È sempre difficile parlare di suicidi. In Italia o altrove. È ancora più difficile quando si tratta di 250.000 persone che si sono tolte la vita dal 1995 ad oggi. Un numero troppo grande per poterlo metabolizzare. Un quarto di milione di persone. Negli ultimi 16 anni ogni trenta minuti un agricoltore indiano si è tolto la vita. Ognuno con una sua storia, una sua vita, un suo dramma e quello dei suoi familiari. Uno ogni mezz’ora.
Un ricercatore cerca spiegazioni, fa analisi, controlla dati, fa ipotesi, verifica se sono false. Un giornalista invece, o un documentarista, vuole raccontare una storia. E a volte le regole della narrazione impongono che ci sia un buono e un cattivo, in modo da far identificare il lettore o lo spettatore nel buono e contro il cattivo. E se nella storia da una parte ci sono poveri contadini suicidi e dall’altra una ricca multinazionale hai vinto facile, a mani basse. Non c’è storia. La forza emotiva è enorme.
Come puoi sperare di intavolare una discussione razionale non emotiva? Da una parte qualche grafico, numeri, frazioni, un’analisi asettica, a tratti anche fastidiosa per come riduce dei drammi umani a semplici percentuali. Dall’altra immagini di donne con il sari blu al funerale del marito morto suicida bevendo del pesticida. Immagini di bambini senza sorriso e campi di cotone sullo sfondo. La storia di un debito non ripagato che ora ricade sulle spalle della famiglia. I bambini che ora lasciano la scuola per sostenere la famiglia lavorando. L’enormità del numero di suicidi non deve far dimenticare che dietro ad ognuno di questi c’è una tragedia individuale. È ovvio chi esca mediaticamente vincente. E non a caso negli ultimi dieci anni sono stati prodotti innumerevoli documentari su questa tragedia.
Ho guardato tutti quelli che sono riuscito a trovare. E li ho visti anche perché volevo capire se la coltivazione del cotone che io e voi in questo momento abbiamo indosso, cotone con buona probabilità OGM, stava causando una tragedia nel momento stesso in cui mi infilo i pantaloni o mi metto la maglietta.
Vi avviso subito che l’argomento è complesso, l’articolo è lungo, e in più mi rendo conto che l’argomento trattato può interessare pochissime persone. Anche per evitare una overdose di dati quindi sarà diviso in più post.
Un dato comune di tutti questi documentari, persistente anche nella narrazione di molte ONG e attivisti, è quello del fallimento massiccio del cotone OGM, che porta come risultato a dei suicidi di massa.
A volte questi documentari sono arricchiti di storie impressionanti, ma sempre senza alcun riscontro. Ad esempio ricorrente è la storia di pecore o altri animali trovati morti nei pressi dei campi di cotone Bt. Nessuno ha mai dimostrato un collegamento tra le due cose però. Ci sono molte cose che possono uccidere una pecora: dei pesticidi, o una malattia o altro, ma da quello che ne sappiamo il cotone Bt non è tra queste essendo la tossina che produce velenosa solo per alcuni insetti ma innocua per i mammiferi, tanto è vero che il batterio che la produce è un insetticida molto utilizzato addirittura in agricoltura biologica.
Un’altra storia ricorrente, falsa, è quella di cui abbiamo già parlato, dei “semi sterili”, raccontata spesso da Vandana Shiva, o addirittura di semi che “rendono sterili” le altre varietà di cotone infettandone in qualche maniera i semi normali e “spazzandoli via” dalla faccia della terra. Una cosa da fantascienza. Vale la pena di ricordare che niente del genere è mai accaduto, e che a oggi non esistono in commercio ogm sterili e men che meno ogm che rendono sterili le altre colture. Questa retorica dell’apocalisse è abbastanza comune in questo tipo di narrazione.
Uno dei primi documentari, girato nel 2003 (nel 2002 il cotone Bt era stato appena approvato) in Warangal, un distretto dello stato dell’Andra Pradesh in India, è: “Why are Warangal Farmers angry with Bt Cotton?” Perché i contadini del Warangal sono arrabbiati con il cotone Bt?
Sulla rete se ne trovano altri, come “il Cotone Bt in Andra Pradesh, una frode che dura da tre anni”, del 2005.
Oppure “I want my father back”. E anche “Bt Cotton in Vidarbha”, prodotto da Gene Campaign, una ONG che si oppone agli OGM, [parte 1, 2, 3 e 4]. Se avete due orette libere vi consiglio di guardarli (scoprirete tra l’altro che la tragedia dei suicidi è precedente all’introduzione del cotone Bt)
Gli ultimi due documentari in ordine di tempo sono “Bitter Seeds”, presentato pochi mesi fa negli USA
&
e l’italiano “Behind the Label”, “Dietro l’etichetta”.
Quando guardiamo un video a quanto pare le nostre “difese critiche” si abbassano e siamo disposti a credere molto più facilmente a quello che vediamo senza porci troppe domande. Come si spiegherebbe altrimenti il successo di trasmissioni come Voyager?! Solo se siamo molto esperti in un certo campo ci rendiamo conto se qualche cosa non torna. Non devo certo ricordare ai lettori l’importanza della televisione e dei mezzi di comunicazione di massa per veicolare dei messaggi, anche politici.
Alla fine lo spettatore esce convinto che questo cotone sia una schifezza. Costa di più di quello non transgenico, produce di meno, non è vero che riduce l’uso di pesticidi, gli agricoltori ci perdono e si indebitano. Insomma, che lo piantano a fare? Infatti alla fine del documentario del 2003 i contadini dicono che del cotone Bt non ne vogliono più sapere.
Nella narrazione delle organizzazioni esplicitamente contrarie alle biotecnologie si usa questo presunto fallimento come argomento contro l’utilizzo di qualsiasi OGM, sempre causa di disastri, povertà, morte e distruzione.
In realtà sullo sfondo c’è ben altro che non la semplice opposizione verso l’inserzione di un gene. C’è una differente visione dell’agricoltura, una preoccupazione (a volte anche odio) per il potere delle multinazionali, una opposizione alla globalizzazione, alla apertura dei mercati, una differente sopportazione psicologica rispetto a rischi potenziali e alle nuove tecnologie, un rifiuto dei brevetti e in generale dei diritti di proprietà intellettuale e così via. Tutte posizioni personali accettabili e rispettabili. Ma opinioni.
Chiedersi invece se il cotone Bt sia stato davvero un disastro in India (come sostengono Vandana Shiva, molti oppositori e i vari documentari) o un miracolo (come sostengono le industrie sementiere e il governo Indiano) non è una semplice opinione. È una cosa in linea di principio perfettamente misurabile. Con dei numeri. In inglese si dice “You are entitled to your own opinion, but not to your own facts”. Che potremmo tradurre con “hai diritto di avere le tue opinioni personali, ma non alla tua versione dei fatti”. I fatti sono fatti. Uguali per tutti.
