Il senatore Umberto Bossi è indagato per truffa ai danni dello Stato in concorso con l’ex tesoriere Francesco Belsito. L’iscrizione per l’ex segretario del Carroccio e ora presidente è relativa ai rimborsi elettorali incassati dalla Lega nel 2010 con il relativo rendiconto del 2011, la cifra è di 18 milioni di euro. Bossi risponde in concorso con l’ex amministratore indagato anche dalle procure di Reggio Calabria e Napoli. Nel registro degli indagati sono stati iscritti anche i figli del Senatur Renzo e Riccardo per appropriazione indebita, reato relativo alle spese personali che sono state sostenute per i due ragazzi con i soldi del partito. Anche in questo caso a rispondere in concorso c’è Belsito. Secondo gli inquirenti i due ragazzi ricevano una paghetta da 5 mila euro al mese. Denaro “prelevato” dai soldi dei rimborsi elettorali con la piena consapevolezza del padre. Il periodo sotto inchiesta va dal 2008 al 2011. Agli atti dell’inchiesta c’è la lettera in cui Riccardo, in una delle sue richieste, aveva scritto a Belsito:“Ne ho parlato oggi con papà”.
Dagli atti dell’inchiesta di Napoli emerge pure che a Maruska Abbate, ex moglie di Riccardo, sarebbero stati versati alimenti, prelevando i soldi necessari dalle casse del partito. Nella contabilità dell’ex tesoriere della Lega, infatti, c’è anche un fascicolo chiamato “alimenti”. Tra maggio e ottobre 2011 alla moglie del figlio maggiore di Bossi sono stati corrisposti circa 5000 euro. Gli investigatori hanno individuato, come riscontro, un bonifico di Belsito presso l’agenzia del Banco di Napoli di Montecitorio.
Umberto Bossi risponde come legale rappresentante del partito in quanto firmatario dei rendiconti che portano all’erogazione dei rimborsi elettorali. Nei suoi confronti non c’è alcuna contestazione che riguarda presunte spese personali. Mentre sono in corso di accertamento le cifre di denaro di cui Riccardo e Renzo Bossi si sarebbero indebitamente appropriati; è stata infatti disposta una consulenza tecnica la quale dovrà fare luce sull’eventuale utilizzo dei fondi pubblici. Secondo il procuratore capo di Milano Edmondo Bruti Liberati “è sufficiente avere l’indicazione che i fondi destinati al partito sono stati usati per altri scopi”.
Al Trota non è stato possibile consegnare l’avviso di garanzia perché il giovane è in vacanza in Marocco con Monica Rizzi, ex assessore regionale, coinvolta in una presunta formazione di dossier ai danni di un avversario di Renzo alle scorse elezioni regionali su cui era stata aperta un’inchiesta dalla Procura di Brescia, e con il compagno di quest’ultima, finita nel mirino dei cronisti anche per la vicenda della laurea in Psicologia in Svizzera che però non risultava essere stata conseguita all’ateneo elvetico. Dopo questa vicenda la Rizzi, obbedendo a un ordine del partito, si era dimessa.
La Procura di Milano ha indagato anche il senatore Piergiorgio Stiffoni e Paolo Scala, il finanziere che aveva gestito l’affare della Tanzania. Quest’ultimo risponde di riciclaggio. Per il senatore invece l’accusa è quella di peculato per aver utilizzato i soldi che erano sui conti della Lega a Palazzo Madama. L’indagine in questo caso verrà trasferita a Roma per competenza.
Lo scandalo che ha travolto la Lega coinvolge ben tre procure: Milano, Napoli e Reggio Calabria, anche se a iscrivere nel registro degli indagati il nome dei Bossi è stata nei giorni scorsi quella lombarda. Le ultime due indagano per riciclaggio relativo anche agli investimenti in Tanzania e Cipro di circa 6 milioni di euro. Lo scorso dicembre la pubblicazione sulle pagine del Secolo XIX dello strano affare tanzanese aveva fatto puntare i riflettori sul Carroccio. Belsito, finito nel mirino, aveva cominciato a raccontare al telefono alla segretaria Nadia Dagrada tutte le spese sostenute per Umberto Bossi e famiglia. Dalla polizza assicurativa per la villa di Gemonio alle spese per la ristrutturazione della casa. Belsito, che era stato introdotto come amministratore dall’ex tesoriere Maurizio Balocchi, sotto pressione per le richieste di spiegazioni dal partito, in una casetta di sicurezza negli uffici della Camera ha raccolto tutti i documenti relativi alle spese personali in una cartelletta denominata “The Family”. In quel fascicolo Belsito ha conservato i pagamenti delle multe di Renzo Bossi, le spese sanitarie del figlio minore di Bossi Eridanio, le distinte di diversi bonifici e anche documenti relativi all’istruzione di Renzo detto il Trota. Negli ultimi giorni la Procura di Milano aveva avviato accertamenti proprio sulla laurea albanese del Trota, che si sarebbe diplomato in business management senza mai mettere piede nel paese delle Aquile.
