Quando Paolo Rossi fu beccato nel primo calcioscommesse (quello del 1980) e si prese 2 anni di squalifica per un paio di puntate da 20 milioni di lire, un cronista gli domandò che cosa l’avesse spinto a rovinarsi per così poco, visto che guadagnava 5 miliardi all’anno. E lui: “Ho un figlio da mantenere”. Da allora ci si domanda chi scrive i testi ai calciatori. Ma anche ai presidenti, che un tempo Giulio Onesti chiamava “ricchi scemi” e non paiono cambiati granché.
Andrea Agnelli ha fatto le scuole alte, è figlio del dottor Umberto, è nato e cresciuto nell’unica real casa rimasta in Italia dopo la caduta della monarchia, una famiglia nota per aver sempre professato il massimo rispetto nelle regole della giustizia, anche quando le violava. Il rampollo vince il primo scudetto della rinascita bianconera, dopo l’inferno della serie B e il purgatorio della lenta ricostruzione. E, anziché gioire per un trofeo conquistato finalmente sul campo, senza aiutini né moggismi, si affretta a dire che è il numero 30, non il 28, rivendicando i due revocati perché truccati da Calciopoli. Così getta lo scudetto meritato nel calderone di quelli immeritati. Un genio. Già che c’è elogia come “grande manager” Moggi, radiato dalla Federcalcio e condannato in tribunale per associazione per delinquere e minacce, e in appello per violenza privata.
Non contento, appena emergono le accuse a Conte (ovviamente tutte da dimostrare), indagato per associazione a delinquere per un episodio relativo alla sua esperienza al Siena, si presenta al suo fianco e, anziché limitarsi a precisare che la Juve non c’entra, nutre fiducia in Conte, ma attende il verdetto dei giudici, si sporge in avanti anticipando la sentenza (“Conte è estraneo a tutto”) e annunciando che qualunque cosa accada “Conte guiderà la Juve nella prossima stagione”. Dichiarazione quantomeno azzardata, visto che l’indagine di Cremona è serissima: tant’è che finora gli indagati han quasi tutti patteggiato squalifiche con la giustizia sportiva. E Conte, se risultasse anche lui colpevole, rischia una squalifica da 3 anni alla radiazione e dunque non potrebbe allenare neanche una squadretta di Promozione. Agnelli non batte ciglio nemmeno quando Conte si copre di ridicolo attaccando la Procura perché, “prima di perquisirmi e indagarmi, avrebbe dovuto chiamarmi”. Ma certo, quando un magistrato deve perquisire qualcuno, la prima cosa che fa è chiamarlo, annunciargli l’arrivo degli agenti e prendere appuntamento se non è troppo disturbo.
Anche
Buffon fa un’uscita che pare un’entrata, giustificando i pareggi in saldo di fine stagione (“
due feriti sono meglio di un morto”) e sparando a zero sui pm e i giornalisti per i “
blitz annunciati” e le “
fughe di notizie” (verbali depositati e dunque non segreti). Due giorni dopo un rapporto della Finanza rivela che Buffon ha scommesso
1 milione e mezzo in 10 mesi in una tabaccheria di Parma, come già nel 2006 in piena Calciopoli. Se si provasse che scommetteva su partite di calcio, avrebbe violato il codice sportivo e verrebbe squalificato. Ma i suoi legali, anziché escludere subito questa evenienza e spiegare su cos’altro scommetteva, vaneggiano di “
privacy violata”.
E Agnelli, anziché far luce sulle scommesse del suo portiere nonché capitano della Nazionale, strilla alla giustizia a orologeria: “Singolare che l’informativa esca proprio ora”. E quando avrebbe dovuto uscire, di grazia? Qui lo scandalo sono eventualmente le scommesse, non la notizia. Oltre a parlare come un Berlusconi qualsiasi (infatti Giornale e Libero titolano: “Vendetta dei pm su Buffon”), Agnelli non s’accorge che “a orologeria” potrebbe essere l’uscita preventiva di Buffon. Sapendo di avere scommesso cifre esorbitanti e sospettando di essere stato scoperto, il portiere potrebbe aver giocato d’anticipo attaccando i pm per gabellare l’indagine per una ritorsione. Ma a questo punto si fa strada l’ipotesi più inquietante di tutte: che Andrea Agnelli i testi se li scriva da solo.