La situazione precedente
Nel 2001, appena prima l’introduzione del cotone Bt in India, la situazione era la seguente [1]: l’India aveva la più grande estensione coltivata a cotone al mondo, ma era solo il terzo produttore mondiale dopo la Cina e gli USA. La Cina aveva circa la metà dell’area coltivata a cotone dell’India ma aveva una produttività molto maggiore: 671 kg per ettaro contro i 266 kg dell’India. L’India addirittura importava cotone perché non ne produceva a sufficienza per le proprie esigenze. Le cause della bassa produttività erano varie: dalla bassa percentuale di terre irrigate (35%) alla scarsa disponibilità di semi ibridi di qualità, al contrario della Cina. Il 30% dei contadini indiani seminava ancora il tradizionale cotone Desi non ibrido, i cui semi si potevano autoprodurre, poco costoso ma di basse rese e spesso di scarsa qualità.
Il cotone in India copriva solo il 5% di tutta la terra coltivata, ma consumava il 45% dei pesticidi e il 58% di tutti gli insetticidi. Di questi il 60% era usato per controllare il verme del cotone o American bollworm (Helicoverpa armigera). L’uso indiscriminato e l’abuso negli anni di insetticidi da parte degli agricoltori ha selezionato molti insetti resistenti, tanto che gli agricoltori per combatterli utilizzavano i cosiddetti “cocktail di pesticidi”, una miscela di vari insetticidi da spruzzare anche 30 volte per stagione.
Dopo l’introduzione
Cominciamo ad esaminare il primo argomento, quello da cui discendono tutti gli altri. È vero o meno che il cotone Bt è stato un fallimento? Che non ha mantenuto le promesse? Esaminiamo le rese medie.
Le rese per ettaro del cotone indiano sono disponibili ad esempio sul sito del Ministero del Tessile indiano o su altri siti che compilano statistiche. A parte qualche piccola differenza l’andamento generale delle rese lo vedete nel grafico che mostra le rese in kg per ettaro (kg/ha) al variare nel tempo.

Clicca qui per ingrandire la tabella
Notate un aumento repentino delle rese a partire dal 2002, l’anno in cui è stato introdotto il cotone Bt in India. L’India da paese importatore di cotone è diventata un paese esportatore, ed è passata al secondo posto mondiale dei paesi produttori. La situazione generale è chiara, nel giro di pochi anni l’India ha aumentato notevolmente la propria produzione di cotone e la produttività per ettaro. Nel 2001-2002 l’india produceva 15.8 milioni di balle di cotone, nel 2005-2006 ne produceva 24.4 milioni. Le rese medie per ettaro sono cresciute da circa 300 kg/ha nel 2002-2003 al record di 554 kg/ha nel 2007-2008 per poi fluttuare attorno a 500 negli ultimi anni. Per confronto nel 1982 la produzione era di 200 kg/ha e ci sono voluti 15 anni per arrivare a 300 kg/ha.
Guardiamo ora la percentuale di agricoltori (in verde nel grafico) che nel corso degli anni ha deciso di seminare il cotone Bt:

Clicca qui per ingrandire la tabella
Se nel 2002 i coltivatori di cotone Bt erano 50.000, nel 2011 sono stati sette milioni, circa il 90%. Quasi tutti insomma hanno deciso di seminare cotone Bt. Se avete visto qualcuno dei video che vi ho segnalato vi sarete accorti che spesso finiscono con dei contadini che giurano di non voler più seminare il cotone Bt. Per loro è bastata una singola cattiva esperienza e non ho motivo per dubitare che sia davvero stata una cattiva esperienza. Come si concilia questo con le cifre che ho mostrato?
Un vecchio adagio dice che è possibile ingannare tante persone per poco tempo, o poche persone per tanto tempo, ma è impossibile ingannare tante persone per tanto tempo. Come è possibile quindi che dal 2002 ad oggi il numero di contadini che piantano semi Bt sia aumentato costantemente?
Uno dei motivi è sicuramente l’aumento medio delle rese. L’aggettivo “medio” è quanto mai importante perché vedremo che ci sono state, specialmente nei primi anni, delle variazioni notevoli e anche dei fallimenti locali.
La promessa riduzione dei pesticidi? Anche quella si è verificata, e ne abbiamo parlato tempo fa. Non solo ha portato (anche qui nella “media”) ad una diminuzione dei costi che gli agricoltori devono sostenere, ma oltre ad un miglioramento della situazione ambientale vi sono stati anche benefici alla salute, con meno avvelenamenti da pesticidi.
I semi costano di più ma (sempre in media) gli agricoltori hanno avuto un guadagno netto, come dimostrato ormai da molte decine di studi diversi (qui potete trovare una tabella riassuntiva).
Per quei quattro gatti che ancora mi stanno seguendo e che vogliono leggersi direttamente che cosa dicono i vari studi (che badate bene non sono tutti positivi. Come ho detto la situazione media è chiara ma ci sono state variazioni anche ampie) posso consigliare queste due rassegne Measuring the Economic Impacts of Transgenic Crops in Developing Agricolture during the First Decade e questo del centro ricerche della Commissione Europea Economic Impact of Dominant GM Crops Worldwide: A Review.
Insomma, le rese sono aumentate, la produzione pure, i pesticidi diminuiti, il reddito dei contadini aumentato.
A questo punto però qualcosa non torna. E i suicidi? Purtroppo sono una tragica realtà. Solo che forse la spiegazione avanzata dagli attivisti non è così semplice. Se il cotone funziona perché dovrebbero suicidarsi? E se non funziona come mai lo coltivano nel 90% dei casi? Ci sono poi altre cose che non tornano. Come nota giustamente anche un agricoltore nel documentario “I Want My Father Back” (al minuto 28), se il gene inserito fornisce solo la resistenza ad alcuni parassiti, cosa c’entra con le rese? Perché dovrebbero aumentare così tanto? Può la semplice protezione dai parassiti spiegare un aumento così elevato delle rese?
E quei documentari? A parte le fesserie dei semi che rendono sterili altri semi, non ho dubbi che le persone intervistate abbiano raccontato storie vere. Tante storie singole. Come riconciliare quelle storie con i dati che vi ho mostrato? E per carità, mica sono il primo a raccontarli. È una cosa ben nota nella letteratura scientifica, ma nessuno ci gira un documentario.
Ci si deve allora chiedere quanto rappresentative siano quelle storie. Quanto riflettano una realtà molto complessa e variegata. Uno guarda questi documentari e automaticamente, e inconsciamente, trasferisce l’immagine che ne riceve alla totalità degli agricoltori. Quello nel documentario diventa il “tipico” coltivatore di cotone. Ed è questo solitamente l’intento di chi produce questi documentari: raccontare una storia e suggerire che sia rappresentativa della realtà. Di fronte a grandi numeri però non si può fare a meno di usare la statistica, guida preziosa per non perdere di vista la visione globale. Ed è sempre utile ricordare cosa diceva Trilussa a proposito della statistica.
