All’epoca dei fatti uno non era nemmeno nato e l’altro andava alle elementari. Eppure Francesco Barilli, 42 anni, geometra al Comune di Pizzighettone, Milano, e Matteo Fenoglio, 34, un diploma in Belle arti e un lavoro da operaio a Pinerolo, Torino, quella storia hanno saputo farla propria. E, come già avevano fatto per la strage di piazza Fontana, la trasmettono ora alle nuove generazioni con lo strumento che meglio riesce a parlare loro, la graphic novel.
“Non è di maggio” (Becco giallo) è la loro ultima fatica: ricostruisce la genesi e l’attuazione della strage di piazza della Loggia, Brescia, 28 maggio 1974, otto morti e oltre cento feriti.
Ed esce in libreria poche settimane dopo l’ennesimo processo che ha mandato assolti gli imputati dell’attentato: neofascisti di chiara fama come quel Delfo Zorzi che vive tranquillo in Giappone, e pezzi dello Stato come il generale dei carabinieri Francesco Delfino.
Quello di Barilli e Fenoglio è un lavoro importante, frutto di approfondite ricerche d’archivio e indagini sul campo. Immagini più vere del vero, dati e documenti ineccepibili. E la passione di chi cerca verità e giustizia per un crimine impunito.
La storia non si scrive con le sentenze, ma con un fumetto (forse) sì.
“Già il nostro precedente libro su piazza Fontana era nato dall’esigenza di fare chiarezza fra i più giovani” dice Barilli. “Chiedevi ai ragazzi che cosa sapevano della strage e ti rispondevano: è un mistero. Falso, perché anche se i colpevoli non sono stati consegnati alla giustizia, c’è comunque una verità processuale acclarata: la strage è stata concepita, maturata e attuata nell’ambito dell’eversione nera”.
Con quella prima graphic novel (edita anch’essa da Becco giallo) il duo Barilli-Fenoglio non si proponeva dunque di svelare chissà quale retroscena, ma di raccontare e illustrare ciò che si sapeva. Lo stesso può dirsi oggi per il nuovo lavoro sull’attentato di Brescia. “Una strage quasi dimenticata” lamenta Barilli. “Ricordo un illuminante articolo di Luigi Ferrarella sul Corriere della sera del 12 dicembre 2009, in occasione del quarantennale di piazza Fontana. Ben vengano le testimonianze e i ricordi, scriveva, ma rammentiamo che c’è un processo in corso per un’altra strage, quella di piazza della Loggia, che rischia di passare sotto silenzio”.
Barilli e Fenoglio decisero allora di squarciare quel silenzio. E di farlo alla grande, coprendo cinque anni di storia (il “quinquennio nero” 1969/1974) in due volumi: il primo, quello in libreria oggi, sui prodromi, tutti i fatti che portarono alla strage, e la preparazione della strage stessa, il secondo sugli sviluppi processuali, l’ultimo dei quali si è appunto concluso poche settimane fa (ma ci sarà, con tutta probabilità, il ricorso in appello). Il secondo è in preparazione.
Fondamentale, per la ricostruzione dei fatti e del clima dell’epoca, il contributo dato dai sopravvissuti e dai parenti delle vittime, fra i quali Manlio Milani. Grande e certosino il lavoro sugli atti processuali. E per le immagini? “Ho lavorato su moltissimo materiale inedito” spiega Matteo Fenoglio. “ Nel senso che ho attinto a materiale iconografico giudiziario mai pubblicato dai media. Ma gran parte dei luoghi li ho ricostruiti dopo una ricerca sul campo, così come i volti dei testimoni”.
È consolante sapere che, nella società dell’effimero, ci siano giovani che coltivano pervicacemente la memoria, la storia degli ultimi: Fenoglio ha cominciato raccontando lo sciopero dei 35 giorni alla Fiat negli anni Ottanta. Barilli è fra i collaboratori di Reti invisibili, un sito e network di associazioni italiane impegnate nella memoria storica, nella ricerca della verità e della giustizia su molte vicende che hanno insanguinato il nostro Paese dal dopoguerra ad oggi.
“Da molto tempo le stragi non sono più raccontate.
Commemorate sì, ma ridotte a eventi lapidari.
La memoria è duratura se è un racconto ripetuto:
racconto, cioè svolgimento narrativo e non rappresentazione
di un evento isolato. Ripetuto, in quanto abbia
un senso al mutare del contesto e delle generazioni.
Io, adesso, sogno come sarebbe stato mio fratello
Gino, i suoi occhi ridenti, e se fossi stato lo zio dei suoi
figli avrei cantato loro la ninna nanna della mia terra.
Non è così.”
Dalla lettera di Lorenzo Pinto, scomparso il 1° gennaio 2011, in ricordo del fratello Luigi, deceduto nella strage di Piazza della Loggia