Si ricomincia ancora una volta dalla Sicilia, laboratorio delle alleanze possibili in vista delle politiche. Le annunciate dimissioni del Governatore autonomista Raffaele Lombardo, infatti, hanno fatto precipitare i partiti in una competizione elettorale regionale, a ottobre, troppo ravvicinata a quella nazionale per non influenzarla. Il Pdl vorrebbe candidare il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso, per salvare se stesso e il proprio segretario Angelino Alfano, che dopo essere stato sconfitto a Palermo (ma soprattutto ad Agrigento, praticamente casa sua), se mettesse in campo un proprio uomo senza riuscire a vincere, non potrebbe che dimettersi.
Il Pd di Pier Luigi Bersani, invece, sembrerebbe pronto a puntare tutto su un’alleanza che tenga insieme sia Idv e Sel, sia l’Udc che, a Palermo, ha rotto l’ortodossia che la voleva troppo lontana dalle ali estreme, sostenendo Leoluca Orlando. Un’alleanza che sosterrebbe come governatore l’attuale capogruppo al Senato dell’Udc Gianpiero D’Alia, il volto pulito del partito in Sicilia, messinese lontano dalle vicende palermitane e dell’Ars, in virtù del tacito accordo che ai tempi vedeva D’Alia gestire le vicende romane, lasciando a Salvatore Cuffaro e Saverio Romano la gestione delle questioni siciliane. Da allora, però, molta acqua è passata sotto i ponti: Cuffaro sconta la sua pena, Romano milita tra le file del Pdl, e il leader Pier Ferdinando Casini ha da tempo abbandonato Lombardo e affini al proprio destino. E, soprattutto, dopo la batosta elettorale delle amministrative, ha dovuto ridimensionare le proprie aspirazioni e sta decidendo dove e come collocare l’Udc nell’agone politico.
E una poltrona prestigiosa come quella del Governatore siciliano, qualora lo schema di un’alleanza così composta funzionasse, potrebbe sancire un accordo che sul versante romano lancerebbe lo stesso Casini nella corsa per il Colle, insieme con Massimo D’Alema e, in maniera assai minoritaria, Romano Prodi. Vinca il migliore e, soprattutto, chi conta sul voto di più delegati delle Regioni. Certo, una prospettiva del genere lascerebbe ai margini tutti gli ex margheritini (fatto salvo Enrico Letta considerato a tutti gli effetti un bersaniano di ferro) che sognavano un grande centro inclusivo del meglio del Pdl ormai libero da Berlusconi.
Non a caso, proprio in Sicilia, l’area che faceva capo a Beppe Fioroni aveva provato a sfiduciare il segretario regionale Giuseppe Lupo, principale oppositore dell’appoggio esterno dato dal Pd alla Giunta Lombardo. Un inciucio, praticamente, teorizzato dal capogruppo all’Ars Antonello Cracolici e dal senatore Giuseppe Lumia. All’assemblea che doveva ottenere la testa di Lupo per creare un polo di centro, però, Bersani inviò il suo responsabile organizzazione, Nico Stumpo, con un messaggio chiaro: o rientrate nei ranghi o vi mando un commissario che deciderà le alleanze e le candidature. Tra i due mali, i ribelli scelsero il minore, certi del patto di ferro con Lombardo, scioltosi invece come neve al sole quando il governatore è apparso politicamente insolvibile, sotto i colpi delle inchieste giudiziarie. E dunque mollato dai più, come dimostra l’assemblea regionale dell’Ars riunitasi ieri per sfiduciare un Governatore dimissionario, giusto per dare l’opportunità a tutti di prendere le distanze da quello che è evidentemente il grande perdente dell’ultima stagione politica siciliana. Il futuro, però, è tutto da definire. Se Lumia è destinato a non vedere la sua sesta legislatura, Cracolici ha un suo seguito che certamente farà pesare.