Nelle conversazioni intercettate dagli investigatori del Noe dei Carabinieri Belsito diceva che dalle casse della Lega per il solo 2011 per Bossi e famiglia sarebbero stati spesi 611 mila euro. Coi soldi del partito, secondo l’ex tesoriere con un passato da buttafuori e portaborse di un ex ministro di Forza Italia, sarebbe stata finanziata anche la scuola bosina gestita dalla moglie di Bossi, Manuela Marrone, il sindacato padano ovvero il SinPa guidato Rosi Mauro, senatrice e vice presidente del Senato, espulsa come Belsito dal Carroccio. I soldi della Lega sarebbero finiti anche alla “nera”, che ha sempre negato, per la sua istruzione e quella del suo capo scorta Pier Moscagiuro. Le posizioni della Mauro e della signora Bossi, entrambe non indagate, sono però ora al vaglio degli inquirenti milanesi. In particolare i magistrati cercano di fare luce sulle uscite effettuate proprio a favore del sindacato e dell’istituto. In particolare in una telefonata intercettata, ora agli atti dell’inchiesta, gli interlocutori fanno riferimento ad una somma di 300 mila euro parcheggiata in contanti per la scuola.
A mettere nei guai Bossi&co ci sono anche le dichiarazioni a verbale delle segretarie dell’ex leader. Nadia Dagrada, interrogata dai pm milanesi e napoletani quando erano scattate le perquisizioni da parte della Guardia di Finanza, aveva confermato che Umberto Bossi era perfettamente a conoscenza che i soldi della Lega fossero utilizzati anche per le spese personali della famiglia. Gli inquirenti si sono convinti che fosse necessario inviare un avviso di garanzia al fondatore della Lega proprioalla luce delle dichiarazioni della Dagrada che ha affermato, durante gli interrogatori, che il Senatur firmava tutti i rendiconti. In particolare, a Bossi viene contestato di avere avallato questi rendiconti ritenuti non veritieri nell’agosto 2011; 18 milioni di euro che il partito ha incassato presentando, secondo l’accusa, un rendiconto infedele e ottenere quindi i rimborsi elettorali relativi all’anno 2010. Anche l’assistente personale di Bossi, Daniela Cantamessa, aveva parlato della consapevolezza del Senatur riferendo agli inquirenti di aver messo sull’avviso l’allora segretario per gli strani comportamenti del tesoriere.
Ad aggravare lo scandalo anche un video di un ex autista, poi licenziato, che temendo di esser coinvolto nell’inchiesta aveva filmato Renzo, che poi si è dimesso dalla carica di consigliere regionale diversi giorni fa, mentre afferrava alcune banconote. Soldi che dovevano coprire le spese di servizio e non finire nelle mani del Trota per pagarsi la benzina o le medicine. Gli accertamenti della Procura di Milano sono proseguiti senza sosta per verificare e trovare i riscontri alle dichiarazioni e anche alla stessa documentazione. Anche Belsito naturalmente durante gli interrogatori ha confermato la consapevolezza del fondatore del partito. Il cui nome è stato accostato anche alla ‘Ndrangheta. Nell’indagine reggina, che sta continuando a fare accertamenti anche sull’investimento in Tanzania, sono emersi i rapporti di Belsito con Romolo Girardelli, detto l’ammiraglio, uomo secondo gli inquirenti legato alla cosca dei De Stefano.
Il procuratore capo Edmondo Bruti Liberati e il pm Paolo Filippini in un incontro coni giornalisti hanno spiegato che l’iscrizione di Umberto Bossi è “un atto di garanzia che dovrà comportare degli approfondimenti”. Approfondimenti che, hanno precisato gli inquirenti, sono collegati ad accertare se effettivamente il denaro ottenuto grazie al meccanismo dei rimborsi elettorali sia stato utilizzato per esigenze personali dagli altri indagati, a cominciare dall’ex tesoriere. Quest’ultimo, hanno puntualizzato i magistrati, risponde anche di appropriazione indebita, oltre che di truffa perché si sarebbe accaparrato il denaro per uso personale. L’avviso di garanzia a Umberto Bossi e’ stato notificato nella sede del Carroccio, in via Bellerio.
Aggiornato dalla redazione web alle 17.33