La Gran Bretagna vuole ridurre a tutti i costi le sue emissioni di CO2. Come? Soprattutto con l’energia nucleare. Oltre al desiderio di costruire nuove centrali atomiche, infatti, Londra vuole ora allungare la vita dei suoi reattori già esistenti. Vale anche per i due più datati: Hinkley B (Somerset) e Hunterston B (Ayrshire). Che, gestiti da Energie de France (Edf), dovevano essere dismessi nel 2016. Una politica energetica controversa, quella britannica: se da una parte gli operatori delle rinnovabili accusano il nuovo energy bill di riservare tutti i vantaggi all’atomo, e quindi ai grandi produttori, dall’altra l’Ufficio per la Regolamentazione Nucleare si dice “lieto che queste centrali possano continuare a operare”.

Cattura e stoccaggio del carbonio, energie rinnovabili, ma soprattutto centrali a gas e nucleari. Il mix energetico pensato dal governo Cameron in vista del prossimo libro bianco sull’energia mette tutto ciò che non è petrolio o carbone nello stesso calderone. Non quando si tratta di soldi, però: dei 110 miliardi di sterline che si stima verranno investiti in energie low carbon, infatti, la maggior parte andrà a finanziare l’atomo.

È quanto lamentano i produttori di rinnovabili, per cui la priorità del governo di “tenere le luci accese” avvantaggia la centralizzazione della produzione e quindi i grandi impianti. Quello pensato dal governo è un “complesso meccanismo di sussidi progettato per aumentare artificialmente il prezzo dell’elettricità e rendere più interessante per le grandi compagnie la costruzione di nuove centrali nucleari”, accusa ad esempio il piccolo imprenditore Dale Vince sulle pagine del Guardian.

Anche per Gaynor Hartnell, direttore esecutivo della Renewable Energy Association, “il governo ha bisogno di capire meglio i vantaggi di un investimento nelle energie rinnovabili”. È frustrante, secondo Hartnell, vedere che invece “diversi Paesi, dall’America al Giappone, alla Germania, si sono resi conto che investire a lungo termine nelle rinnovabili è un passo significativo verso l’uscita dall’attuale crisi economica”.

Del resto, il primo ministro David Cameron è sempre stato chiaro, a riguardo, affermando in diverse circostanze: “L’energia nucleare è la spina dorsale della nostra dotazione di energia da fonti a basse emissioni di gas serra”. E non è il solo. C’è anche chi nelle istituzioni la pensava diversamente e ha cambiato idea. Come lord Christopher Smith, barone di Finsbury e presidente dell’Agenzia per l’Ambiente di Inghilterra e Galles, per cui è ormai necessario sostenere il nucleare, per tutelare l’ambiente.

Le nuove evoluzioni del mercato energetico del Regno Unito soddisfano anche Edf che, dopo i necessari test di sicurezza, potrà prolungare di qualche anno l’attività delle sue otto centrali britanniche. “Estendere la vita delle nostre centrali ha assolutamente senso, in termini di fabbisogno energetico”, afferma un portavoce del colosso francese. Ma allo stesso tempo, fa notare, è necessario ed urgente “un nuovo programma nucleare nel lungo termine”, che permetta la costruzione di nuovi impianti.

La pensano diversamente coloro che ritengono questa svolta nuclearista uno spreco di tempo e di risorse, che si potrebbero invece destinare a una diffusione su larga scala dell’efficienza e delle energie pulite. Come Tom Burke, visiting professor presso l’Imperial e University College di Londra, per cui “non ci sono mai state plausibili ragioni di sicurezza energetica per costruire nuove centrali nucleari”, e quindi non ha senso prolungare la vita di quelle già esistenti.

Persino per il Dipartimento dell’Energia e del Cambiamento Climatico, favorevole all’opzione nucleare nel lungo termine, ha dichiarato che “estendere la vita utile delle vecchie centrali atomiche darà solo qualche anno in più di energia”, ma “rinvierà ad un’altra data la risoluzione del problema”.

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