Il calcio italiano è vivo, e vincente. Perlomeno fuori dai confini nazionali. Mentre in Italia la stagione che volge al termine consegna agli archivi l’ennesimo campionario di scandali e malefatte – tra scommesse, sospensioni delle partite imposte dai tifosi, risse in campo tra giocatori e dirigenti – all’estero ci sono tre tecnici di casa nostra che veleggiano verso il successo. Luciano Spalletti ha appena conquistato il suo secondo campionato russo, il quarto trofeo (gli altri una coppa e una supercoppa nazionale) da quando nel dicembre 2009 si è trasferito a San Pietroburgo per allenare lo Zenit. Roberto Mancini con la vittoria nel derby contro il Manchester United ha raggiunto i rivali cittadini in testa alla Premier League. A due giornate dal termine la differenza reti lo vede campione. Sarebbe il primo titolo per il Manchester City dal 1968 e il secondo trofeo inglese per Mancini, dopo la Fa Cup dell’anno scorso. Roberto Di Matteo, subentrato pochi mesi fa alla guida del Chelsea al posto dell’esonerato Villas Boas, ha trascinato i Blues alla finale di Fa Cup e ad una clamorosa finale di Champions League.
E c’è anche Paolo Di Canio, che alla sua prima esperienza in panchina ha ottenuto una promozione dalla quarta alla terza serie del campionato inglese alla guida del piccolo Swindon Town, oltre ad aver raggiunto uno storico quarto di finale di Fa Cup. Buone stagioni anche per Walter Zenga, quarto nel campionato degli Emirati Arabi, e Dario Bonetti, ancora in corsa per un posto in Europa League alla guida della Dinamo Bucarest. Mentre Giovanni Trapattoni ha portato l’Irlanda a Euro 2012. Non se la passa per nulla bene, invece, Carlo Ancelotti in Francia. Alla guida del favoritissimo Paris Saint-Germain è scivolato a -5 dal Montpellier e, sotto attacco quotidiano da parte della stampa, sta vedendo sfuggirgli dalle mani un titolo che sembrava già suo. Ma potrebbe essere la classica eccezione che conferma la regola. Gli allenatori italiani all’estero funzionano. Ognuno a suo modo.
Spalletti ha conquistato la Russia grazie al suo marchio di fabbrica. Un 4-2-3-1 molto offensivo, spettacolare ed ‘europeo’, che prevede l’imposizione del proprio stile di gioco sulla partita. Una strategia decisamente poco italiana, se è vero che in patria gli ha regalato solo applausi, ma mai l’agognato scudetto: 2 Coppe Italia con la Roma il suo palmarès. E che invece all’estero si è tramutata in una formula vincente. Una novità quasi isolata nel panorama degli allenatori italiani: più che profeta di una nouvelle vague di tecnici nostrani, Spalletti rischia di rimanere una piacevole eccezione. Mancini è riuscito invece a sfruttare il potenziale economico degli sceicchi nuovi padroni del City e ad amalgamare al meglio un gruppo di campioni strapagati.
In bilico tra pragmatismo italico, nessun timore nel chiudersi in difesa a difendere il risultato, e concessioni allo spettacolo con il potenziale di fuoriclasse che si ritrova, a volte il City pratica un gioco eccellente: il Mancio può essere considerato una via di mezzo tra il classico ‘made in Italy‘ e la capacità di tenersi aggiornati e competitivi nel mondo. Al polo opposto invece Roberto Di Matteo. Insediatosi sulla panchina del Chelsea, da buon ex giocatore del club ha richiamato in servizio i senatori: gli anziani troppo frettolosamente fatti fuori da Villas Boas. Ha puntato sugli uomini, più che sul gioco. E il suo principale accorgimento tattico rispetto al predecessore – rinforzare il centrocampo a protezione della difesa – lo inserisce appieno nella tradizione italica. Lo si chiami pure catenaccio: è servito a superato il Barcellona in semifinale di Champions League.
Tre modi di lavorare diversi, quasi antitetici, eppure funzionali. A dimostrazione che il paese produce capacità, competenze e, a volte, eccellenze. Ma poi si dà un’occhiata alle classifiche internazionali, e si scopre che la nazionale italiana ad aprile ha perso tre posizioni nel Ranking Mondiale Fifa, retrocedendo al 12esimo posto. Ancora peggio nel Ranking Uefa per club, quello che assegna i posti disponibili nelle competizioni europee. Già abbiamo dovuto lasciare il terzo posto, quello che consentiva di qualificare 4 squadre in Champions, alla Germania. E ora siamo tallonati da vicino da Portogallo e Francia. I risultati delle squadre italiane in Europa limitati alla stagione 2011-12 vedono l’Italia addirittura al sesto posto, dietro a Portogallo e Olanda. Il trend è assai negativo. Se il calcio fosse specchio del paese si potrebbe dire che le eccellenze a livello individuale non mancano, ma che dentro i confini nazionali faticano ad esprimersi.