Tra due mesi, alla cerimonia di inaugurazione che il 27 luglio aprirà i Giochi Olimpici di Londra 2012, un solo paese sfilerà senza donne nel suo contingente di atleti: l’Arabia Saudita. E’ fallito infatti l’ultimo tentativo di mediazione del Comitato Olimpico Internazionale (Cio), che nel meeting del comitato esecutivo tenutosi in Quebec dal 23 al 25 maggio ha discusso senza successo la mozione che avrebbe dovuto obbligare l’ultra conservativa monarchia wahhabita a permettere la partecipazione di atlete ai giochi. Sconfitto, il presidente del Cio Rogge ha annunciato che “non tutto è perduto, siamo ancora ottimisti” e che nel prossimo mese sarà fatto di tutto per evitare questa vergogna. Ma il tempo sembra ormai scaduto.
D’altronde, non più tardi del 4 aprile scorso, il principe Nawwaf al-Faisal – ministro dello sport e presidente del comitato olimpico saudita – in una conferenza stampa a Jeddah, aveva dichiarato: “Lo sport femminile non è mai esistito nel nostro paese e non abbiamo intenzione di muoverci in questa direzione. Al momento non stiamo minimamente prendendo in considerazione la partecipazione di donne alle prossime Olimpiadi”. Alla faccia dell’articolo 6 dei Principi Fondamentali della Carta Olimpica, che dovrebbe impedire ogni forma di discriminazione basata su sesso, razza o religione. Il Cio non è riuscito nemmeno a imporre una multa al comitato olimpico saudita. Troppo potente, anche nello sport, il miglior alleato dell’Occidente perché gli possa essere chiesto il rispetto dei diritti umani.
Impossibile, come ipotizzato da alcuni, che atlete saudite come la cavallerizza Dalma Rushdi Malhas, vincitrice della medaglia di bronzo alle Olimpiadi giovanile di Singapore nel 2010, possano concorrere sotto la bandiera del Cio. Né, che come è successo a Dalma a Singapore, possa bastare l’invito del Cio tramite la wild card che permette la qualificazione per meriti speciali e non sportivi. Della wild card faranno uso il Brunei e il Qatar, gli altri due stati che a Pechino 2008 si presentarono con un contingente di soli uomini, per mandare a Londra per la prima volta delle atlete donne ai Giochi. Ma non l’Arabia Saudita, che non ha nessuna intenzione di avvalersi di questi inviti.
“L’Arabia è l’ultima sacca di resistenza che non permette alle ragazze e alle donne di praticare sport”, la denuncia di Sarah Leah Whiston, responsabile per il Medio Oriente di Human Rights Watch. “Questa posizione dovrebbe essere contrastata con maggior decisione dalla famiglia Olimpica, altrimenti le limitazioni e gli impedimenti nei confronti delle donne, almeno per quel che riguarda lo sport, non cesseranno mai”, ha detto nei giorni scorsi, inascoltata, in concomitanza del meeting del Cio in Quebec. Già a febbraio, HRW aveva pubblicato un rapporto, intitolato Steps of The Devil, nel quale denunciava la discriminazione sessuale nello sport in atto nella teocrazia saudita.
A cominciare dalla prima infanzia, quando a scuola alle bambine è impedito di prendere parte alle ore di educazione fisica e ginnastica. Limitandosi alla negazione dei diritti per quello che riguarda lo sport, alle donne è poi impedito l’accesso alle palestre e agli impianti. La pratica sportiva femminile non è vietata in sé, ma ostacolata con tutti i mezzi. Secondo HRW negli ultimi anni la monarchia ha chiuso diversi impianti che offrivano accesso al gentil sesso, per lo più aperti da donne, con la scusa che le loro licenze non erano in regola. E ora nel paese ci sono 153 club sportivi per soli uomini e nessuno per donne. Per non parlare del fatto che nella maggior parte degli eventi sportivi è impedito alle donne di assistervi anche solo come spettatrici.
Se la partecipazione della giovane cavallerizza Dalma alle Olimpiadi Giovanili del 2010 era stato considerato un punto di partenza per un possibile cambio di rotta, le recenti dichiarazioni del ministro dello sport saudita hanno riportato il timone in mani maschili. Ma sono state l’inadeguatezza e l’inettitudine del Cio, a mettere la parola fine alla speranza che qualcosa potesse cambiare. Certo, il presidente del Cio Rogge continua a dirsi ottimista, ma il tempo stringe e con tutta probabilità a Londra sotto la bandiera saudita sfileranno solo atleti uomini. Un’altra occasione persa. Se non ora quando? Dato che ora è già comunque troppo tardi.