Basta leggere la lettera della Bce per capire che è stata scritta a Roma. Quella lettera è un passaggio politico di grande rilievo che entra nella sovranità di un Paese”, ha buttato lì l’ex ministro del Tesoro Giulio Tremonti durante la puntata di Servizio Pubblico di giovedì sera. “E qualcuno l’ha chiesta, dentro il governo e non solo, c’era un certo tifo per quel tipo di intervento a vari livelli. L’attuale presidente del Consiglio ha detto in Parlamento: ‘non starei in un governo che chiede una lettera’ e in modo inglese stava facendo capire che quella della Bce è stata richiesta da quello precedente”, allude, dice e non dice, ma Tremonti invita a rileggere la storia di quel documento che ha cambiato molto. Perché tutto cominciò da lì. E lì bisogna tornare ora che, dopo sei mesi, si può cominciare a guardare con l’oggettività della distanza alla nascita del governo Monti.
L’ultima chance per B.
La lettera della Bce, il programma di emergenza firmato da Mario Draghi e Jean Claude Trichet che ha prima accompagnato Silvio Berlusconi alla porta e poi ha dato le basi per l’azione dei tecnici. Nella vulgata giornalistica la lettera è diventata la condanna a morte del governo Berlusconi, secondo quanto ha ricostruito il Fatto Quotidiano, grazie al racconto di alcune delle persone coinvolte, quel documento era invece l’ultimo tentativo di rendere accettabile ai mercati un esecutivo screditato, ridimensionando la probabilità di una crisi politica che all’epoca, nell’estate 2011, poteva dare il colpo finale alle finanze del Paese.
Una lettura critica della storia della lettera deve partire dal 4 agosto, dalla conferenza stampa convocata a sorpresa in cui il governo Berlusconi ammette di dover riscrivere la manovra di luglio giudicata inadeguata dai mercati, anticipando al 2013 il pareggio di bilancio previsto in origine per il 2014 (ma con oltre 20 miliardi di interventi rinviati a dopo la fine della legislatura). I giornali liquidano come un “siparietto” l’educato ma violento dialogo tra Silvio Berlusconi e Giulio Tremonti. Il ministro dell’Economia accenna ai contatti del governo avviati con diverse istituzioni finanziarie per discutere insieme le misure da adottare, e cita l’Ocse e il Fondo monetario internazionale, “Noi saremo attivi aprendoci al confronto con queste istituzioni internazionali”. Berlusconi lo interrompe aggiungendo: “Anche la Bce”. Tremonti lo guarda stupito, con l’espressione di chi pensava che il Cavaliere, alle prese in quel periodo con le vicende bunga bunga, avesse solo una vaga idea di cosa fosse la Banca centrale europea. “Credo sia molto importante, ma non coinvolgibile in questa fase”, precisa il ministro, pensando a quanto Francoforte tenga alla sua indipendenza dai governi e viceversa. E Berlusconi, sibillino: “Ma informabile sì”.
Il negoziato segreto.
Tremonti non insiste. Ma al ministro suona bizzarro: in quei giorni il Cavaliere è già un paria per i partner europei, Tremonti è rimasto l’unico ambasciatore del governo nei consessi internazionali, con una mossa di immagine e di sostanza ha appena avvicinato John Lipsky, allora vicedirettore generale del Fmi in procinto di lasciare il suo posto a Washington. Lipsky doveva diventare un super consulente, anello di congiunzione con il Fmi di Christine Lagarde che Tremonti aveva individuato all’inizio dell’estate come la sponda adatta nei mesi difficili dello spread. Invece sorpresa: Berlusconi trattava con la Bce di Mario Draghi, da sempre poco in sintonia con Tremonti (il cui ultimo libro, Uscita di sicurezza è un lungo atto d’accusa implicito a Draghi).
