Corpulento, chiacchierone, fiero del suo dongiovannismo, Ponzellini merita un posto nel Pantheon dell’Italia in declino. Nato prodiano, è diventato un simbolo dello spirito del tempo berlusconiano. Al suo attivo alcuni record, tra cui quello di aver insegnato all’Università Bocconi senza essersi mai laureato. Un testimonial dell’Italia dove studiare non serve a niente se sei pieno di amicizie.
Ed eccolo ventottenne, già amministratore delegato nell’azienda del padre, che però non è contento di lui e chiede al giovane professore Romano Prodi di fargli fare qualcosa di utile per sè e magari per il prossimo. Prodi, nominato ministro dell’Industria, se lo porta a Roma come assistente. È il novembre del 1978, Aldo Moro è stato ucciso dalle Br appena sei mesi prima, ma Ponzellini non si fa scrupolo di arrivare sotto il ministero, in via Veneto, sgommando in Ferrari. Segue poi Prodi all’Iri dove fa una certa carriera.
Quando il Professore viene fatto fuori, e sostituito con l’andreottiano Franco Nobili, Ponzellini deve cambiare aria, e si piazza a Londra, nella nascente Bers, la banca europea per la rinascita economica dell’Est Europa. Ponzellini solennizza il momento comprandosi la Bentley, preferibile alla Rolls Royce, spiegherà in seguito, perché te la guidi da solo mentre la Rolls senza autista è improponibile. A Londra il giovane banchiere rileva un certo traffico.
Si sposta poi alla Bei, Banca europea per gli investimenti, dove resta fino al 2003 come vice presidente e amministratore delegato. Come molti cervelli in fuga, Ponzellini prepara il ritorno in Italia. La sua rete di relazioni si infittisce. Nel 2001 è tra gli azionisti della nuova Unità riportata in edicola da Furio Colombo e Antonio Padellaro, e affianca la campagna elettorale di Francesco Rutelli candidato premier. Vince Berlusconi, e allora Ponzellini decide (e dichiara, perché l’uomo è schietto) che quelli come lui, che vogliono bene all’Italia, devono stare vicini a chi vuole il bene del Paese. Per esempio, Silvio Berlusconi. Per esempio Luigi Bisignani. Ma anche e soprattutto il ministro dell’Economia Giulio Tremonti. Che nel 2002 gli affida la neonata Patrimonio Spa, che deve censire e dismettere gli immobili pubblici. Se oggi tra gli obiettivi del governo Monti c’è ancora il miraggio di vendere un po’ di beni demaniali il merito è tutto di Ponzellini che non ha combinato niente. Però il banchiere senza laurea piace a Tremonti, che lo promuove alla guida del Poligrafico dello Stato.
Veloce nei movimenti, sia geografici che politici, Ponzellini comincia a fare acrobazie. Tra una barzelletta, un affare e un complimento alla bellezza di passaggio, diventa nel 2007 anche presidente dell’Impregilo, la più grande società di costruzioni italiana, in crisi nera dopo la gestione Romiti. Si affida a lui il gruppo Gavio, che è in ottimi rapporti con il presidente della provincia di Milano Filippo Penati. Ponzellini finisce indagato per un finanziamento a Faremetropoli, l’associazione di Penati, ma sostiene di non saperne niente.
Da berlusconiano, il ragazzo vuole rimanere anche prodiano, tanto che il Professore si stufa e affida al portavoce Silvio Sircana una feroce lettera al Corriere della Sera: chiede di non scrivere più che il banchiere “è vicino” a Prodi, perché i due sono solo vicini di casa a Bologna, per cui “sarebbe più opportuno parlare di vicinato e non di vicinanza”. Ponzellini però è oltre. Riscopre le origini varesine della famiglia e diventa amico di Umberto Bossi, “persona per bene”. Fa l’accordo con la Cisl di Raffaele Bonanni e i dipendenti della Banca popolare di Milano lo eleggono presidente, nel 2009. Bossi dice che Ponzellini è un suo uomo. Alla domanda se preferisca la compagnia di Bossi o di Prodi, il ragazzaccio dice che è come chiedere se preferisci stare a casa con i genitori o al bar con gli amici. Prodi è il padre palloso, Bossi l’amico scoppiettante. Gusti. Però alla fine dalla Bpm lo cacciano e Ponzellini si trova sotto indagine per la storia che ieri l’ha portato agli arresti domiciliari. Ma ha di che consolarsi. Il presidente Napolitano proprio l’anno scorso l’ha fatto cavaliere del Lavoro. E perché no?
Il Fatto Quotidiano, 30 maggio 2012