LA STATISTICA
Sai ched’è la statistica? E’ ‘na cosa
che serve pe’ fa’ un conto in generale
de la gente che nasce, che sta male,
che more, che va in carcere e che sposa.
Ma pe’ me la statistica curiosa
è dove c’entra la percentuale,
pe’ via che, lì, la media è sempre eguale
puro co’ la persona bisognosa.
Me spiego, da li conti che se fanno
seconno le statistiche d’adesso
risurta che te tocca un pollo all’anno:
e, se nun entra ne le spese tue,
t’entra ne la statistica lo stesso
perchè c’è un antro che se ne magna due.
Siamo in cento e ognuno mediamente mangia un pollo a testa. Io non ne mangio neanche uno, e questo significa che un altro “se ne magna due”. Ecco, io credo che spesso si racconti la storia di chi non mangia il pollo suggerendo implicitamente che sia la situazione generale. È doveroso non dimenticarsi di chi il pollo non lo mangia, e attirare l’attenzione sulla sua situazione. Ma non è intellettualmente onesto cercare di suggerire l’idea che anche gli altri 99 non mangiano il pollo.
La prossima volta parleremo direttamente dei suicidi mostrando qualche dato e mettendo in luce qualche incongruenza.
Bibliografia
[1] Technological developments and cotton production in India and China
CURRENT SCIENCE,VOL. 80, NO. 8,25 APRIL 2001
[2] Every Thirty Minutes. Farmers suicides, human rights and the agrarian crisis in India.
[3] Peer-reviewed surveys indicate positive impact of commercialized GM crops
Nature Biotechnology volume 28 number 4 APRIL 2010
[4] Measuring the Economic Impacts of Transgenic Crops in Developing Agricolture during the First Decade 2009, International Food Policy Research Institute (IFPRI)
[5] Economic Impact of Dominant GM Crops Worldwide: A Review. EU Commission Joint research Centre
Dichiarazione di conflitto di interessi:
Sono un ricercatore pubblico, non sono pagato da nessuna multinazionale e non mi occupo di biotecnologie nel mio settore di ricerca, per cui non ho alcun conflitto di interessi. Moltissima ricerca in questo campo è svolta da scienziati pubblici, anche in Italia. Con questi articoli cerco di spiegare che la tecnica del trasferimento da una specie all’altra di geni che interessano non è “buona” o “cattiva”. È semplicemente uno strumento, ed è stupido privarsene.
Dario Bressanini
Docente di Scienze chimiche e ambientali
Ambiente & Veleni - 28 Maggio 2012
Trilussa, il cotone Ogm e i suicidi di massa (Parte I)
È sempre difficile parlare di suicidi. In Italia o altrove. È ancora più difficile quando si tratta di 250.000 persone che si sono tolte la vita dal 1995 ad oggi. Un numero troppo grande per poterlo metabolizzare. Un quarto di milione di persone. Negli ultimi 16 anni ogni trenta minuti un agricoltore indiano si è tolto la vita. Ognuno con una sua storia, una sua vita, un suo dramma e quello dei suoi familiari. Uno ogni mezz’ora.
Un ricercatore cerca spiegazioni, fa analisi, controlla dati, fa ipotesi, verifica se sono false. Un giornalista invece, o un documentarista, vuole raccontare una storia. E a volte le regole della narrazione impongono che ci sia un buono e un cattivo, in modo da far identificare il lettore o lo spettatore nel buono e contro il cattivo. E se nella storia da una parte ci sono poveri contadini suicidi e dall’altra una ricca multinazionale hai vinto facile, a mani basse. Non c’è storia. La forza emotiva è enorme.
Come puoi sperare di intavolare una discussione razionale non emotiva? Da una parte qualche grafico, numeri, frazioni, un’analisi asettica, a tratti anche fastidiosa per come riduce dei drammi umani a semplici percentuali. Dall’altra immagini di donne con il sari blu al funerale del marito morto suicida bevendo del pesticida. Immagini di bambini senza sorriso e campi di cotone sullo sfondo. La storia di un debito non ripagato che ora ricade sulle spalle della famiglia. I bambini che ora lasciano la scuola per sostenere la famiglia lavorando. L’enormità del numero di suicidi non deve far dimenticare che dietro ad ognuno di questi c’è una tragedia individuale. È ovvio chi esca mediaticamente vincente. E non a caso negli ultimi dieci anni sono stati prodotti innumerevoli documentari su questa tragedia.
Ho guardato tutti quelli che sono riuscito a trovare. E li ho visti anche perché volevo capire se la coltivazione del cotone che io e voi in questo momento abbiamo indosso, cotone con buona probabilità OGM, stava causando una tragedia nel momento stesso in cui mi infilo i pantaloni o mi metto la maglietta.
Vi avviso subito che l’argomento è complesso, l’articolo è lungo, e in più mi rendo conto che l’argomento trattato può interessare pochissime persone. Anche per evitare una overdose di dati quindi sarà diviso in più post.
Un dato comune di tutti questi documentari, persistente anche nella narrazione di molte ONG e attivisti, è quello del fallimento massiccio del cotone OGM, che porta come risultato a dei suicidi di massa.
A volte questi documentari sono arricchiti di storie impressionanti, ma sempre senza alcun riscontro. Ad esempio ricorrente è la storia di pecore o altri animali trovati morti nei pressi dei campi di cotone Bt. Nessuno ha mai dimostrato un collegamento tra le due cose però. Ci sono molte cose che possono uccidere una pecora: dei pesticidi, o una malattia o altro, ma da quello che ne sappiamo il cotone Bt non è tra queste essendo la tossina che produce velenosa solo per alcuni insetti ma innocua per i mammiferi, tanto è vero che il batterio che la produce è un insetticida molto utilizzato addirittura in agricoltura biologica.
Un’altra storia ricorrente, falsa, è quella di cui abbiamo già parlato, dei “semi sterili”, raccontata spesso da Vandana Shiva, o addirittura di semi che “rendono sterili” le altre varietà di cotone infettandone in qualche maniera i semi normali e “spazzandoli via” dalla faccia della terra. Una cosa da fantascienza. Vale la pena di ricordare che niente del genere è mai accaduto, e che a oggi non esistono in commercio ogm sterili e men che meno ogm che rendono sterili le altre colture. Questa retorica dell’apocalisse è abbastanza comune in questo tipo di narrazione.
Uno dei primi documentari, girato nel 2003 (nel 2002 il cotone Bt era stato appena approvato) in Warangal, un distretto dello stato dell’Andra Pradesh in India, è: “Why are Warangal Farmers angry with Bt Cotton?” Perché i contadini del Warangal sono arrabbiati con il cotone Bt?
