Tutto previsto e prevedibile. Si scannano, fino all’ultimo milione. Da una parte gli eredi di Lucio Dalla, dall’altra il compagno, Marco Alemanno, e nel mezzo un’altra serie di persone che chiedono più o meno i titoli per avere qualcosa.
Nonostante il patrimonio immenso – casa di 2.400 metri quadri in via D’Azeglio a Bologna, villa alle Tremiti, un’altra a Catania, un appartamento a Pesaro, opere d’arte di valore inestimabile e qualcosa come cinque milioni di euro sul conto corrente e un altro milione garantito dalla Siae ogni anno – la corsa all’eredità non solo non si placa, ma si arricchisce di improbabili pretendenti.
I protagonisti del film che Dalla non avrebbe mai voluto vedere sono svariati, con storie e provenienza diversa, parenti di sangue, parenti acquisiti, manager, uomini tuttofare, avvocati, notai. Che, come primo atto, hanno mandato a quel paese l’unica volontà di cui Dalla ha lasciato tracce scritte: quella di voler creare una fondazione, aprire la sua casa di via D’Azeglio ai musicanti e artisti di talento, proseguire in tutto quello che aveva fatto da talent scout, in quello che riteneva giusto: “Dare una possibilità a chiunque la meritasse”.
Il primo a uscire allo scoperto è stato Marco Alemanno, dalle colonne del Corriere della Sera: “I parenti fanno finta che io non esista, negano l’evidenza, da due mesi non ho più contatti diretti. Sono prigioniero nella mia casa, perché io la chiamo casa mia. Ho un letto, bagno e cucina. Da sei anni sono residente-possessore, come dice la legge. Se devo andare in un altro spazio della proprietà, dove ci sono i miei oggetti o le opere d’arte che Lucio mi ha regalato, deve esserci un testimone, attento, chissà, che non rubi nulla. Mi hanno tolto le chiavi, cambiato le serrature. Ho solo la parte mia. C’è un curatore, che sta in mezzo, tra me e i cugini. Fui obbligato a fare un inventario, perfino sul mio computer. I parenti quel giorno presero a darmi del lei, mi chiamavano per cognome. Quando cominciarono a discutere su una lampada, andai su tutte le furie. Poi ci fu mio padre che risultava assunto come custode della casa alle Tremiti. Anche da questo fatto è nata una questione”.
Questo dice il compagno di Lucio, il ragazzo che in chiesa recitò Le Rondini, prima di scoppiare in un pianto a dirotto, la persona che secondo alcuni sarebbe stata il legittimo erede di Dalla, secondo altri non dovrebbe stare neppure nella casa dove abita e dove abitava quando il cantante era ancora in vita perché “se Lucio avesse voluto così avrebbe fatto un testamento che nessuno ha trovato”.
Dalla parte opposta del fiume aspettano il malloppo i parenti di Dalla, tutti cugini di secondo grado che non ebbero difficoltà a dire che non immaginavano neanche lontanamente di diventare gli eredi di tutto quel patrimonio. Lo stesso Lucio, un po’ per scherzo un po ‘ per davvero, diceva: “Io non ho parenti”. Sornione, perché i parenti c’erano e se con alcuni aveva rapporti saltuari, uno di loro, almeno, è stato il suo autista per una ventina d’anni, Andrea Faccani. Che però tace. L’unico parente che parla è Simone Baroncini, primo corno dell’orchestra del San Carlo di Napoli, cugino di secondo grado: “Alemanno sbaglia, l’eredità è bloccata per problemi amministrativi, al momento il proprietario dei beni è il Tribunale. Io continuo a vivere con il mio stipendio che oscilla tra i 2.000 e i 2.500 euro. Neanche noi, che siamo parenti, possiamo entrare in casa di Lucio. E comunque Lucio aveva due figliocci, Alemanno, certo, ma anche il pittore Stefano Cantaroni, che potrebbe avere i medesimi diritti di Marco”.
In questa situazione che già di per sé è caotica ci sono un’altra serie di persone che gravitano attorno all’eredità artistica e patrimoniale di Lucio Dalla. C’è Gaetano Cureri, leader degli Stadio, colui che ha chiesto l’intervento del tribunale firmando l’stanza patrimoniale. C’è il manager di Lucio, Bruno Sconocchia e il suo uomo tuttofare, Tobia Righi. C’è poi Ron che, oltre a essere stata la persona che più a lungo è stata vicina a Lucio è anche l’unico che, musicalmente, Dalla ascoltava. Non usciva un lp, un libro, una raccolta, senza l’ok di Ron, all’anagrafe Rosalino Cellamare. E Ron è anche la persona con la quale Dalla ha co-firmato la maggior parte dei suoi successi, da Piazza Grande, scritta a quattro mani, ad Attenti al Lupo.
Tutti ingredienti che non compongono l’epilogo, ma che avvertono di una sola cosa: la Fondazione non si farà.