“La volontà popolare è massacrata dal sistema dei partiti. Cosa si sta aspettando?”. È un Romano Prodi particolarmente battagliero quello che si scaglia con decisione verso la necessità non più procrastinabile di una riforma elettorale. Nella giornata di discussione su Europa e riforme organizzata a Bologna dallo zoccolo duro dell’Ulivo dal titolo “Democrazia? Democrazia!”, l’ex presidente del Consiglio torna su un tema che non può lasciar correre: il rischio di una legge elettorale proporzionale che non consenta al Paese di riacquistare una necessaria sovranità. Complici i partiti, che non hanno rispettato la volontà popolare dimostrata dalla raccolta firme per abolire la nota legge ribattezzata “Porcellum”: “In Italia c’è una storia di referendum ripetutamente vinti e di volontà dei cittadini massacrata dal sistema dei partiti. Questa e’ una delle tragedie più grandi del nostro Paese – esclama – Abbiamo bisogno di una riforma elettorale che ci faccia riacquistare sovranità”.
“Che cosa si aspetta per tenere conto della volontà popolare e della necessità di recuperare la sovranità? – chiede un Prodi particolarmente accorato – Non è sufficiente la dissoluzione del sistema?”. Risuona l’attesa presa di posizione del leader dell’Ulivo, in una platea che non manca di eccezioni politiche (da Mario Baldassarri del Fli, a Massimo Donadi, Idv), tecnici del mondo costituzionale e bancario, senatori e amministratori locali che hanno animato un’ampia campagna referendaria e le 1.210.466 firme raccolte arenarsi alla Consulta. Tra questi, il politologo Angelo Panebianco, i giovani Filippo Andreatta e Pippo Civati, l’ex vicepresidente dell’Abi Alfono Iozzo e naturalmente Arturo Parisi.
Trai promotori della giornata in “difesa della democrazia” anche i parlamentari fedelissimi prodiani del Pd Antonio La Forgia, Sandra Zampa e Albertina Soliani, che si erano preparati a “suonare la sveglia” al leader Pier Luigi Bersani. Una richiesta diretta che era stata espressamente sintetizzata dai Democratici nei giorni scorsi, amministrative in vista: “A Bersani chiedo che assuma l’iniziativa per rispondere a quanto la gente ci chiede ormai da troppo tempo. Nel Pd, oggi, non c’è un problema di leadership. Serve piuttosto trovare un ‘federatore’ di forze: se Bersani sarà in grado di farlo saremo felicissimi, ma bisognerebbe che ci si applicasse’”. Affondo che nella giornata di oggi non ha poi avuto specifica menzione.
In ogni caso, resta il tema: a remare contro una stabilità, proprio il sistema elettorale e la crisi del sistema di rappresentanza che ne deriva. Poco prima proprio Parisi, nel suo intervento introduttivo, aveva evidenziato il distacco delle persone dalla politica come un pericolo per la democrazia stessa: “dalla maggior parte dei cittadini, la politica viene scambiata con i politici, con i partiti. I partiti sono ritenuti la causa della crisi. La cittadinanza è schiacciata tra il tumulto della piazza come abbiamo visto fino a ieri sera – attacca senza far nomi l’ex ministro della Difesa – e la tentazione di delegare a tutto fuorché alla politica”.
Previsioni per le prossime elezioni? Fosche per il promotore del referendum Parisi: “col referendum del 18 aprile ’93, attraverso l’introduzione del maggioritario, conoscevamo almeno la forma secondo la quale avremmo votato. Oggi non conosciamo né la regola, né le proposte in campo né i proponenti? Vedremo un Hollande italiano eletto dai cittadini? O assisteremo a una sequenza di consultazioni inconcludenti?”.
Che la legge elettorale faccia la differenza, che non debba “fotografare” il paese ma consentirne il governo, lo sottolinea lo stesso Romano Prodi, con un paragone tra la Francia e la Grecia uscite dalle recenti elezioni: “ a guardar bene, non ci sono stati risultati così differenti al primo turno. Ma ora da una parte abbiamo un presidente, Hollande, che la sera stessa prende decisioni. Dall’altra, la polarizzazione devastante e elezioni fra un mese”.
Non solo l’Italia, ma l’intera Europa è in balia di una debolezza politica: “Tutti gli stati stanno perdendo sovranità di fronte la speculazione. La paura dei ragazzotti dello spread è tale da immobilizzare i governi. Questa è perdita di sovranità dello stato democratico”.
Perdita di sovranità sinonimo di perdita di democrazia, dunque. E ammonisce: se la Grecia va fuori dall’euro “è matematico che seguano gli altri”. Se saremo noi, la Spagna o il Portogallo, per il Professore dipenderà dalle crisi politiche interne, spiega, ma in ogni caso: “dopo la Grecia, la musica non è finita”. Grecia che si poteva salvare con “40 miliardi, 4 banche e due governi in una sera”, ricorda l’ex presidente della Commissione “ma non c’era la volontà politica”. Un ritardo che ha moltiplicato il problema da alcune decine a alcune centinaia di miliardi. “I mercati internazionali fanno peggiorare la crisi immediatamente e non attaccano gli Stati solo per le dimensioni del debito: il deficit della California è infinitamente peggiore del deficit della Grecia, ma nessuno pensa che la California esca dagli Usa”. Il messaggio arriva chiaro: serve un’unità che sia competitiva.
Ne è sicuro Prodi, che nonostante lo scenario europeo che sta spaventando cittadini, politici e mercati, si dice ottimista: “ritengo che la crisi e la paura ci obbligheranno ad un salto in avanti”. Per uscire dalla crisi di sovranità dei paesi, la ricetta dell’ex presidente della Commissione Europea, è un’alleanza forte, “un blocco che sblocchi” e che consenta all’Europa di diventare un interlocutore all’altezza di Cina e Stati Uniti: “un blocco politico con Francia, Spagna, Italia, Austria e chi ci sta. Non un blocco antitedesco ma che sblocchi l’Europa con un metodo tranquillizzante nei confronti dei mercati”. Se la Germania avesse un minimo di intelligenza politica, capirebbe che perfino lei è troppo piccola per andare da sola”, aggiungendo poi che: “La Germania della Merkel mi ricorda i Tea-Party americani: loro hanno una vocazione religiosa, mentre qui c’è più un contenuto etico, di superiorità morale”, ha spiegato.
E non risparmia gli Stati Uniti, l’europeista Prodi: “L’aiuto di Obama di questi momenti è di vitale importanza, però dura poco perché il suo europeismo è di facciata. È un problema di interessi – riferendosi, come poi sottolinea, anche alla paura del contagio da default. Il presidente americano: “non ha nessun legame con l’Europa: Obama è cittadino di un nuovo mondo”, conclude.