“I nostri giovani sanno troppo poco. Non conoscono le lingue, l’italiano compreso e neanche i rudimenti della matematica. Non sanno fare di conto”. Sono le parole del ministro del Lavoro, Elsa Fornero che ha commentato alcuni dati riguardanti l’apprendimento di chi si trova nella fascia d’età fra 18 e 24 anni, con titolo di scuola media inferiore e non inseriti in altri percorsi formativi. Dai “tecnici” il giudizio sui nostri ragazzi non è quindi dei più lusinghieri. Tra le altre uscite non proprio approvate dai giovani si ricordano le dichiarazioni del ministro dell‘Interno Anna Maria Cancellieri sui giovani mammoni, oppure quelle del vice ministro al lavoro Michel Martone sugli “sfigati” che a 28 anni non hanno ancora la laurea (che seguirono peraltro quella più celebre sulla monotonia del posto fisso del presidente Monti).
Torniamo all’analisi della Fornero. La media europea dei ragazzi con titolo di scuola inferiore e non occupati in altri studi – ha spiegato il ministro – è del 14 per cento, in Italia del 18,8 per cento, in Spagna dell’11 per cento e in Francia del 12 per cento. La Fornero continua: “Se poi si prende in considerazione la posizione di persone tra i 30 e i 34 anni con titolo di studio universario si nota che il dato complessivo in Europa è del 33,6 per cento, in Italia del 19,8 per cento, mentre in Francia del 43,5 per cento, in Germania del 30 per cento, nel Regno Unito del 43 per cento. I nostri giovani dunque studiano ancora troppo poco”.
La soluzione individuata dalla professoressa imprestata alla politica è l‘apprendistato: “Crediamo che questo possa essere una via tipica per i giovani per entrare nel mondo del lavoro. Il giovane che entra in apprendistato, infatti, lo fa per migliorare le sue conoscenze e per irrobustire la sua risorsa umana. Per questo va inteso come una premessa per relazioni di lavoro più produttive e stabili”.
La “colpa” però per la Fornero non è solo delle nuove leve: “C’è una percentuale ancora troppo alta di popolazione giovane lasciata a sé stessa. Un dato, questo, rischioso per i giovani ma anche per la società”.