Sulla rete se ne trovano altri, come “il Cotone Bt in Andra Pradesh, una frode che dura da tre anni”, del 2005.
Oppure “I want my father back”. E anche “Bt Cotton in Vidarbha”, prodotto da Gene Campaign, una ONG che si oppone agli OGM, [parte 1, 2, 3 e 4]. Se avete due orette libere vi consiglio di guardarli (scoprirete tra l’altro che la tragedia dei suicidi è precedente all’introduzione del cotone Bt)
Gli ultimi due documentari in ordine di tempo sono “Bitter Seeds”, presentato pochi mesi fa negli USA
&
e l’italiano “Behind the Label”, “Dietro l’etichetta”.
Quando guardiamo un video a quanto pare le nostre “difese critiche” si abbassano e siamo disposti a credere molto più facilmente a quello che vediamo senza porci troppe domande. Come si spiegherebbe altrimenti il successo di trasmissioni come Voyager?! Solo se siamo molto esperti in un certo campo ci rendiamo conto se qualche cosa non torna. Non devo certo ricordare ai lettori l’importanza della televisione e dei mezzi di comunicazione di massa per veicolare dei messaggi, anche politici.
Alla fine lo spettatore esce convinto che questo cotone sia una schifezza. Costa di più di quello non transgenico, produce di meno, non è vero che riduce l’uso di pesticidi, gli agricoltori ci perdono e si indebitano. Insomma, che lo piantano a fare? Infatti alla fine del documentario del 2003 i contadini dicono che del cotone Bt non ne vogliono più sapere.
Nella narrazione delle organizzazioni esplicitamente contrarie alle biotecnologie si usa questo presunto fallimento come argomento contro l’utilizzo di qualsiasi OGM, sempre causa di disastri, povertà, morte e distruzione.
In realtà sullo sfondo c’è ben altro che non la semplice opposizione verso l’inserzione di un gene. C’è una differente visione dell’agricoltura, una preoccupazione (a volte anche odio) per il potere delle multinazionali, una opposizione alla globalizzazione, alla apertura dei mercati, una differente sopportazione psicologica rispetto a rischi potenziali e alle nuove tecnologie, un rifiuto dei brevetti e in generale dei diritti di proprietà intellettuale e così via. Tutte posizioni personali accettabili e rispettabili. Ma opinioni.
Chiedersi invece se il cotone Bt sia stato davvero un disastro in India (come sostengono Vandana Shiva, molti oppositori e i vari documentari) o un miracolo (come sostengono le industrie sementiere e il governo Indiano) non è una semplice opinione. È una cosa in linea di principio perfettamente misurabile. Con dei numeri. In inglese si dice “You are entitled to your own opinion, but not to your own facts”. Che potremmo tradurre con “hai diritto di avere le tue opinioni personali, ma non alla tua versione dei fatti”. I fatti sono fatti. Uguali per tutti.
La situazione precedente
Nel 2001, appena prima l’introduzione del cotone Bt in India, la situazione era la seguente [1]: l’India aveva la più grande estensione coltivata a cotone al mondo, ma era solo il terzo produttore mondiale dopo la Cina e gli USA. La Cina aveva circa la metà dell’area coltivata a cotone dell’India ma aveva una produttività molto maggiore: 671 kg per ettaro contro i 266 kg dell’India. L’India addirittura importava cotone perché non ne produceva a sufficienza per le proprie esigenze. Le cause della bassa produttività erano varie: dalla bassa percentuale di terre irrigate (35%) alla scarsa disponibilità di semi ibridi di qualità, al contrario della Cina. Il 30% dei contadini indiani seminava ancora il tradizionale cotone Desi non ibrido, i cui semi si potevano autoprodurre, poco costoso ma di basse rese e spesso di scarsa qualità.
Il cotone in India copriva solo il 5% di tutta la terra coltivata, ma consumava il 45% dei pesticidi e il 58% di tutti gli insetticidi. Di questi il 60% era usato per controllare il verme del cotone o American bollworm (Helicoverpa armigera). L’uso indiscriminato e l’abuso negli anni di insetticidi da parte degli agricoltori ha selezionato molti insetti resistenti, tanto che gli agricoltori per combatterli utilizzavano i cosiddetti “cocktail di pesticidi”, una miscela di vari insetticidi da spruzzare anche 30 volte per stagione.
Dopo l’introduzione
Cominciamo ad esaminare il primo argomento, quello da cui discendono tutti gli altri. È vero o meno che il cotone Bt è stato un fallimento? Che non ha mantenuto le promesse? Esaminiamo le rese medie.
Le rese per ettaro del cotone indiano sono disponibili ad esempio sul sito del Ministero del Tessile indiano o su altri siti che compilano statistiche. A parte qualche piccola differenza l’andamento generale delle rese lo vedete nel grafico che mostra le rese in kg per ettaro (kg/ha) al variare nel tempo.
Clicca qui per ingrandire la tabella
Notate un aumento repentino delle rese a partire dal 2002, l’anno in cui è stato introdotto il cotone Bt in India. L’India da paese importatore di cotone è diventata un paese esportatore, ed è passata al secondo posto mondiale dei paesi produttori. La situazione generale è chiara, nel giro di pochi anni l’India ha aumentato notevolmente la propria produzione di cotone e la produttività per ettaro. Nel 2001-2002 l’india produceva 15.8 milioni di balle di cotone, nel 2005-2006 ne produceva 24.4 milioni. Le rese medie per ettaro sono cresciute da circa 300 kg/ha nel 2002-2003 al record di 554 kg/ha nel 2007-2008 per poi fluttuare attorno a 500 negli ultimi anni. Per confronto nel 1982 la produzione era di 200 kg/ha e ci sono voluti 15 anni per arrivare a 300 kg/ha.
Guardiamo ora la percentuale di agricoltori (in verde nel grafico) che nel corso degli anni ha deciso di seminare il cotone Bt:
Clicca qui per ingrandire la tabella
Se nel 2002 i coltivatori di cotone Bt erano 50.000, nel 2011 sono stati sette milioni, circa il 90%. Quasi tutti insomma hanno deciso di seminare cotone Bt. Se avete visto qualcuno dei video che vi ho segnalato vi sarete accorti che spesso finiscono con dei contadini che giurano di non voler più seminare il cotone Bt. Per loro è bastata una singola cattiva esperienza e non ho motivo per dubitare che sia davvero stata una cattiva esperienza. Come si concilia questo con le cifre che ho mostrato?
Un vecchio adagio dice che è possibile ingannare tante persone per poco tempo, o poche persone per tanto tempo, ma è impossibile ingannare tante persone per tanto tempo. Come è possibile quindi che dal 2002 ad oggi il numero di contadini che piantano semi Bt sia aumentato costantemente?
