Sono arrivati in tanti nella sala d’Ercole del comune di Bologna per l’ultimo saluto a Stefano Tassinari, morto due giorni fa dopo una lunga malattia. Un andirivieni che è stato ben poco istituzionale e parecchio fraterno. Gli amici, i colleghi, i “compagni” di una vita politica e intellettuale vissuta con intensità, passione e generosità.
Il feretro avvolto dalle bandiere rosse, uno stendardo della fu Democrazia Proletaria, una timida sciarpa interista e un fazzoletto depositato dall’amico Pino Cacucci a richiamare il Fronte Sandinista di Liberazione Nazionale in Nicaragua. Il “Tas” è stato ricordato così, con una cerimonia laica fatta di parole e musiche, di compostezza e pugni chiusi, oltremodo “laica”. Tanto che uno come Ricky Gianco, che di Pugni chiusi musicali se ne intende, se n’è rimasto in fondo alla sala ricordando che “per una volta non ci sarà un prete a benedire chi non c’è più”.
Convenevoli istituzionali ridotti al minimo (presenti il sindaco di Bologna, Virginio Merola, e l’assessore alla cultura, ferrarese come Tassinari, Alberto Ronchi) e una vibrante sequenza di versi e di note: Dandy Bestia che suona gli Stones, Mauro Pagani che fa balenare il ricordo di Fabrizio De Andrè con le strofe di Creuza de ma e la scuola di canto popolare Ivan Ilich che intona l‘Internazionale con testo di Franco Fortini fino a sciogliere le due-trecento persone in un commosso applauso.
Il ’77 bolognese al completo, o quasi, e tanti giovanissimi che da Tassinari devono aver raccolto la passione per la lettura tra un suo romanzo letto e una serata de La Parola Immaginata. Al completo anche la compagnia del teatro dell’Argine che gestisce il teatro Itc di San Lazzaro di Savena, legame indissolubile tra lo scrittore ferrarese e la sua letteratura spiegata agli altri.
“Borsa di iuta a tracolla, quotidiani sottobraccio, sigaretta rollata tra le labbra, un libro da scrivere e l’amore per i libri scritti dagli altri”, ha raccontato una delle attrici dell’Argine ricordando l’autore de I segni sulla pelle, lui che si era prodigato nell’opera di divulgazione letteraria contemporanea più affascinante e completa ridisegnando la forma del reading teatrale, scaldando le platee nei freddi autunni della bassa emiliana.
“Poteva affondare il Titanic, ma andava dritto dove voleva andare a parare”, hanno spiegato gli amici scrittori e attori che come Marco Baliani, Claudio Lolli, Massimo Carlotto, Wu Ming, Grazia Verasani e Giampiero Rigosi erano presenti in sala d’Ercole. Tra loro anche Mario Dondero, l’84enne fotoreporter milanese, amico di Tassinari, scatti venduti a l’Unità e l’Espresso, frequentatore di set cinematografici e luoghi inesplorati come gli ampi scenari africani ritratti con puntuale estemporaneità fino a pochi anni fa. A febbraio scorso Tassinari l’aveva invitato ad un suo spettacolo per parlare di Dino Buzzati e Dondero, fedele fino all’ultimo alla sua professione, si era portato nel taschino, quasi fosse un blocknotes la sua vecchia macchina fotografica con cui ancora ritrae rapito la realtà. Gesto naturale ed istintivo compiuto anche oggi, declinazione dal professionale all’umano che a Tassinari sarebbe piaciuta molto.