La lettera della Bce “arriva” al governo il 4 agosto (e, a quanto risulta al Fatto, è arrivata in simultanea a palazzo Chigi e al Tesoro). Raccontano diverse fonti, quel documento è stato elaborato più a Roma che a Francoforte e l’ordine delle firme in calce, Mario Draghi, Jean Claude Trichet, non è soltanto alfabetico. Certo, anche alla Bce ci sono monitoring team che sanno quanto via Nazionale delle cose italiane. E le richieste della lettera non erano molto diverse dai punti principali delle considerazioni finali di Draghi, a fine anno (e dalle richieste dei mercati). Ma il documento è frutto di un negoziato che si svolge a Roma. Ci ha lavorato l’altro cervello economico del governo berlusconiano, Renato Brunetta, che oggi oppone un drastico “Non ho niente da dire, ho scritto tutto nelle mie slide”, alludendo alle corpose presentazioni che manda con cadenza settimanale ai giornalisti per commentare l’attualità. A ben guardare, Brunetta ha fatto il suo coming out, sul Foglio, il primo di ottobre: “Ora che la lettera della Bce è divenuta pubblica posso smettere di nascondere la mia reazione quando la lessi: i signori della Bce hanno ragione, i loro suggerimenti sono il nostro programma”. E nella conclusione dell’articolo che argomenta come la lettera “annienta gli avversari del governo”, Brunetta scriveva: “In quella missiva, quindi, più che l’intimazione a cambiare rotta c’è, per il governo, la pressante richiesta di procedere più speditamente. E di farlo nella direzione fin qui intrapresa”. Così veniva vissuta, in quell’ala del governo, ciò che ad altri pareva commissariamento internazionale: un’assicurazione che permetteva a Berlusconi di sopravvivere.
La pausa di Monti
Ma torniamo ai giorni cruciali di agosto. L’8 agosto il Corriere della Sera rivela i contenuti della lettera che qualcuno, c’è chi dice Draghi chi Tremonti, ha allungato a via Solferino: privatizzazioni dei servizi pubblici locali, liberalizzazioni, riforma del lavoro con intervento sull’articolo 18, e una riforma della Pubblica amministrazione, punto questo che sembra una firma di Brunetta che certifica il suo coinvolgimento (tipicamente brunettiano il passaggio “negli organismi pubblici dovrebbe diventare sistematico l’uso di indicatori di performance”). In cambio, anche se non si può esplicitare il do ut des, la Bce comprende buoni del Tesoro italiani sul mercato secondario per ridurre lo spread e quindi i rendimenti, cioè il costo. È il Securities Market Program che, forzando un po’ i limiti del mandato della Bce spingerà alle dimissioni il membro tedesco del board Jürgen Sark. Il giorno prima della rivelazione dei contenuti della lettera, quasi a darvi l’imprimatur, il Corriere pubblica un editoriale del professor Mario Monti: “Il podestà forestiero”. La frase importante è questa: “Il governo e la maggioranza, dopo avere rivendicato la propria autonoma capacità di risolvere i problemi del Paese, dopo avere rifiutato l’ipotesi di un impegno comune con altre forze politiche per cercare di risollevare un’Italia in crisi e sfiduciata, hanno accettato in questi ultimi giorni, nella sostanza, un ‘governo tecnico’”. Quindi: “Le forme sono salve. I ministri restano in carica. La primazia della politica è intatta. Ma le decisioni principali sono state prese da un ‘governo tecnico sopranazionale’ ”. É il segnale a un certo mondo che l’operazione governo tecnico è sospesa. O meglio, delegata a Draghi. Così da salvare – come nota Monti – almeno nelle forme la sovranità italiana. E soprattutto rimandare la caduta di Berlusconi di cui nessuno, allora, era in grado di prevedere le conseguenze.