Uno dei motivi è sicuramente l’aumento medio delle rese. L’aggettivo “medio” è quanto mai importante perché vedremo che ci sono state, specialmente nei primi anni, delle variazioni notevoli e anche dei fallimenti locali.
La promessa riduzione dei pesticidi? Anche quella si è verificata, e ne abbiamo parlato tempo fa. Non solo ha portato (anche qui nella “media”) ad una diminuzione dei costi che gli agricoltori devono sostenere, ma oltre ad un miglioramento della situazione ambientale vi sono stati anche benefici alla salute, con meno avvelenamenti da pesticidi.
I semi costano di più ma (sempre in media) gli agricoltori hanno avuto un guadagno netto, come dimostrato ormai da molte decine di studi diversi (qui potete trovare una tabella riassuntiva).
Per quei quattro gatti che ancora mi stanno seguendo e che vogliono leggersi direttamente che cosa dicono i vari studi (che badate bene non sono tutti positivi. Come ho detto la situazione media è chiara ma ci sono state variazioni anche ampie) posso consigliare queste due rassegne Measuring the Economic Impacts of Transgenic Crops in Developing Agricolture during the First Decade e questo del centro ricerche della Commissione Europea Economic Impact of Dominant GM Crops Worldwide: A Review.
Insomma, le rese sono aumentate, la produzione pure, i pesticidi diminuiti, il reddito dei contadini aumentato.
A questo punto però qualcosa non torna. E i suicidi? Purtroppo sono una tragica realtà. Solo che forse la spiegazione avanzata dagli attivisti non è così semplice. Se il cotone funziona perché dovrebbero suicidarsi? E se non funziona come mai lo coltivano nel 90% dei casi? Ci sono poi altre cose che non tornano. Come nota giustamente anche un agricoltore nel documentario “I Want My Father Back” (al minuto 28), se il gene inserito fornisce solo la resistenza ad alcuni parassiti, cosa c’entra con le rese? Perché dovrebbero aumentare così tanto? Può la semplice protezione dai parassiti spiegare un aumento così elevato delle rese?
E quei documentari? A parte le fesserie dei semi che rendono sterili altri semi, non ho dubbi che le persone intervistate abbiano raccontato storie vere. Tante storie singole. Come riconciliare quelle storie con i dati che vi ho mostrato? E per carità, mica sono il primo a raccontarli. È una cosa ben nota nella letteratura scientifica, ma nessuno ci gira un documentario.
Ci si deve allora chiedere quanto rappresentative siano quelle storie. Quanto riflettano una realtà molto complessa e variegata. Uno guarda questi documentari e automaticamente, e inconsciamente, trasferisce l’immagine che ne riceve alla totalità degli agricoltori. Quello nel documentario diventa il “tipico” coltivatore di cotone. Ed è questo solitamente l’intento di chi produce questi documentari: raccontare una storia e suggerire che sia rappresentativa della realtà. Di fronte a grandi numeri però non si può fare a meno di usare la statistica, guida preziosa per non perdere di vista la visione globale. Ed è sempre utile ricordare cosa diceva Trilussa a proposito della statistica.
LA STATISTICA
Sai ched’è la statistica? E’ ‘na cosa
che serve pe’ fa’ un conto in generale
de la gente che nasce, che sta male,
che more, che va in carcere e che sposa.
Ma pe’ me la statistica curiosa
è dove c’entra la percentuale,
pe’ via che, lì, la media è sempre eguale
puro co’ la persona bisognosa.
Me spiego, da li conti che se fanno
seconno le statistiche d’adesso
risurta che te tocca un pollo all’anno:
e, se nun entra ne le spese tue,
t’entra ne la statistica lo stesso
perchè c’è un antro che se ne magna due.
Siamo in cento e ognuno mediamente mangia un pollo a testa. Io non ne mangio neanche uno, e questo significa che un altro “se ne magna due”. Ecco, io credo che spesso si racconti la storia di chi non mangia il pollo suggerendo implicitamente che sia la situazione generale. È doveroso non dimenticarsi di chi il pollo non lo mangia, e attirare l’attenzione sulla sua situazione. Ma non è intellettualmente onesto cercare di suggerire l’idea che anche gli altri 99 non mangiano il pollo.
La prossima volta parleremo direttamente dei suicidi mostrando qualche dato e mettendo in luce qualche incongruenza.
Bibliografia
[1] Technological developments and cotton production in India and China
CURRENT SCIENCE,VOL. 80, NO. 8,25 APRIL 2001
[2] Every Thirty Minutes. Farmers suicides, human rights and the agrarian crisis in India.
[3] Peer-reviewed surveys indicate positive impact of commercialized GM crops
Nature Biotechnology volume 28 number 4 APRIL 2010
[4] Measuring the Economic Impacts of Transgenic Crops in Developing Agricolture during the First Decade 2009, International Food Policy Research Institute (IFPRI)
[5] Economic Impact of Dominant GM Crops Worldwide: A Review. EU Commission Joint research Centre
Dichiarazione di conflitto di interessi:
Sono un ricercatore pubblico, non sono pagato da nessuna multinazionale e non mi occupo di biotecnologie nel mio settore di ricerca, per cui non ho alcun conflitto di interessi. Moltissima ricerca in questo campo è svolta da scienziati pubblici, anche in Italia. Con questi articoli cerco di spiegare che la tecnica del trasferimento da una specie all’altra di geni che interessano non è “buona” o “cattiva”. È semplicemente uno strumento, ed è stupido privarsene.
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Nuovo scandalo corruzione in Ue: in manette lobbisti di Huawei accusati di aver corrotto parlamentari. Arrestato ex assistente di due eurodeputati italiani
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Tremano i Campi Flegrei: nella notte scossa di 4.4. Oggi scuole chiuse. Tensioni all’ex base Nato di Bagnoli: i residenti sfondano i cancelli
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Russia-Ucraina, la diretta | Mosca presenta le richieste per la pace: “Riconoscere le regioni occupate”
Roma,13 mar. (Adnkronos) - Il Commissario Straordinario dell'AdSP Mtcs Pino Musolino ha partecipato al panel organizzato nell'ambito della fiera Letexpo di Alis a Verona sulle tematiche della logistica, dei trasporti e della sostenibilità, dove questa mattina sono intervenuti anche il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Matteo Salvini e il viceministro con delega ai porti Edoardo Rixi.
"Partecipare ad un evento come quello organizzato da Alis e da Guido Grimaldi - ha sottolineato il Commissario Musolino- che è diventato un punto di riferimento della logistica e della sostenibilità in Italia e non solo, per parlare di tematiche della portualità e di un settore così strategico per il nostro paese è sempre molto stimolante".
