario, mi sembra che questi punti siano emersi con chiarezza insieme con la necessità di considerare l’istruzione superiore nella giusta prospettiva, ovvero non come un costo ma come un investimento, e come una delle uniche vie di fuga dal declino del paese. Vi è stato dunque il riconoscimento che pur tra i tantissimi problemi, l’accademia e la ricerca italiane sono ancora rispettate nel mondo. Certo è difficile descrivere la situazione, cercando di metterne in luce gli aspetti positivi senza passare per chi “vuole difendere lo status quo”. Ma se difendere l’esistente non è possibile, questo non significa accettare qualsiasi riforma. Ed abbiamo discusso a lungo in questo blog che riforma Gelmini sia stata una dei più gravi attacchi all’università e all’indipendenza della ricerca mai effettuato in questo paese.
L’inesorabile sottofinanziamento del sistema universitario italiano porterà in breve tempo anche all’esaurimento di formazione di giovani preparati che hanno successo all’estero. Con il blocco delle assunzioni che si prospetta con i nuovi decreti che il governo sta discutendo in questi giorni, si interromperà un ciclo di trasmissione di conoscenze per mancanza di nuove leve. Un danno drammatico a cui ci vorranno lustri per porre rimedio. In un momento così grave non solo per l’università ma per il paese conviene riflettere su quanto scrisse Albert Einstein: “ In tempi di crisi la gente è generalmente ignara di tutto quello che è fuori dalle sue immediate necessità …. Come regola generale, il sapere e i metodi che crea perseguono gli scopi pratici solo indirettamente e, in molti casi, non prima che siano trascorse diverse generazioni. Laddove la ricerca scientifica viene bloccata, la vita intellettuale della nazione si inaridisce, il che significa il prosciugamento di tante possibilità di futuro sviluppo. Ecco quello che dobbiamo prevenire”.