Come aveva rivelato Fabio Martini su La Stampa il 24 luglio, infatti, l’idea che il premier lo dovesse fare Monti era già condivisa in ambienti influenti. In una riunione lunedì 18 luglio, nella sede della banca Intesa Sanpaolo, ci sono Giovanni Bazoli, presidente del consiglio di sorveglianza, l’editore di Repubblica Carlo De Bendetti, Romano Prodi, il banchiere vaticano Angelo Caloia e il futuro ministro Corrado Passera, allora capo azienda di Intesa. Monti, come suo stile, si mette a disposizione ma soltanto nel caso ci sia un consenso generale dietro il suo nome, non vuole imporsi ma essere imposto. Poi la lettera Bce offre un’ultima chance a Berlusconi. Sappiamo come è finita.
Il Fatto Quotidiano, 12 Maggio 2012
Twitter @stefanofeltri
Stefano Feltri
Giornalista
Economia & Lobby - 12 Maggio 2012
Lettera della Bce, la vera storia
Basta leggere la lettera della Bce per capire che è stata scritta a Roma. Quella lettera è un passaggio politico di grande rilievo che entra nella sovranità di un Paese”, ha buttato lì l’ex ministro del Tesoro Giulio Tremonti durante la puntata di Servizio Pubblico di giovedì sera. “E qualcuno l’ha chiesta, dentro il governo e non solo, c’era un certo tifo per quel tipo di intervento a vari livelli. L’attuale presidente del Consiglio ha detto in Parlamento: ‘non starei in un governo che chiede una lettera’ e in modo inglese stava facendo capire che quella della Bce è stata richiesta da quello precedente”, allude, dice e non dice, ma Tremonti invita a rileggere la storia di quel documento che ha cambiato molto. Perché tutto cominciò da lì. E lì bisogna tornare ora che, dopo sei mesi, si può cominciare a guardare con l’oggettività della distanza alla nascita del governo Monti.
L’ultima chance per B.
La lettera della Bce, il programma di emergenza firmato da Mario Draghi e Jean Claude Trichet che ha prima accompagnato Silvio Berlusconi alla porta e poi ha dato le basi per l’azione dei tecnici. Nella vulgata giornalistica la lettera è diventata la condanna a morte del governo Berlusconi, secondo quanto ha ricostruito il Fatto Quotidiano, grazie al racconto di alcune delle persone coinvolte, quel documento era invece l’ultimo tentativo di rendere accettabile ai mercati un esecutivo screditato, ridimensionando la probabilità di una crisi politica che all’epoca, nell’estate 2011, poteva dare il colpo finale alle finanze del Paese.
Una lettura critica della storia della lettera deve partire dal 4 agosto, dalla conferenza stampa convocata a sorpresa in cui il governo Berlusconi ammette di dover riscrivere la manovra di luglio giudicata inadeguata dai mercati, anticipando al 2013 il pareggio di bilancio previsto in origine per il 2014 (ma con oltre 20 miliardi di interventi rinviati a dopo la fine della legislatura). I giornali liquidano come un “siparietto” l’educato ma violento dialogo tra Silvio Berlusconi e Giulio Tremonti. Il ministro dell’Economia accenna ai contatti del governo avviati con diverse istituzioni finanziarie per discutere insieme le misure da adottare, e cita l’Ocse e il Fondo monetario internazionale, “Noi saremo attivi aprendoci al confronto con queste istituzioni internazionali”. Berlusconi lo interrompe aggiungendo: “Anche la Bce”. Tremonti lo guarda stupito, con l’espressione di chi pensava che il Cavaliere, alle prese in quel periodo con le vicende bunga bunga, avesse solo una vaga idea di cosa fosse la Banca centrale europea. “Credo sia molto importante, ma non coinvolgibile in questa fase”, precisa il ministro, pensando a quanto Francoforte tenga alla sua indipendenza dai governi e viceversa. E Berlusconi, sibillino: “Ma informabile sì”.
Il negoziato segreto.