"Bisogna ragionare- ha concluso Pino Musolino - sui cambiamenti che oggi lo shipping sta affrontando per essere pronti a cogliere le opportunità che il settore marittimo ci sta offrendo, soprattutto nella transizione ecologica e nelle nuove tecnologie, per essere competitivi non solo nei nostri scali italiani ma anche nei porti europei e mondiali".
(Adnkronos) - Acer for Education conferma la sua partecipazione a Fiera Didacta 2025, l'evento di riferimento per l'innovazione nel settore scolastico, che si terrà dal 12 al 14 marzo presso la Fortezza da Basso a Firenze. In questa occasione, Acer presenterà le sue più recenti soluzioni tecnologiche progettate per trasformare la didattica e preparare gli studenti alle professioni del futuro.
“La scuola è al centro di un’importante rivoluzione digitale e richiede tecnologie sempre più all'avanguardia per supportare la didattica. Acer, leader del settore, si impegna costantemente per offrire soluzioni innovative, in grado di soddisfare le esigenze di entrambi docenti e studenti,” afferma Alessandro Barbesta, Head of Sales Commercial & Education, Acer Italia. "Crediamo infatti che la tecnologia sia un alleato indispensabile per l’innovazione didattica e possa supportare appieno i docenti nel creare esperienze di apprendimento coinvolgenti e idonee a preparare gli studenti alle professioni del futuro”.
Durante i tre giorni dell'evento, Acer offrirà agli operatori del mondo scolastico un ricco programma di workshop. Questi incontri, tenuti da esperti del settore, mostreranno in modo pratico e interattivo come le tecnologie digitali possano affiancare efficacemente le modalità didattiche tradizionali. L'obiettivo è fornire al personale scolastico gli strumenti necessari per integrare le nuove tecnologie nei processi educativi, migliorando l'esperienza di apprendimento degli studenti.
Acer collaborerà con partner come Google for Education e Microsoft Education per presentare soluzioni integrate che facilitino l'apprendimento collaborativo e l'accesso alle risorse educative digitali. Saranno inoltre presentati dispositivi progettati per l'ambiente scolastico, caratterizzati da durabilità, sicurezza e facilità d'uso, per supportare al meglio le esigenze delle istituzioni educative.
Antonella Arpa, aka Himorta, nota creator a livello internazionale e con un passato da insegnante, mostrerà in modo pratico come la gamification possa rendere le lezioni più interattive e il videogioco diventare un prezioso strumento per apprendere competenze trasversali, come il team-working e il problem-solving. Verrà analizzata anche l’importanza cruciale delle materie STEM nel mondo di oggi, con un'attenzione particolare allo studio computazionale e alle sue applicazioni pratiche.
Le “Maestre a Cubetti”, spiegheranno come integrare la tecnologia in classe per un apprendimento dinamico e innovativo. Con il supporto dei dispositivi Acer Chromebook Plus e del gioco Minecraft, le insegnanti mostreranno come potenziare la didattica per competenze attraverso il game-based learning, migliorando l’esperienza di apprendimento e guidando i ragazzi nella realizzazione fattiva di progetti concreti.
Fabio De Nunzio, Presidente dell’Associazione Bullismo No Grazie, e Maurizio Siracusa, Ethical Hacker e componente del Direttivo di Bullismo No Grazie, offriranno un’analisi delle implicazioni psicologiche e sociali del fenomeno del bullismo, fornendo indicazioni concrete e strategie efficaci per promuovere un ambiente scolastico più sicuro e inclusivo. Un focus particolare sarà dedicato all'educazione dei ragazzi ad un uso consapevole e sicuro della tecnologia e al coinvolgimento di genitori e docenti in una rete di prevenzione attiva.
Francesco Bocci, psicoterapeuta e fondatore di Video Game Therapy, Marcello Sarini, ricercatore di Informatica al Dipartimento di Psicologia dell'Università Bicocca di Milano, e Elena Del Fante, psicologa digitale e del gaming, assegnista di Ricerca Milano-Bicocca e Founder di Play Better, analizzeranno come il videogioco, oltre ad essere uno strumento di apprendimento, rappresenti anche una grande opportunità per innovare la didattica. Il gioco di gruppo offre, infatti, un grande potenziale per stimolare le soft skill, come il problem solving, che sono fondamentali per il successo degli studenti.
Lo stand Acer sarà al Padiglione Spadolini, piano inferiore, K44.
Roma, 13 mar. (Adnkronos/Labitalia) - Il ciclo 'Career connections' di UniMarconi ha visto ieri un appuntamento dedicato a esplorare le opportunità e le strategie professionali di una realtà d’eccellenza: Kpmg. Career connections, organizzato da UniMarconi in collaborazione con aziende leader, è un programma che propone eventi bimestrali dedicati alle tendenze del mercato, alla formazione su competenze specifiche e al networking professionale.
L'evento ha appunto visto come protagonista Kpmg, leader mondiale nella consulenza e nell’analisi forense, per vedere come stia rivoluzionando il modo di affrontare le sfide del mercato del lavoro. Hanno partecipato Tommaso Saso, direttore marketing e relazioni esterne UniMarconi, Daniele Ianniello, associate partner Kpmg forensic services, e Leonardo Primangeli, studente di economia UniMarconi.
"Con il progetto 'Career connections' - ha spiegato Tommaso Saso, direttore marketing e relazioni esterne UniMarconi - l'Università Guglielmo Marconi crea un ponte strategico tra il mondo accademico e il mondo professionale. Una delle missioni della nostra università è dare agli studenti una solida conoscenza tecnica ma anche creare la possibilità di una visione strategica e relazionale".
"Il nostro obiettivo - ha sottolineato Daniele Ianniello, associate partner Kpmg forensic services- è presentare agli studenti i servizi di Kpmg, in particolare il settore del Forensic, una boutique che si occupa di prevenire, identificare e rispondere ai rischi di frode".
"Questi incontri - ha commentato lo studente Leonardo Primangeli, studente di economia UniMarconi - sono fondamentali per lo studente, sono una grande opportunità, perché permettono di entrare in contatto con esperti di una delle big four nel campo della consulenza, un'esperienza che molti di noi considerano un traguardo".
Roma, 12 mar. (Adnkronos) - Aspettare, ponderare. Giorgia Meloni non avrebbe ancora deciso se partecipare o meno alla video-call dei 'volenterosi', convocata per sabato dal Regno Unito. Il primo ministro britannico Keir Starmer ha chiamato di nuovo a raccolta i leader di quei Paesi pronti a fornire il loro supporto per assicurare la pace in Ucraina, dopo un possibile accordo di tregua con la Russia. Ma la partecipazione dell'Italia all'incontro da remoto, si apprende da fonti di governo, non è ancora confermata e la presidente del Consiglio starebbe riflettendo sul da farsi.
Il problema di fondo, viene spiegato, è essenzialmente uno: il governo italiano è fortemente contrario all'invio di truppe al fronte in Ucraina; dunque, se la riunione di Londra rientra nell'ambito di un invio di uomini, "noi non partecipiamo", il refrain che arriva da Palazzo Chigi. Diverso è invece il discorso per quanto riguarda la riunione dei Capi di Stato maggiore europei svoltasi martedì a Parigi con il presidente francese Emmanuel Macron: "In quel caso non eravamo parte del gruppo dei cosiddetti 'volenterosi', siamo andati lì come osservatori". Le diplomazie restano comunque in contatto.
Meloni è al lavoro sul discorso che dovrà pronunciare alle Camere la prossima settimana prima del Consiglio europeo del 20-21 marzo: un passaggio impegnativo, sul quale i partiti della maggioranza sono chiamati a compattarsi dopo aver votato in maniera difforme a Strasburgo. Gli europarlamentari di Fratelli d'Italia hanno dato il loro sì alla risoluzione sul Libro bianco sulla difesa, che sollecita i 27 Paesi dell'Ue ad agire con urgenza per garantire la sicurezza del Continente, accogliendo le conclusioni del Consiglio europeo sul riarmo.
Tuttavia, la delegazione di Fdi si è astenuta sulla risoluzione riguardante l'Ucraina dopo aver richiesto, senza successo, un rinvio del voto. Secondo Nicola Procaccini, co-presidente del gruppo Ecr, il testo non avrebbe tenuto conto dell'accordo raggiunto a Gedda tra Stati Uniti e Ucraina per un possibile cessate il fuoco, rischiando così di "scatenare l'odio verso Donald Trump e gli Usa, anziché aiutare l'Ucraina".
Il nostro "non è stato un doppio voto", dice all'Adnkronos un membro dell'esecutivo in quota Fratelli d'Italia: "La posizione è chiara: se approvi un testo troppo anti-Usa, come fai poi a farti mediatore con gli Usa?". Sulla stessa risoluzione per l'Ucraina, la Lega ha votato contro mentre Forza Italia si è espressa a favore.
Anche da Palazzo Chigi sottolineano come il testo della risoluzione sull'Ucraina fosse troppo sbilanciato 'contro' gli Stati Uniti: Fratelli d'Italia a Strasburgo - il ragionamento che trapela dai piani alti del governo - ha sempre votato a favore della libertà e della sicurezza dell'Ucraina, ma questa volta il testo della risoluzione "era molto più 'accusatorio' verso l'amministrazione Usa" rispetto ad altre volte. Fratelli d'Italia non avrebbe mai votato contro quella risoluzione: "Ma non potevamo nemmeno votare a favore tout court", spiegano.
Sull'astensione, come confermato poi da Procaccini, ha inciso la notizia arrivata dall'Arabia Saudita ieri sera sulla proposta di un cessate il fuoco di 30 giorni in Ucraina e la ripresa dell'assistenza americana a Kiev: "Non ci stiamo smarcando da nulla, quello di Fratelli d'Italia non era un voto contro l'Ucraina", il concetto che viene ribadito. Il voto a macchia di leopardo del centrodestra, ad ogni modo, non impensierisce Palazzo Chigi: in questo momento - si sottolinea - c'è un problema internazionale ben più ampio e la maggioranza di governo ha dimostrato che nei momenti importanti "è sempre uscita unita e compatta".
Almeno per ora, non sembrerebbe all'orizzonte un vertice con Meloni e gli altri leader della maggioranza, Antonio Tajani e Matteo Salvini (anche se i tre ogni settimana si incontrano per fare il punto della situazione su tutti i dossier). Sempre da palazzo Chigi viene evidenziata la "piena sintonia" tra Meloni e il ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti, che rispondendo alla Camera all'interrogazione del Movimento 5 Stelle sul piano di riarmo approvato oggi dall'Unione europea ha ribadito che i finanziamenti per la difesa non andranno a discapito di sanità e servizi pubblici, rimarcando il suo no a spese per il riarmo che rialzino in modo oneroso il debito pubblico con rischi anche per la stabilità della zona euro. (di Antonio Atte)
Mosca, 13 mar. (Adnkronos) - Ordigni camuffati da profumi, inviati per posta a militari russi impegnati dell'operazione in Ucraina e a dipendenti del governo di Mosca. Pronti a esplodere una volta aperti. Questo il piano che, secondo quanto ha reso noto il Servizio di sicurezza federale russo (Fsb), è stato sventato impedendo una serie di attacchi. Lo ha riferito l'agenzia di stampa Ria Novosti spiegando che ''un agente di Kiev è stato arrestato'' a Pervouralsk.
Secondo l'Fsb, i "servizi speciali ucraini" avevano pianificato di inviare ordigni esplosivi in pacchi per posta. "L'Fsb russo ha impedito una serie di atti di sabotaggio e terroristici pianificati dai servizi speciali ucraini contro i militari del ministero della Difesa russo che partecipano all'operazione militare speciale, nonché contro i dipendenti pubblici che forniscono assistenza alle unità militari nella zona dell'operazione militare speciale", ovvero in Ucraina, si legge nella nota.
Cinque pacchi, contenenti ordigni esplosivi artigianali camuffati da profumi, sono stati trovati all'aeroporto di Chelyabinsk durante l'ispezione dei pacchi postali, prosegue il comunicato dei servizi russi. Gli artificieri dell'Fsb li hanno disinnescati. I dispositivi erano pronti a esplodere una volta aperti, precisa la nota.
Il cittadino ucraino arrestato a Pervouralsk ha inviato questi pacchi al personale militare e funzionari governativi a Mosca, Voronezh, Krasnodar Krai e nell'oblast di Saratov, ha notato l'Fsb. Lo scorso anno, proseguono i servizi russi, il sospettato sarebbe stato incaricato dal suo supervisore di raccogliere informazioni sul personale militare russo a Engels e sui dipendenti delle imprese di difesa a Ekaterinburg. E' stato aperto un procedimento penale nei suoi confronti per ''acquisizione, stoccaggio, trasporto illegali di sostanze e dispositivi esplosivi".
Roma, 13 mar. (Adnkronos/Labitalia) - Possiamo considerare il welfare aziendale come parte integrante della strategia collettiva delle imprese? E in che modo è possibile coniugare sostenibilità, digitalizzazione e welfare? Questi interrogativi saranno al centro della terza edizione del Welfare day 2025, l’evento organizzato da Comunicazione Italiana in collaborazione con Pluxee Italia, azienda leader nei benefit e nel coinvolgimento dei dipendenti, in programma oggi, giovedì 13 marzo, a Roma, presso il Palazzo dell’Informazione.