Tremonti non insiste. Ma al ministro suona bizzarro: in quei giorni il Cavaliere è già un paria per i partner europei, Tremonti è rimasto l’unico ambasciatore del governo nei consessi internazionali, con una mossa di immagine e di sostanza ha appena avvicinato John Lipsky, allora vicedirettore generale del Fmi in procinto di lasciare il suo posto a Washington. Lipsky doveva diventare un super consulente, anello di congiunzione con il Fmi di Christine Lagarde che Tremonti aveva individuato all’inizio dell’estate come la sponda adatta nei mesi difficili dello spread. Invece sorpresa: Berlusconi trattava con la Bce di Mario Draghi, da sempre poco in sintonia con Tremonti (il cui ultimo libro, Uscita di sicurezza è un lungo atto d’accusa implicito a Draghi).
La lettera della Bce “arriva” al governo il 4 agosto (e, a quanto risulta al Fatto, è arrivata in simultanea a palazzo Chigi e al Tesoro). Raccontano diverse fonti, quel documento è stato elaborato più a Roma che a Francoforte e l’ordine delle firme in calce, Mario Draghi, Jean Claude Trichet, non è soltanto alfabetico. Certo, anche alla Bce ci sono monitoring team che sanno quanto via Nazionale delle cose italiane. E le richieste della lettera non erano molto diverse dai punti principali delle considerazioni finali di Draghi, a fine anno (e dalle richieste dei mercati). Ma il documento è frutto di un negoziato che si svolge a Roma. Ci ha lavorato l’altro cervello economico del governo berlusconiano, Renato Brunetta, che oggi oppone un drastico “Non ho niente da dire, ho scritto tutto nelle mie slide”, alludendo alle corpose presentazioni che manda con cadenza settimanale ai giornalisti per commentare l’attualità. A ben guardare, Brunetta ha fatto il suo coming out, sul Foglio, il primo di ottobre: “Ora che la lettera della Bce è divenuta pubblica posso smettere di nascondere la mia reazione quando la lessi: i signori della Bce hanno ragione, i loro suggerimenti sono il nostro programma”. E nella conclusione dell’articolo che argomenta come la lettera “annienta gli avversari del governo”, Brunetta scriveva: “In quella missiva, quindi, più che l’intimazione a cambiare rotta c’è, per il governo, la pressante richiesta di procedere più speditamente. E di farlo nella direzione fin qui intrapresa”. Così veniva vissuta, in quell’ala del governo, ciò che ad altri pareva commissariamento internazionale: un’assicurazione che permetteva a Berlusconi di sopravvivere.
La pausa di Monti
Ma torniamo ai giorni cruciali di agosto. L’8 agosto il Corriere della Sera rivela i contenuti della lettera che qualcuno, c’è chi dice Draghi chi Tremonti, ha allungato a via Solferino: privatizzazioni dei servizi pubblici locali, liberalizzazioni, riforma del lavoro con intervento sull’articolo 18, e una riforma della Pubblica amministrazione, punto questo che sembra una firma di Brunetta che certifica il suo coinvolgimento (tipicamente brunettiano il passaggio “negli organismi pubblici dovrebbe diventare sistematico l’uso di indicatori di performance”). In cambio, anche se non si può esplicitare il do ut des, la Bce comprende buoni del Tesoro italiani sul mercato secondario per ridurre lo spread e quindi i rendimenti, cioè il costo. È il Securities Market Program che, forzando un po’ i limiti del mandato della Bce spingerà alle dimissioni il membro tedesco del board Jürgen Sark. Il giorno prima della rivelazione dei contenuti della lettera, quasi a darvi l’imprimatur, il Corriere pubblica un editoriale del professor Mario Monti: “Il podestà forestiero”. La frase importante è questa: “Il governo e la maggioranza, dopo avere rivendicato la propria autonoma capacità di risolvere i problemi del Paese, dopo avere rifiutato l’ipotesi di un impegno comune con altre forze politiche per cercare di risollevare un’Italia in crisi e sfiduciata, hanno accettato in questi ultimi giorni, nella sostanza, un ‘governo tecnico’”. Quindi: “Le forme sono salve. I ministri restano in carica. La primazia della politica è intatta. Ma le decisioni principali sono state prese da un ‘governo tecnico sopranazionale’ ”. É il segnale a un certo mondo che l’operazione governo tecnico è sospesa. O meglio, delegata a Draghi. Così da salvare – come nota Monti – almeno nelle forme la sovranità italiana. E soprattutto rimandare la caduta di Berlusconi di cui nessuno, allora, era in grado di prevedere le conseguenze.
Come aveva rivelato Fabio Martini su La Stampa il 24 luglio, infatti, l’idea che il premier lo dovesse fare Monti era già condivisa in ambienti influenti. In una riunione lunedì 18 luglio, nella sede della banca Intesa Sanpaolo, ci sono Giovanni Bazoli, presidente del consiglio di sorveglianza, l’editore di Repubblica Carlo De Bendetti, Romano Prodi, il banchiere vaticano Angelo Caloia e il futuro ministro Corrado Passera, allora capo azienda di Intesa. Monti, come suo stile, si mette a disposizione ma soltanto nel caso ci sia un consenso generale dietro il suo nome, non vuole imporsi ma essere imposto. Poi la lettera Bce offre un’ultima chance a Berlusconi. Sappiamo come è finita.
Il Fatto Quotidiano, 12 Maggio 2012
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Palermo, 9 mar. (Adnkronos) - "Il nostro governo ha scelto di realizzare i termovalorizzatori con risorse pubbliche, stanziando 800 milioni di euro attraverso il Fondo per lo sviluppo e la coesione (Fsc). Questo per evitare che il costo di ammortamento potesse ricadere sui cittadini attraverso tariffe esorbitanti. Noi vogliamo evitare questo errore e garantire un sistema sostenibile dal punto di vista economico, ambientale e sociale. Non solo". Così, in un intervento sul Giornale di Sicilia il Presidente della Regione siciliana Renato Schifani. "I termovalorizzatori rappresentano una grande opportunità anche per il nostro sistema energetico- dice -In un periodo storico in cui i costi dell’energia sono sempre più elevati e la transizione ecologica è una priorità globale, trasformare i rifiuti in energia significa rendere la Sicilia più autonoma, ridurre la dipendenza da fonti fossili e creare un sistema. Il nostro cronoprogramma: entro questo marzo/aprile bando per progettazione; entro settembre 2026 inizio lavori (durata diciotto mesi). La Sicilia non può più permettersi di rimanere prigioniera dell’emergenza, della precarietà, dell’inerzia. È il momento di agire con coraggio e senso del dovere".
"Chi si oppone abbia almeno l’onestà di dire chiaramente perché e di assumersi la responsabilità di condannare questa terra al degrado e all’inefficienza- dice Schifani - Non possiamo accettare che il futuro della Sicilia venga bloccato da interessi di parte, da vecchie logiche a volte ambigue. Non possiamo più tollerare un sistema che penalizza i cittadini, le imprese e l’ambiente. La nostra Regione merita di voltare pagina. Merita un futuro fatto di pulizia, decoro e sostenibilità. Noi andremo avanti, con determinazione e con la convinzione che questa sia l’unica strada possibile. Anche se in salita. In tutti i sensi. Perché la Sicilia merita di più".
Palermo,9 mar. (Adnkronos) - "Perché, dopo vent’anni di dibattiti e promesse mancate, ancora oggi qualcuno si oppone alla realizzazione di impianti di termovalorizzazione? L’esperienza europea dimostra che questi impianti sono una soluzione efficiente e sicura per chiudere il ciclo dei rifiuti, trasformando ciò che non può essere riciclato in energia pulita. Eppure, in Sicilia si è continuato a rinviare, mentre le discariche si riempiono e i cittadini pagano bollette sempre più alte per smaltire i rifiuti altrove. È davvero un problema di tutela ambientale? No, perché i moderni termovalorizzatori sono progettati per garantire emissioni praticamente nulle, rispettando i più severi standard europei". Così il Presidente della Regione siciliana, Renato Schifani, in un intervento sul Giornale di Sicilia. "Parlare di inquinamento è oggi fuori luogo: in molte città del Nord Italia, in Europa e nel mondo, questi impianti convivono con i centri abitati senza alcun impatto sulla qualità dell’aria", dice.