L’iniziativa rappresenta un'importante occasione di confronto per il mondo corporate, offrendo nuovi insight, dati e ricerche di Pluxee sulle soluzioni di welfare aziendale e il loro impatto sulla produttività e sul benessere dei lavoratori. Durante l’evento verrà commentato il nesso tra benessere, felicità e imprese, scoprendo come oggi non sia possibile scindere i primi due elementi dalla vita professionale e lavorativa. Ciò che favorisce la felicità sul luogo di lavoro si rivela fondamentale sia per l’attrattività delle aziende nel mercato del lavoro si per la retention dei talenti, orientando le scelte strategiche dei responsabili delle risorse umane e non solo.
Questo non può che coniugarsi con il welfare aziendale, il quale oggi ha delle caratteristiche ben precise e si affianca con la sostenibilità sociale. Nel corso dei vari Talk Show, si mostrerà come il welfare debba essere considerato un elemento vitale dell'operatività di un'azienda. Attraverso la partecipazione di esperti del settore e manager aziendali verranno esplorate le ultime tendenze e best practice per integrare il welfare nelle strategie aziendali, favorendo una crescita sostenibile e digitale.
Benefit e iniziative di sostegno al dipendente generano benessere tra la popolazione, contribuendo a rendere sostenibile il lavoro. Diffusi all'interno di tutte le funzioni aziendali, accrescono la felicità e la produttività, generando un ciclo virtuoso che rafforza il coinvolgimento dei dipendenti, migliorando la reputazione aziendale e garantendo una crescita sostenibile nel lungo periodo. Uno degli obiettivi sarà rispondere alla domanda: come si può creare e mantenere un ecosistema aziendale orientato alla soddisfazione delle persone? Lungi dal costituire un semplice accessorio del salario, il pacchetto di benefici che l'azienda mette a disposizione dei lavoratori - prestazioni sanitarie, sostegno alla genitorialità - deve essere sempre più in grado di incontrare le esigenze di questi ultimi.
All’interno del Welfare day 2025, questi argomenti saranno discussi con Anna Maria Mazzini e Tommaso Palermo, rispettivamente country marketing e product director e managing director diPluxee Italia, con il contributo chief hr officer e hr manager di aziende come Atac, Fater, Fendi, Philip Morris International, Procter & Gamble, Tim e molte altre.
Roma, 12 mar. (Adnkronos) - Aspettare, ponderare. Giorgia Meloni non avrebbe ancora deciso se partecipare o meno alla video-call dei 'volenterosi', convocata per sabato dal Regno Unito. Il primo ministro britannico Keir Starmer ha chiamato di nuovo a raccolta i leader di quei Paesi pronti a fornire il loro supporto per assicurare la pace in Ucraina, dopo un possibile accordo di tregua con la Russia. Ma la partecipazione dell'Italia all'incontro da remoto, si apprende da fonti di governo, non è ancora confermata e la presidente del Consiglio starebbe riflettendo sul da farsi.
Il problema di fondo, viene spiegato, è essenzialmente uno: il governo italiano è fortemente contrario all'invio di truppe al fronte in Ucraina; dunque, se la riunione di Londra rientra nell'ambito di un invio di uomini, "noi non partecipiamo", il refrain che arriva da Palazzo Chigi. Diverso è invece il discorso per quanto riguarda la riunione dei Capi di Stato maggiore europei svoltasi martedì a Parigi con il presidente francese Emmanuel Macron: "In quel caso non eravamo parte del gruppo dei cosiddetti 'volenterosi', siamo andati lì come osservatori". Le diplomazie restano comunque in contatto.
Meloni è al lavoro sul discorso che dovrà pronunciare alle Camere la prossima settimana prima del Consiglio europeo del 20-21 marzo: un passaggio impegnativo, sul quale i partiti della maggioranza sono chiamati a compattarsi dopo aver votato in maniera difforme a Strasburgo. Gli europarlamentari di Fratelli d'Italia hanno dato il loro sì alla risoluzione sul Libro bianco sulla difesa, che sollecita i 27 Paesi dell'Ue ad agire con urgenza per garantire la sicurezza del Continente, accogliendo le conclusioni del Consiglio europeo sul riarmo.
Tuttavia, la delegazione di Fdi si è astenuta sulla risoluzione riguardante l'Ucraina dopo aver richiesto, senza successo, un rinvio del voto. Secondo Nicola Procaccini, co-presidente del gruppo Ecr, il testo non avrebbe tenuto conto dell'accordo raggiunto a Gedda tra Stati Uniti e Ucraina per un possibile cessate il fuoco, rischiando così di "scatenare l'odio verso Donald Trump e gli Usa, anziché aiutare l'Ucraina".
Il nostro "non è stato un doppio voto", dice all'Adnkronos un membro dell'esecutivo in quota Fratelli d'Italia: "La posizione è chiara: se approvi un testo troppo anti-Usa, come fai poi a farti mediatore con gli Usa?". Sulla stessa risoluzione per l'Ucraina, la Lega ha votato contro mentre Forza Italia si è espressa a favore.
Anche da Palazzo Chigi sottolineano come il testo della risoluzione sull'Ucraina fosse troppo sbilanciato 'contro' gli Stati Uniti: Fratelli d'Italia a Strasburgo - il ragionamento che trapela dai piani alti del governo - ha sempre votato a favore della libertà e della sicurezza dell'Ucraina, ma questa volta il testo della risoluzione "era molto più 'accusatorio' verso l'amministrazione Usa" rispetto ad altre volte. Fratelli d'Italia non avrebbe mai votato contro quella risoluzione: "Ma non potevamo nemmeno votare a favore tout court", spiegano.
Sull'astensione, come confermato poi da Procaccini, ha inciso la notizia arrivata dall'Arabia Saudita ieri sera sulla proposta di un cessate il fuoco di 30 giorni in Ucraina e la ripresa dell'assistenza americana a Kiev: "Non ci stiamo smarcando da nulla, quello di Fratelli d'Italia non era un voto contro l'Ucraina", il concetto che viene ribadito. Il voto a macchia di leopardo del centrodestra, ad ogni modo, non impensierisce Palazzo Chigi: in questo momento - si sottolinea - c'è un problema internazionale ben più ampio e la maggioranza di governo ha dimostrato che nei momenti importanti "è sempre uscita unita e compatta".
Almeno per ora, non sembrerebbe all'orizzonte un vertice con Meloni e gli altri leader della maggioranza, Antonio Tajani e Matteo Salvini (anche se i tre ogni settimana si incontrano per fare il punto della situazione su tutti i dossier). Sempre da palazzo Chigi viene evidenziata la "piena sintonia" tra Meloni e il ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti, che rispondendo alla Camera all'interrogazione del Movimento 5 Stelle sul piano di riarmo approvato oggi dall'Unione europea ha ribadito che i finanziamenti per la difesa non andranno a discapito di sanità e servizi pubblici, rimarcando il suo no a spese per il riarmo che rialzino in modo oneroso il debito pubblico con rischi anche per la stabilità della zona euro. (di Antonio Atte)