"Forse si vuole difendere il business delle discariche? È un dubbio legittimo. Il sistema attuale, infatti, ha spesso alimentato interessi economici poco trasparenti, in alcuni casi perfino legati alla criminalità organizzata. E di questo ho parlato in occasione della mia audizione alla Commissione parlamentare di inchiesta sulle ecomafie", conclude Schifani.
Palermo, 9 mar. (Adnkronos) - "La Sicilia, purtroppo, vive da decenni un’emergenza che sembra diventata strutturale. Il mio governo ha individuato fin dalla campagna elettorale questo come un obiettivo primario, consapevole che la gestione dei rifiuti non è solo un problema ambientale, ma anche sociale ed economico. Abbiamo ereditato una situazione di stallo, con un sistema fondato su discariche ormai al collasso, senza un’efficace pianificazione e con una raccolta differenziata ancora insufficiente. E soprattutto, mancava uno strumento fondamentale: il Piano rifiuti, indispensabile per poter programmare e realizzare qualsiasi intervento strutturale. Lo abbiamo speditamente adottato nel novembre scorso, dopo un grande lavoro di squadra che ha coinvolto vari organi istituzionali preposti al ramo". Così, in un intervento sul Giornale di Sicilia, il Presidente della Regione siciliana, Renato Schifani,.
"Sapevamo che sarebbe stato un percorso difficile, sia dal punto di vista normativo che politico- prosegue - E a volte avvertiamo una condizione di solitudine, nel dover difendere un’idea di sviluppo che dovrebbe essere patrimonio comune, ma che invece incontra resistenze incomprensibili e a volte ambigue. Non cori da stadio, ma silenzi a volte trasversali e imbarazzanti".
"Non è un caso che il tema dei termovalorizzatori in Sicilia sia presente nel dibattito pubblico da oltre vent’anni, senza mai trovare una concreta soluzione- aggiunge Schifani - In tutto questo tempo, mentre in altre regioni italiane e in Europa si realizzavano impianti di ultima generazione per trasformare i rifiuti in energia, in Sicilia si continuava a rinviare, accumulando ritardi su ritardi e lasciando che il problema si aggravasse. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: città invase dai rifiuti, discariche sature, costi di smaltimento sempre più elevati e una dipendenza dall’estero per l’invio della spazzatura che pesa sulle tasche dei cittadini siciliani per oltre cento milioni all'anno". "Ciò che trovo più preoccupante è la rassegnazione diffusa tra i siciliani. Dopo decenni di annunci e promesse mancate, molti ormai non credono più che il cambiamento sia possibile. Ma io dico che questa volta è diverso. Questa volta il governo regionale ha fatto una scelta chiara e irreversibile: realizzare gli impianti e dare finalmente alla Sicilia una gestione moderna ed efficiente dei rifiuti. E per questo obiettivo dedico due pomeriggi al mese per monitorare di persona il percorso, spesso complesso ma che ci sforziamo di velocizzare. Per non parlare dei numerosi ricorsi presentati contro il mio piano per bloccare il tutto. A questi ci opporremo con fermezza e competenza".
Palermo, 9 mar. (Adnkronos) - I vigili del fuoco del Comando provinciale di Palermo resteranno per tutta la notte tra via Quintino Sella e via Gaetano Daita per tenere sotto controllo l'edificio in cui ieri mattina si è propagato un vasto incendio che ha distrutto l'appartamento all'ultimo piano dell'ex sottosegretario alla Salute, Adelfio Elio Cardinale, e della moglie, l'ex magistrato Annamaria Palma. I due sono riusciti a mettersi in salvo, tutti i residenti sono stati evacuati, un uomo di 80 anni è rimasto intossicato. "Le fiamme sono state circoscritte e non si propagano più. Sono in corso adesso le operazioni di bonifica che consistono nello smassamento della parte combusta e nello spegnimento dei focolai residui. Per tutta la notte sul posto sarà effettuato un servizio di vigilanza antincendio", ha spiegato in serata all'Adnkronos Agatino Carrolo, direttore regionale dei vigili del fuoco della Sicilia, da ieri mattina sul luogo del rogo.
"Abbiamo dovuto tagliare il tetto con le motoseghe. I miei uomini hanno lavorato a 25 metri su un piano inclinato di 30 gradi e abbiamo lavorato con la dovuta cautela. Tagliato il tetto si impedisce alle fiamme di propagarsi. Quindi rimangono da effettuare le operazioni di bonifica, di rimozione del materiale combusto e laddove ci sono dei focolai residui spegnerli. Oltre a questo si prevede di effettuare un'operazione di vigilanza antincendio ceh consiste in un presidio fisico a vigilare lo stato dei luoghi fino a quando non ci sarà più bisogno", ha detto.
E ha aggiunto: "Ci siamo trovati ad operare ad un altezza di 25 metri dal piano di calpestio. Dobbiamo spegnere un incendio importante di un tetto di circa 400 mq di falde e le fiamme sono particolarmente insidiose perché questa combustione è caratterizzata dal cosiddetto fuoco covante ossia una combustione in condizione di sotto ossigenazione che corre nello spazio di ventilazione del tetto. Quindi in superficie non si vede nulla ma ad un certo punto le fiamme affiorano dove è possibile".
Roma, 8 mar (Adnkronos) - "Non c’è molto da dire, se non che mi vergogno e che mi dispiace molto. Il Pd è germogliato dalle tradizioni più alte e più nobili della storia politica del Paese. Ha nel suo dna l’europeismo. Ed è di tutta evidenza che non può essere questo il nostro posizionamento". Lo scrive sui social Pina Picierno rispondendo alle proteste sui social per il post del Pd sulla questione del piano di Difesa Ue in cui si legge 'bravo Matteo' a proposito delle posizioni di Matteo Salvini.
"Mi vergogno, infatti. E sono allibita", aggiunge la vice presidente del Parlamento europeo.
Roma, 8 mar (Adnkronos) - "Ma vi siete bevuti il cervello Elly Schlein? Vi mettete a scimiottare Salvini. I riformisti sono vivi? Hanno qualcosa da dire? Paolo Gentiloni, Lorenzo Guerini certificate la vostra esistenza in vita al netto di Pina Picierno e Filippo Sensi". Lo scrive sui social Carlo Calenda, rilanciando un post del Partito democratico sulla questione del piano di Difesa Ue in cui tra l'altro si legge 'bravo Matteo' a proposito delle posizioni di Salvini.
Roma, 8 mar (Adnkronos) - "In Italia si aggira un tizio - si chiama Andrea Stroppa - che rappresenta gli interessi miliardari e le intrusioni pericolose di Elon Musk. Dopo avere espresso avvertimenti vagamente minatori e interferito sull’attività di governo, questo Stroppa ha insultato due giornalisti, Fabrizio Roncone e la moglie Federica Serra, con il metodo tipico dell’intimidazione". Lo dice il senatore del Pd Walter Verini.
"Esprimiamo solidarietà ai due giornalisti. E ci chiediamo anche cosa aspetti Giorgia Meloni, Presidente del Consiglio di questo Paese, a far sentire la sua voce contro queste ingerenze, questi attacchi, questi tentativi di intimidazione a giornalisti e giornali”, aggiunge il capogruppo Pd in Antimafia.